La sorella di Gregor Samsa, un testo teatrale ispirato alla Metamorfosi di Kafka, di Roberto Riviello
La sorella di Gregor Samsa, un testo teatrale ispirato alla Metamorfosi di Kafka, regia di Roberto Riviello con l’attrice Romina Bonciani
Ne La metamorfosi di Franz Kafka il protagonista e voce narrante Gregor Samsa si ritrova improvvisamente nel corpo di un enorme insetto. Nel testo non c’è scritto espressamente che questo sia uno scarafaggio, come in molte traduzioni è stato esplicitato: “Ungeziefer” in tedesco significa semplicemente insetto infestante, ma in effetti dalle varie scene si può desumere che l’autore avesse in mente proprio qualcosa di simile. Fatto sta che un uomo come Samsa, un commesso viaggiatore che vive con la propria famiglia, si ritrova d’un tratto immerso in una condizione nuova: la diversità. Iniziano così una serie di dinamiche attraverso cui lo scrittore non ci mostra soltanto un personaggio, ma ci fa immedesimare a pieno nel suo protagonista, imponendoci di calarci in prima persona nei panni dell’escluso.
La metamorfosi di Kafka trascina il lettore nel tema dell’emarginazione sociale, ciò che vive Gregor Samsa dal momento in cui si ritrova in un corpo che non è il suo. Per tutta la prima parte del racconto Gregor lotta contro la difficoltà nel comunicare, nel muoversi, nel compiere azioni che prima per lui erano scontate, scoprendo all’improvviso una realtà completamente nuova. Dopo la trasformazione, l’incontro con la sua famiglia ha un impatto devastante: appena lo vede la madre sviene, mentre il padre reagisce mostrando orrore e rabbia nei suoi confronti. L’unica a prendersi cura di lui – seppur con un certo distacco – è la sorella, Grete. Tuttavia, per Gregor i rapporti con i familiari sono cambiati per sempre. Se prima era colui che, con il proprio lavoro, teneva in piedi le finanze della famiglia, dopo essersi trasformato diventa un peso per tutti. Nemmeno nutrirlo viene percepito come un atto dovuto dai suoi genitori, ma come un dovere forzato che si assolve solo a patto che poi si nasconda sotto al letto quando Grete entra in camera. Lo scarafaggio è una sciagura che si è abbattuta sulla famiglia Samsa e va nascosta a tutti i costi.
È facile rivedere nella figura di Gregor quella dell’individuo che viene man mano escluso dalle dinamiche sociali. Un tema centrale al tempo di Kafka e ancor più attuale oggi, dato l’impatto enorme che l’emarginazione sociale ha sulla realtà. Secondo l’Istat, in Italia la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 27,3%. Tra le cause delle dipendenze – da alcolici come da sostanze stupefacenti – ai primi posti risultano esserci le dinamiche familiari, che generano forme di esclusione e tentativi di nascondere le situazioni problematiche dagli sguardi esterni. Gregor, dal momento in cui si ritrova nel corpo di un insetto, diventa proprio quella macchia nera da occultare. Nemmeno gli inquilini che a un certo punto la sua famiglia è costretta a ospitare per far fronte alle difficoltà economiche devono sapere di lui. E quando si lascerà intravedere, richiamato dal suono del violino di Grete, sarà investito dal disgusto degli ospiti e dalla rabbia dei suoi familiari.
La foga nel celare il gigantesco insetto esplode quando, a causa di un incidente, esce dalla sua stanza e raggiunge la cucina. In questo modo rompe il patto che stabilisce per lui l’obbligo di estromissione da qualsiasi dinamica familiare. Il padre, furioso, gli lancia delle mele, una delle quali si conficca nella sua corazza. È un gesto violento che lascia una traccia indelebile, perché quella mela rimarrà incastrata sul suo dorso. È un segno che richiama un altro concetto kafkiano: quello della colpa. Un’idea che emerge ripetutamente nelle opere dello scrittore cecoslovacco – in particolare ne Il processo – e che richiama di continuo quel senso di colpa a priori: un assillo costante che non affonda le radici in alcun fatto concreto. Ciò, nella letteratura di Kafka, dà vita a situazioni assurde, che non hanno alcuna spiegazione per i protagonisti, ma che appaiono perfettamente normali a chi li circonda. Ne La metamorfosi è come se Gregor Samsa portasse sulle spalle una colpa innata: quella della diversità. Una dimensione che ritroviamo oggi soprattutto nell’emarginazione sociale dettata dalla xenofobia, che trasforma le differenze in una responsabilità originaria che ha un peso enorme sull’individuo.
