Handicap_Verdiana Maggiorelli, Vigolzone(PC)
_Racconto finalista diciannovesima edizione Premio Energheia 2013.
Elena
Okay, adesso mi lavo la faccia, faccio un bel respiro e rimando la decisione a domani.
Marika s’è addormentata, finalmente. Ho dovuto cantarle “Stella stellina”, come fosse Natale e siamo a ferragosto.
A dire il vero, non mi sembrava troppo sconvolta da quanto è accaduto. Io sarei morta. Però, cazzo, perché non ti parlano mai del sesso quando fai il corso di volontariato? Perché non ti dicono come gestirlo, come parlarne, come intervenire pra-ti-ca-men-te quando deflagra, come stasera? Che ne so io del sesso, che prima di darla via ho fatto passare diciott’anni e adesso che ne ho ventidue, sono ancora piena di paturnie? Figuriamoci un portatore di handicap! No, le paturnie le hanno soprattutto i genitori. Per loro sì ch’è un problema, anzi “il” problema. Da sedare, annullare, affondare con il bromuro, nel gorgo nero delle proprie paure. Come se un handicappato non avesse diritto a una vita sessuale, come se l’amore, per loro, fosse “diverso”.
Dio, perché mi sono battuta tanto per questa gita sul lago? Chi me l’ha fatto fare? Eppure l’organizzazione era perfetta, quindici handicappati e venti tra educatori, volontari e obiettori, mi sembrava una buona proporzione… Io mi son presa Marika, perché sono l’ultima arrivata e non ho ancora molta esperienza.
Lei si muove bene, non deve essere imboccata e ha un buon carattere. Abbiamo stabilito un rapporto eccezionale.
Partire è stata una festa per tutti. Quattro pulmini, due auto e un’allegria sfrenata, una carovana in viaggio verso il paradiso. Ed è proprio un paradiso questo posto, una villa del settecento con un grande parco affacciato sul lago e protezioni ovunque. Dobbiamo ringraziare la buonanima della contessa Lanfranchi che l’ha lasciata in eredità all’associazione. Era andato tutto liscio finora, poi… cazzo, cazzo, cazzo, è bastato un mio attimo di distrazione.
Mi è arrivata in camera con le gambe che grondavano sangue e io ci ho messo un bel po’ a capire… , anche perché lei era eccitata, sembrava quasi felice, anche se i suoi occhi lanciavano brevi lampi di paura… Che faccio adesso? Dovrò relazionare ai miei superiori? Mi cacceranno…
Basta, ci penserò domani. Ma devo prendermi una melatonina, se voglio dormirci sopra.
Iesus
Mi chiamano così, perché somiglio a Gesù Cristo. Anche lui aveva gli occhi azzurri, i capelli biondi e la barba come me. Non era spastico, ma che vuol dire? Il mio cervello è lucido come il suo, forse di più perché anch’io creo, ma solo cose belle: uccelli tropicali, fiori, paesaggi da sballo… Al laboratorio di ceramica l’hanno capito tutti che sono un artista con i fiocchi. Non impasto più la creta io, non mi sporco le mani… Quando il vaso esce dalla smaltatura, Elena mi mette il pennello in bocca e io volo con i colori: i verdi e i blu sono i miei preferiti, ma in certi giorni, mi prende una smania di rosso. Rosso-passione, rosso-rabbia, rosso-sangue.
