Vivere l’incertezza
– C’era una volta una generazione senza troppa ansia del futuro.
di Chiara Avezzano_
C’era una volta una generazione senza troppa ansia del futuro. Circondata da diversi punti di riferimento, forse a trent’anni lavorava già da un po’, aveva addirittura una famiglia, una casa dove vivere e i piedi ben piantati per terra.
La mia generazione, invece, a trent’anni non ha un posto fisso, a stento forse firma un contratto, non ha certamente una casa tutta sua e una famiglia… chissà. Tutto attorno a noi sembra fragile, come funamboli in equilibrio precario cerchiamo di non cadere in questo mondo che ci offre ormai tutto e niente allo stesso tempo, dove ogni cosa sembra immobile ma sfuggente.
Una buona parte di noi vaga in giro per il mondo, in cerca di obiettivi e possibilità. Io ad esempio sono a Londra da qualche mese, con in mano la mia laurea magistrale in cooperazione internazionale, un servizio civile in Tanzania, dieci anni di esperienze di volontariato brevi ma costanti in Kenya e ancora tanta voglia di imparare. La spinta a partire me l’ha data il desiderio di non farmi immobilizzare dalla condizione di incertezza generale che sembra colpirci tutti – partendo dalla nostra politica, passando per i nostri posti di lavoro, arrivando al nostro futuro. In questa grande capitale europea tutto quanto si muove, tutto sembra avere uno scopo. Mi è sembrata fin da subito un concentrato di mondo, entri in autobus e almeno la metà delle persone sono straniere. Per me, tuttavia, ha l’aspetto di un luogo temporaneo, affollato di persone incerte, tutte in cerca di qualcosa. Per le sue strade incontro tanti giovani. Alcuni sono in attesa, di tempi migliori, di possibilità.
Si legge nei loro occhi l’amarezza per essere stati in un certo senso costretti a lasciare casa. Non a causa di guerre, non a causa di persecuzioni, ma a causa di un non futuro. Perché è vero che l’Italia – come tanti altri Paesi mediterranei – in questo momento non è un Paese per giovani. In questo concentrato di mondo sento forte l’imprevedibilità della vita, che non ti dà sicurezze, come una corrente che ti trascina senza offrirti appigli sicuri. Sai quel che fai oggi, ma non puoi scommettere troppo su quel che farai domani. La gente a volte appare disillusa e pessimista.
Io, da parte mia, ho trovato un lavoro temporaneo, guadagnato il mio certificato di lingua, ma non so ancora cosa farò nel mio futuro. In certi momenti mi sento così confusa che non so più cosa stavo cercando. Però non mi sento una disillusa. Mi porto dentro una positività di fondo, e comincio a credere di doverla in parte ad un mondo incerto come il mio, ma dal mio profondamente diverso, che negli ultimi anni ho incontrato spesso e che con il tempo mi ha insegnato a non arrendermi mai. A Nairobi, più precisamente nella baraccopoli di Kibera, c’è una cosa che mi ha sempre colpito, più del fango, più delle fogne a cielo aperto, più delle baracche in lamiera: la voglia di vita che respiri tra le sue strade. La vedi nella gente che si industria, che fa , che si inventa un’attività qualsiasi pur di non stare con le mani in mano ad attendere chissà quale futuro. A Kibera si vive di lavori temporanei: “kibarua” è la parola swahili che indica il lavoro occasionale. In Kenya tantissime famiglie si sostengono con lavoretti di questo tipo, vendono noccioline all’angolo di una strada. Frittelle calde, giornali, roba usata. Ma il lavoro è così occasionale che a volte capita che non trovi, un giorno ce l’hai, ma il giorno dopo no, e a sera torni a casa senza aver guadagnato nemmeno un centesimo, con niente da offrire alle bocche che ti chiedono cibo. Lì sì che le persone vivono una condizione di incertezza concreta, che non riguarda solo il loro futuro e i loro sogni, riguarda la loro stessa vita. Eppure proprio loro mi hanno insegnato che a volte questa incertezza può darti una spinta meravigliosa, che in alcuni si traduce nella capacità di ingegnarsi nel cercare nuove strade ed inventarsi sempre nuovi modi per vivere serenamente e con il giusto entusiasmo; in altri si trasforma nel coraggio di partire, di rischiare, di buttarsi senza paracadute in un luogo sconosciuto, solo per la voglia di tentare. Da qualche parte ho letto che l’incertezza può creare angoscia solo se non si comprende il suo significato creativo. Forse se provassimo a vedere questo mondo fluido, non come una corrente che ci trascina chissà dove, ma come possibilità di scelte infinite che rende liberi e sempre in movimento, allora forse ogni cosa ci apparirebbe sotto una luce diversa. Così in questo mondo incerto, forse l’unica cosa saggia da fare è continuare a camminare, continuare a provarci, senza dimenticare chi ci aiuta a guardare le nostre sfide quotidiane, secondo la giusta prospettiva. Io, ad esempio, ringrazio costantemente dentro di me il Kenya e certi posti dell’Africa. Se mi dimenticassi di loro, tutto ciò che mi circonda, mi apparirebbe molto diverso. Forse tutto molto più pesante.