Ma questo non è l’unico tema in cui possiamo ritrovare dei riverberi con il nostro contesto attuale. La sua famiglia, ad esempio, nonostante lo percepisca come un problema, in un certo senso per restare unita sembra avere bisogno di lui. Più passa il tempo, infatti, e più genitori e sorella si ritrovano legati da un senso di superiorità che però non fa che aumentare la loro distanza nei suoi confronti. Nel suo racconto, Kafka ci mostra quanto ogni gruppo sociale in alcuni contesti necessiti di una minoranza per riconoscere la propria identità. Nella figura di Gregor non vediamo quindi solo un capro espiatorio, ma anche l’elemento che permette il compattarsi della maggioranza intorno a un nemico comune.
La famiglia di Gregor continua quindi a isolarlo sempre di più, fino a emarginarlo del tutto. La fine di Samsa è così un flebile spegnersi immerso nella propria solitudine e i suoi familiari invece che esserne rattristati vivono quel momento con la leggerezza di chi non vede l’ora di liberarsi da un peso – che non pensa di meritarsi e che ha cercato in tutti i modi di scaricarsi dalla coscienza. “Abbiamo fatto tutto quanto umanamente possibile per prenderci cura di lui […], non credo che nessuno possa biasimarci minimamente”, afferma la sorella Grete, l’ultima ad abbandonarlo.
La metamorfosi di Kafka ci permette di scoprire l’importanza di quel senso di empatia verso gli ultimi che spesso tendiamo a soffocare. Il grande scrittore boemo ci invita a osservare la realtà attraverso più punti di vista, perché cambiandoli possiamo trovare la prospettiva in grado di farci comprendere le debolezze e le fragilità altrui. Ma, soprattutto, questa opera è un invito a non cercare mai di plasmare la realtà a nostro piacimento. Gregor Samsa, dopo la sua trasformazione, non pretende di tornare a essere come gli altri, né tantomeno di omologarsi agli altri componenti della sua famiglia. Gregor chiede di essere accettato per quello che è, nella sua diversità. E Kafka ci dice che l’unico modo per comprendere davvero questa diversità è calarci al suo interno provando ad attivare la nostra empatia. Soffriamo insieme a Gregor mentre leggiamo come soffriremmo se riuscissimo a percepire sulla nostra pelle la sofferenza di chi vive in prima persona il dramma dell’emarginazione. Riusciremmo così a comprendere l’entità del dolore che provoca l’esclusione, talvolta dettata dalla superficialità di chi, nel diverso, vede soltanto un problema da risolvere e di cui disfarsi.
La chiave di lettura più attuale dell’opera, tuttavia, resta nella scena della mela, che assume un’importanza fondamentale. È proprio quel frutto incastrato sul dorso dell’insetto che impedisce al padre di continuare a ignorare la tragedia esistenziale che sta vivendo il figlio e a imporgli per un momento di percepire quel senso di responsabilità che aveva soppresso fin dall’inizio. “La mela, che nessuno osò estrarre, rimase conficcata nella carne di Gregor come un visibile ricordo dell’avvenimento”, si legge all’inizio del terzo capitolo. “La grave ferita, di cui soffrì per un mese, parve ricordare anche al padre che Gregor, nonostante l’aspetto misero e ripugnante, era un membro della famiglia e non poteva essere trattato come un nemico: il dovere familiare imponeva, al contrario, di reprimere la ripugnanza e aver pazienza, solo pazienza”. Quella mela impedisce al padre di ignorare l’umanità del grosso insetto, che altri non è che suo figlio. È l’elemento che impedisce di chiudere gli occhi di fronte alla sofferenza di chi vive una condizione diversa. È ciò di cui, in un presente in cui il dolore causato da esclusione, emarginazione e diversità si presenta di continuo davanti a noi, abbiamo sempre più bisogno: trovare il coraggio di non nasconderci nell’indifferenza.
Generalmente La metamorfosi è interpretata come una allegoria della alienazione dell’uomo moderno all’interno della famiglia e della società, che si traduce nell’isolamento del “diverso” e nell’incomunicabilità con i propri simili.
Romina Bonciani, Psicologa, Educatrice, Attrice e Insegnante di teatro. Operatrice Teatro sociale. Diplomatasi presso l’Accademia Teatrale di Firenze, continua a formarsi come attrice e insegnate del Metodo Mimico di Orazio Costa presso il Teatro della Pergola di Firenze (oggi Teatro Nazionale della Toscana) dove da anni è impegnata nella conduzione dei corsi basati sui principi della pedagogia Costiana. Presente sulla scena teatrale Fiorentina, collabora con numerose realtà attive sul territorio, contribuendo inoltre, come attrice e insegnante, a spettacoli e laboratori di Teatro Sociale.
