Supermarket_Angela Giammatteo, Rionero in Vulture(PZ)
_Racconto finalista diciannovesima edizione Premio Energheia 2013.
Federico non ce l’aveva coi cani: aveva cominciato da quello.
Era un boxer col pelo marrone, grosso e dall’aria mite, con la pelle del muso che cascava in una specie di broncio.
All’ingresso del supermarket, la fila impilata di carrelli finiva con la promessa di ritorno di un euro e lì, sulla pedana di ferro, un laccio azzurro teneva legato il cane, nell’attesa di ritorno del padrone.
Bavoso ammasso di peli color merda, pensò Federico, che non solo non diceva mai parolacce, ma in genere non le pensava neanche, perché si sforzava di avere solo pensieri educati, mentre suo nonno, Alfredo Ciuffrè, si guardava intorno, per capire che fare.
Alfredo Ciuffrè andava a fare la spesa almeno due volte a settimana. Aveva 74 anni ed era così basso che al secondo scaffale del supermercato, quello dove stavano le pesche sciroppate che tanto piacevano a Federico, ci arrivava solo sollevandosi un poco, sulle punte dei piedi.
Portava sempre Federico con sé ma, una volta entrati nel market, non potendo caricarsi il peso della sedia a rotelle del nipote insieme a quello del carrello, lo lasciava ad aspettare sulla pedana.
Alfredo Ciuffrè, mano a mano che passavano gli anni, rimpiccioliva sempre di più. Così Federico l’aveva visto sparire pian piano dietro il carrello della spesa, col vestito grigio e le grosse lenti tonde, poggiate sul naso. Lasciato suo nipote, si lasciava inghiottire dagli scaffali delle offerte speciali. Poi, ritornava con una spesa minima, ché loro troppi soldi da spendere non ne avevano.
A Federico non dispiaceva restare lì. Dalla sua postazione vedeva entrare ed uscire le persone con i sacchetti biodegradabili della spesa, che avevano lo stesso odore dei funghi porcini. Delle donne gli piaceva guardare soprattutto l’orlo della gonna, vedere come scendeva, liscio oppure un po’ arricciato.
Degli uomini gli piaceva osservare le scarpe, eleganti o sportive, e se erano coordinate con i pantaloni. Quando un uomo aveva i pantaloni eleganti e le scarpe sportive, Federico pensava che fosse una persona simpatica. Quando un uomo aveva i pantaloni sportivi e le scarpe eleganti, invece, pensava che fosse una persona con qualche tristezza nascosta.
Anche i tempi della spesa diventavano una mappa da decifrare. C’erano quelli che andavano di fretta, guidando il carrello come una macchina da corsa, quelli che invece la spesa se la godevano, come una passeggiata in riva al mare, in cui scegliere le conchiglie più grosse e colorate. Tempi che si dilatavano o avviluppavano intorno alla scelta dell’offerta più conveniente. Signore distinte e mechate al banco del pesce, mariti incellophanati nei guanti di plastica a capire che 67 è la zucchina normale, quella romana è 94, non c’è continuità logica tra i numeri, però quella romana è più buona.
Questo scorcio di umanità nella sua giornata a Federico piaceva, e restare lì, vicino una pila di carrelli, non gli era mai parsa una cosa disdicevole. Finché non era arrivato il cane.
In un primo momento si sentì soltanto fregato, come quando si prendono, all’ultimo momento, il tuo posto nel parcheggio.
Alfredo Ciuffrè, dopo avere esitato un momento e perlustrato lo spazio col suo sguardo miope, aveva detto “Oggi ti metto qui”, spingendo la carrozzina dall’altro lato rispetto alla pedana, sotto lo scaffale della frutta secca.
Con una corona di noci, fichi secchi e albicocche glassate, Federico occupava il posto diametralmente opposto a quello del boxer. Lui e il cane stavano, adesso lì, come due colonne diroccate, aprendo la strada ai carrelli.
La presenza dell’animale, apparentemente innocuo, aveva stravolto l’equilibrio del tempo della spesa. Avrebbe giurato che le persone, che in genere non si curavano di lui, lo guardavano con un’aria diversa. Soprattutto, lo osservavano dopo aver guardato il cane. Improvvisamente era il bestiale parcheggio, l’associazione che chi entrava faceva tra lui e il boxer, l’espressione incuriosita di qualcuno, quella imbarazzata di qualcun altro, a farlo sentire un cane.
E per la prima volta aveva sperato che suo nonno tornasse in fretta a riprenderlo, anche a costo di scordarsi le pesche sciroppate.
Degenerativa vuol dire che può solo peggiorare. È un salto verso il basso, un volo in caduta libera. Ma la parola volo, strano a dirsi, gli faceva venire in mente l’acqua. L’aveva visto in TV, con le cosce muscolose e lisce, lanciarsi dal trampolino. Pensando alle sue rattrappite, aveva desiderato quelle del nuotatore.
Degenerativa voleva dire anche che era soggetto, sempre più spesso, a crisi convulsive. Era questo il motivo per cui Alfredo Ciuffrè, da quando erano rimasti soli, lo portava sempre con sé, e l’unica volta che lo aveva lasciato solo a casa, lo aveva ritrovato con la testa riversa all’indietro, soffocato dalla sua stessa bava.