Nessuno lo sa, ma quando passeggio con il deambulatore, ogni tanto mi fermo, trattengo il respiro, stacco piano le mani. Allora sento che i movimenti del mio corpo si equilibrano e i muscoli la smettono di gettare braccia e gambe, dove vogliono loro. Allora l’attimo si espande, lo spazio si dilata e riesco a percepire meglio gli sguardi. Sguardi di donna che m’inseguono, mordono, chiamano… Sono tutte innamorate di me. Ma io sono innamorato di Elena. Cazzo, com’è bella quando arriva la mattina, tutta trafelata, con quel borsone blu e il saluto squillante che illumina tutta la stanza! Mi fa impazzire la sua camminata, quel ricciolo che ogni tanto le cade sulla fronte e lei spazza via con un soffio, mi fa impazzire come riesce ad essere materna e sexy, burbera e tenera, forte e fragile. Elena che m’imbocca, che mi dà i buffetti in testa quando le sparo troppo grosse, che ride, come una matta, alle mie battute e si commuove per niente… È così la moglie che vorrei. Ma quale moglie? Chi si sposa un handicappato? Nemmeno le seghe so farmi. Oddio, un mio metodo l’ho elaborato, ma vuoi mettere con il movimento fluido di un normodotato? O, meglio ancora, con una manina di donna? Ci ho provato a chiedere a Elena di accompagnarmi in bagno, ma lei inalbera sempre quella sua faccetta ironica: “Non fare il furbetto, Iesus”. Così mi tocca sempre il maschio ad aprirmi la lampo e a tirarmi fuori l’uccello per pisciare.
Chi non sopporto è Marika. Lei va e viene, perché non è un’handicappata grave. Un po’ indietro di testa, tutto qui. Una bambina scema di trent’anni. Però, Marika il sesso te lo spara in faccia, devono sempre correre a tirarle giù la gonna, che solleva davanti a tutti. È una spudorata e mi ha puntato di brutto. Mi soffoca, m’irrita, mi fa andare fuori di testa… Gliele taglierei quelle salsicce di mani, che mi toccano dappertutto. Gliela strapperei quella linguaccia che tira fuori per provocarmi o, peggio ancora, per dirmi che mi ama. Senza contare che ha un culo che sembra una mongolfiera. Io Marika la odio.
Speravo che non venisse al lago, invece è venuta, la stronza.
Sua madre l’ha caricata sul pulmino, all’ultimo momento, come un pacchetto stridulo di cui ci si vuol liberare. La capisco. Marika è un flagello e almeno, avesse un handicap motorio che la obbliga a stare ferma, immobile, senza fare danni! Non ha nemmeno un padre che possa darle un bel ceffone, ogni tanto.
Comunque, io pescavo, dal mattino alla sera, me l’ha insegnato Marco e Andrea mi ha prestato la canna. Mi ha anche procurato una scatola di gamberi surgelati per fare da esca.
Ragazzi é fantastico pescare! Te ne stai lì, a fissare quel sughero rosso che galleggia sull’acqua e tutto l’universo ti entra dentro: alberi, acqua, nuvole, cielo, pace, armonia.
Guardi le tue mani strette sulla canna e ti stupisci che non volino via, ad acchiappare il tramonto. E pensi ad altri tramonti che potresti attraversare, non più a scatti, ma a scia di cometa.
E diventi sentimentale, come una femminuccia, ti ricordi il profumo della torta di mele che ti faceva la mamma o la carezza maldestra di tuo padre. Ti sembra possibile amare, avere un futuro, una casa, dei figli e una come Elena accanto, ad attizzare il fuoco nel camino e a prenderti in giro.
Ti dimentichi, persino, che noi handicappati non duriamo a lungo. La morte, che ti sta sempre aggrappata alla spalla, come una civetta malefica, affoga nell’incanto e ti senti “normale”, invincibile, eterno.
Finché qualcuno non viene a romperti i coglioni.
Era un cavedano o un siluro, non so. Tirava come un disperato, adrenalina a mille, era il primo pesce che abboccava, ma i miei muscoli erano più entusiasti di me e sparavano mani, braccia e testa da tutte le parti, cazzo. E quello tirava e mi tirava giù. “Andreaaa Andreaaa”, chiamavo… mi aveva appena lasciato solo, per andare a vedere a che punto era la cena… Non volevo mollare la canna, non volevo perdere il pesce e quando sono riuscito ad alzarmi in piedi, le gambe non hanno retto.
