I brevissimi 2013 – 1499 di Massimo Terzini_Veroli(FR)
Anno 2013 (I sette peccati capitali – l’invidia)
Alla fine si guardò le mani e sebbene compisse proprio quel giorno il suo ventiquattresimo compleanno, si accorse che gli tremavano come quelle di un vecchio. Rimase per qualche momento immobile sulla sedia, come a volersi riposare da secoli di stanchezza, poi si alzò e si mise in piedi davanti a lei. Finalmente ce l’aveva di fronte, bella come la prima volta che l’aveva vista, più di un anno prima, tra i banchi di verdure al mercato di Porta Metronia.
Se quella volta avesse trovato le parole che gli mancavano, l’avrebbe raggiunta e le avrebbe parlato: avrebbe scoperto che aveva la sua stessa età e forse tutto sarebbe andato diversamente…
Invece si era limitato a guardarla da lontano e lo stesso aveva fatto per tutti i mercoledì di tutte le settimane di tutto l’anno, fino a quando non aveva avuto la certezza che nel suo cuore non ci sarebbe stato mai più spazio per altre donne. Impiegava quel tempo ad osservarla, a spiarne i gesti, che giorno dopo giorno gli rivelavano un particolare che la settimana prima non aveva colto. Immaginava di percepirne il respiro, tutte le volte che lei si sedeva a riprendere fiato ed era convinto che anche quel dettaglio fosse necessario per impararla a memoria.
A memoria aveva imparato la linea degli occhi e la leggera convessità delle guance, il profilo del naso e l’attaccatura dei capelli, la morbidezza dei fianchi e la rotondità dei seni. La bocca. Punto focale di una bellezza senza paragoni. La sera, rimasto solo, ne ridisegnava i tratti partendo ogni volta da un dettaglio diverso: una mano, l’arco delle sopracciglia, il respiro… Di tanto in tanto tracciava segni a casaccio fingendo di non ricordarla, ma alla fine, sul foglio, lei compariva lo stesso.
Adesso che finalmente se la trovava davanti, sperò, almeno per un istante, che lei sollevasse il capo e lo guardasse negli occhi. Ma lei non rispondeva al suo sguardo, teneva la testa bassa, con l’espressione di chi osserva con animo rassegnato una devastazione.
I suoi occhi erano concentrati su un punto che non appartiene allo spazio degli uomini, un punto oltre il quale si apre solo il mare sterminato della pietà.
Uscì senza badare alla pioggia scrosciante che flagellava Roma da tre giorni, e vagò senza meta tra i vicoli di quella città che stava cominciando ad odiare. I barcaroli, a Ripetta, bestemmiavano per il livello del Tevere che continuava a salire e le lavandaie si rimbalzavano sconcezze contro il maltempo di marzo.
La sua mente era persa dentro i grovigli di un risentimento, il suo cuore schiacciato da una rabbia impotente. Provò pena per se stesso e pianse, per essere arrivato ad un passo da quell’amore senza speranza.
Quando a sera ritornò da lei, era grondante d’acqua e scosso da brividi di freddo. La guardò e sembrò capire solo allora che quella donna non avrebbe mai alzato lo sguardo su di lui… Lei apparteneva ad un altro. E nessun genere di competizione sarebbe stato possibile per strappargliela. Così come nessuna forma di gelosia avrebbe avuto senso. Capì che il suo cuore e la sua mente avrebbero potuto coltivare per sempre solo uno struggente, inestinguibile, disperato sentimento di invidia. Invidia insanabile per quell’uomo che lei teneva amorevolmente disteso sulle ginocchia e che non avrebbe smesso di cullare per i milioni di anni a venire.
Pensò allora che c’era un solo modo per dichiarare a tutti che lei era anche sua… Riprendendo in mano lo scalpello più appuntito, le si avvicinò, la guardò intensamente negli occhi e dopo averla baciata con passione su una bocca che non rispose, le accostò la punta dell’arnese al petto e, nel crescente delirio della febbre cominciò, lettera dopo lettera, ad incidervi sopra il proprio nome.
Quando ebbe terminato, posò scalpello e martello ai piedi di quella che, nonostante tutto, considerava la sua donna, si pulì la fronte e le mani dalla polvere di marmo e spense la lanterna che illuminava debolmente sia lei che l’uomo disteso sul suo grembo. Da quella notte e per i restanti sessantacinque anni della sua vita, non smise mai di pensare che se quel primo giorno a Porta Metronia avesse trovato il coraggio di avvicinarsi e parlarle, forse la storia sarebbe stata diversa.
Nota
Nel1499, asoli 24 anni, Michelangelo Buonarroti realizza la scultura che, insieme con i dipinti della Sistina, è unanimemente riconosciuta come il suo capolavoro: la “Pietà” di Roma. La storia racconta che la firma, incisa sulla fascia che attraversa trasversalmente il manto della Vergine, sia stata apposta dall’artista solo alcuni giorni dopo aver realizzato l’opera, per evitare che questa potesse erroneamente essere attribuita ad altri.
Qui, alterando parzialmente il vero in favore del verosimile, si è voluto immaginare che le ragioni di quella firma siano derivate da tutt’altra storia…
Bella idea.
Complimenti!
Grazie Mille!
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sa quando verranno pubblicati anche gli altri?