Così successe quel martedì notte, quando Federico aveva sognato l’acqua. Era in un mare disteso, con increspature minuscole, a zig zag, e stava nuotando sul dorso. Guardava incantato la scia lasciata nell’acqua dalle sue stesse bracciate, il segno del suo passaggio. Poi, aveva visto avvicinarsi qualcosa a lui che man mano prendeva connotati chiari di un enorme pesce, è un delfino aveva pensato Federico, e ride come quello della pubblicità, delfino curioso. Si era fermato per aspettarlo, ma il pesce, man mano che si avvicinava, non sembrava un delfino. Aveva squame marroni. Federico fece appena in tempo a vedere i suoi denti aguzzi e capì che non era un delfino, e non era neppure uno squalo, o forse sì, era uno squalo. Ma con una faccia da boxer. E l’acqua, quella stessa acqua che gli piaceva tanto quand’era rinchiusa nella scatola della TV, come in un acquario, gli si era infilata dappertutto, nelle orecchie, nella bocca. Annaspava, e sputava, sputava fuori tutto quel liquido che aveva confuso con la vita e Alfredo Ciuffrè si era svegliato di soprassalto e mentre gli teneva la testa aveva pensato: stavolta lo perdo.
Invece, il giorno dopo erano un’altra volta al supermercato e il pallore, nel viso di Federico, tradiva la nottata trascorsa e lo spavento subito. E mentre entrava con la sua carrozzella, il boxer era lì, fiero, con la stessa espressione vuota. E lui, che forze, per sentirsi peggio di quanto già non si sentisse, non ne aveva, rassegnato, si era messo nel suo angolo, stringendosi per essere visto il meno possibile, attaccandosi allo scaffale per confondersi.
Alfredo Ciuffrè aveva appena svoltato l’angolo col carrello, attratto dal banco formaggi e salumi, nella fila senza fine del numeretto, quando il boxer, inaspettatamente, con uno strattone, aveva staccato la cordicella che lo teneva legato e si era avventato su Federico. Il ragazzo aveva chiuso gli occhi, sicuro di avere fatto un sogno premonitore con il boxer-squalo che lo avrebbe sbranato e rassegnato, non urlò neppure. Invece, sentì solo uno strano calore sulla mano, un caldo sconosciuto e ruvido. Così quando riaprì gli occhi, il boxer era accovacciato vicino a lui e gli stava leccando una mano.
Qualche giorno più tardi arrivò una nuova cassiera, bassina e con i capelli corvini, e Federico la osservava dalla sua postazione: era piccola, ma nella scollatura della maglietta rossa s’intravedeva il solco tra i seni. Scendeva come la corsia della piscina, e come vorrei nuotarci anch’io, pensò il ragazzo, che in genere non solo diceva mai cose sessuali, ma si sforzava di non pensarci neanche. Poco distante da lui c’era Juarz, perché aveva un nome il boxer, Federico adesso lo sapeva e al cane che stava lì, parallelo a lui, non ci faceva neanche più caso.
Guardava invece verso la cassa, dove si consumava il momento finale della spesa, che non è il più rilassante, è invece il più drammatico, le persone si agitano mentre cercano di infilare la spesa nelle buste, il più in fretta possibile, perché dietro c’è altra gente, la fila che spinge con gli occhi.
C’era solo quella signora, quel giorno, con i capelli ricci e la pelle un po’ abbronzata, carica di bracciali, che metteva tutto in ordine, con calma in maniera meticolosa, e non gliene fregava niente di chi c’era dopo, sembrava seguire un ordine preciso di barattoli, come se ci fosse solo lei.
La signora, col suo passo calmo si avviò verso l’uscita, ma non la imboccò, niente affatto, si fermò, invece, vicino Federico. Lo squadrò un momento e poi disse, scuotendo la testa “Che vergogna”.
Federico restò inebetito, senza capire, ma la signora decisa fece dietrofront e si avvicinò al punto informazioni, chiedendo chi avesse lasciato lì quel ragazzo, manco fosse un animale, è una vergogna. La signora del punto informazioni restò spiazzata, ma la vecchia con i bracciali non si fermava, continuava a dire quelle due parole, “che vergogna”. Qualcuno si girò a guardare verso Federico, anche la cassiera carina, in quel momento, era girata verso di lui, che era diventato il centro dell’attenzione. “Chi è, chi è che l’ha lasciato lì!”, continuava a gracchiare la braccialuta, e Federico si sentì tutti gli occhi puntati. Desiderò di sparire, liquefarsi e gli sembrò di perdere il controllo del suo corpo perché tremava tutto.
Qualcuno chiamò Alfredo Ciuffrè, che comparve correndo affannato e preoccupato, temendo fosse capitato qualcosa al nipote. La signora lo affrontò, indicando Federico e dicendo cose che il ragazzo neanche più sentiva. Il nonno, senza perdere la calma, puntò la vecchiarda all’altezza della spilla d’oro che teneva appuntata sulla giacca e le sputò addosso.
Poi afferrò la sedia a rotelle del nipote ed uscì con la signora che strillava ancora. Federico smise di tremare, tirò il fiato, mise in ordine i pensieri che si erano tutti ingarbugliati e chiese ad Alfredo Ciuffrè: “Ti sei ricordato le pesche sciroppate?”