Bella fine, ingloriosa, del grande pescatore. Lungo, disteso a faccia in giù nell’erba alta, non sapevo se piangere o ridere e nel dubbio, seguivo il percorso di una coccinella lungo un filo d’erba, sperando che qualcuno venisse a cercarmi.
“Ammmoooore”, sento a pochi passi da me e la falcata pesante della culona. Tra tutte le sventure che possono capitare a un uomo, questa era la peggiore. Apriti terra e inghiottimi. Ma lei, già mi tocca e mi ribalta su un fianco. “Ci sono qui io… e adesso ti faccio l’amore, così stai bene…”, e blatera, blatera con gli occhi dolci, sdilinquiti e più cerco di cacciarla, più mi viene addosso. Così a un certo punto mi arrendo, devio gli occhi sul cielo e mi do per morto. Allora lei mi apre la lampo dei jeans, mi infila le mani dentro le mutande e me lo tira fuori. Poi si mette distesa su un fianco, di fronte a me, vicina, vicina, che sento il suo fiato sugli occhi e aspetta chissacché.
Le dico troia puttana, mi fai schifo, ma, intanto, mi diventa duro, come il marmo. Avrei voluto infilzarla come un maiale allo spiedo, ma la distanza tra il mio cazzo e la sua figa era una conca insuperabile per il mio corpo rattrappito. “Dammi il culo”, le ho detto. E lei s’è tolta le mutande ed ha eseguito, come una bambina ubbidiente.
L’ho sfondata con un odio feroce. Quel suo culone bianco era il ricettacolo di tutta la rabbia che avevo incamerato dal primo vagito. I colpi partivano in automatico: uno, due, cento, come se dovessi sfondare le porte dell’inferno. Ed era nero, poi rosso, poi… pieno di stelle. Lei urlava in silenzio. E rideva e urlava e piangeva e diceva: “Mio amore, mio sposo”, e questo mi faceva incazzare, ancora di più. Però, è stato un orgasmo strepitoso e alla fine mi faceva un po’ pena.
Elena l’ha chiamata dalla finestra e lei è corsa via, come la Vispa Teresa, barcollando, ridendo e asciugandosi il moccio.
Ebbene sì, ho violentato un’handicappata. Il bello è che non solo non finirò in galera (d’altronde, lei era consenziente), ma nessuno oserà attribuirmi la minima responsabilità. Figuriamoci, a un povero spastico… Chissà perché, la gente preferisce pensare che siamo tutti buoni. Che solo perché biascichiamo con la bocca storta, non siamo capaci di intendere e di volere, come loro.
E ci parlano, come si parla ai bambini. E ci sorridono fino a farsi paralizzare la mascella. Chissà perché nessuno ci dice in faccia “Sei una carogna, uno stronzo, un bastardo”, elevandoci così al loro livello…
Marika
Lui mi vuole, mi vuole, mi vuole! Stella stellina, la notte si avvicina… Male, ahia. Culo male. Elenina carina m’ha lavato e mi ha messo la pomatina. Cattivo Iesus, però mi vuole. Bisogna far così per sposarsi, bisogna stringere i denti e sopportare un po’ di dolore. E avrò l’abito bianco e voglio anche le ali, i fiori e la corona in testa. E la mia mamma sarà lì e mi dirà come sei bella, Marika! E come sei intelligente, anche, che hai scelto Iesus, tutto biondo, che è un bravo ragazzo, ti farà felice. E non la smetterà più di abbracciarmi e dirmi che sono stata brava. Chissà che faccia ha il mio papà… ma verrà, sicuramente, anche lui, perché ne parleranno tutti i giornali e la televisione. E gli dirò, sono una donnina sai? Ho fatto sesso con il mio amore e avrò anche un bambino. E tu diventerai nonno, ma guarderai più me, che il bambino, perché non mi hai mai visto e ti devo raccontare tutta la storia… di quando ero piccola, di quando strappavo le pagine dei quaderni, di quando ho ingoiato la pallina, di quando la zia mi ha regalato l’orologio, di quando…