Franz Kafka (Praga, 3 luglio 1883 – Kierling, 3 giugno 1924) è stato uno scrittore boemo di lingua tedesca.
Nato nei territori dell’Impero austro-ungarico, divenuti Repubblica cecoslovacca a partire dal 1918, è ritenuto una delle maggiori figure della letteratura del XX secolo e tra i maggiori esponenti del modernismo, nonché anticipatore del surrealismo e del realismo magico.
La maggior parte delle sue opere, come Die Verwandlung (La metamorfosi), Der Prozess (Il processo) e Das Schloss (Il castello), è pregna di temi e archetipi di alienazione, brutalità fisica e psicologica, conflittualità genitori/figli, presentando personaggi in preda all’angoscia esistenziale, labirinti burocratici e trasformazioni mistiche. Le tematiche di Kafka, il senso di smarrimento e di angoscia di fronte all’esistenza, caricano la sua opera di contenuti filosofici che hanno stimolato l’esegesi dei suoi libri specialmente a partire dalla metà del Novecento. Nei suoi scritti è frequente imbattersi in una forma di crisi psicologica che pervade il protagonista sino all’epilogo della narrazione e che lo getta in modo progressivo in un’attenta analisi introspettiva. Non sono pochi i critici che hanno intravisto nei suoi testi elementi tali da farlo ritenere un interprete letterario dell’esistenzialismo. Altri infine hanno «coniato per Kafka la formula di “allegorismo vuoto”. Come ogni autore allegorico, Kafka rappresenta una vicenda per “dire altro”; ma questo “altro” resta indecifrabile e dunque indicibile.» Secondo molti di essi Kafka volle con ciò forse rappresentare la solitudine e il senso di diversità dell’ebreo nella Mitteleuropa, la propria estraneità alla sua famiglia, il senso di colpa e l’impotenza umana del singolo di fronte al mondo e alla sua burocrazia.
Il suo più celebre personaggio allegorico è lo scarafaggio umanoide Gregor Samsa, descritto ne La metamorfosi. Kafka nacque in una famiglia ebraica della classe media di lingua tedesca a Praga, la capitale del Regno di Boemia, allora parte dell’Impero austro-ungarico. Nel corso della sua vita, la maggior parte della popolazione cittadina parlava il ceco e la divisione tra parlanti la lingua ceca e quella tedesca era una realtà tangibile, in quanto entrambi i gruppi cercavano di rafforzare la propria identità nazionale. La comunità ebraica era in mezzo tra le due correnti, sollevando naturalmente domande in merito a chi appartenesse. Kafka stesso conosceva approfonditamente ambedue le lingue, considerando il tedesco come lingua madre.
Kafka intraprese una formazione giuridica e ottenne un lavoro in una compagnia di assicurazioni. Iniziò a scrivere racconti nel suo tempo libero, lamentandosi sempre del poco tempo a disposizione per dedicarsi a quella che considerava la sua vocazione. Kafka preferiva comunicare per lettera: scrisse centinaia di lettere ai familiari e alle amiche intime. I destinatari principali furono suo padre, la sua fidanzata Felice Bauer e la sua sorella più giovane Ottla. Ebbe un complicato e travagliato rapporto con il padre che influì notevolmente sui suoi scritti. La sua appartenenza alla cultura ebraica fu in lui fonte di profondi conflitti interiori, nonostante non sentisse un particolare legame con le sue radici, tuttavia i critici sostengono che la sua origine ebraica abbia influenzato le sue opere.
Solo poche opere di Kafka furono pubblicate durante la sua vita: le raccolte di racconti Betrachtung (Contemplazione) e Ein Landarzt (Un medico di campagna) e qualche opera singola (come La metamorfosi) in riviste letterarie. Preparò l’edizione di una raccolta di racconti, Ein Hungerkünstler (Un digiunatore), pubblicata solo dopo la sua morte. Le opere di Kafka rimaste incompiute, tra cui i suoi romanzi Il processo, Il castello, e America (noto anche come Der Verschollene, Il disperso), furono pubblicate postume, in gran parte dal suo amico e curatore Max Brod, che non assecondò il desiderio di Kafka, il quale voleva che i suoi manoscritti venissero distrutti. Il suo lavoro ha continuato a influenzare una vasta gamma di scrittori, critici, artisti e filosofi durante il ventesimo secolo; il termine “kafkiano” è entrato nella lingua italiana per descrivere situazioni esistenziali come quelle presenti nei suoi scritti.