Una Cerimonia di Premiazione in quel gioiello inestimabile d’Italia_di Olga Di Gesualdo.
Ed allora eccomi qui! Credo però di dover andare un attimo a ritroso per spiegare questa mia passione per la scrittura.Ho sempre amato scrivere, come ho avuto da sempre un debole per ilsentiero umanistico.
Adoro leggere, contemplare l’arte; amo studiare le radici della nostra civiltà e della nostra cultura, avventurandomi tra tutti quei popoli con cui abbiamo avuto scambi e relazioni, non per una tendenza malinconica di vita a guardare solo al passato, ma perché credo che sia solo a partire dallo studio delle glorie e delle sconfitte, dei pregi e difetti dei nostri predecessori che possiamo tentare di costruire, consapevoli, un futuro migliore!
Posso affermare, quindi, che io abbia un po’ una predisposizione alla scrittura e che possa considerarla un dolcissimo dono che Dio mi ha fatto; ad ognuno infatti Egli dà uno strumento, un seme da poter mettere a frutto e in comunione con l’altro.
Scrivo per condividere emozioni, sensazioni, esperienze, colori; scrivo per comunicare qualcosa; scrivo per amore della scrittura; scrivo per dare un impulso, un argomento su cui trovarsi d’accordo o meno; scrivo perché una delle cose più belle è decisamente relazionarci gli uni con gli altri.
Come ho detto anche durante la cerimonia del Premio Letterario, ho un rapporto particolare con la scrittura.
E’ così che nascono i miei racconti: un flash, e poi dita e mente in armonia cooperano per dargli voce, tempo, spazio; insomma, per donargli una vita a tutti gli effetti.
Per il racconto con cui ho partecipato a questo Premio, ciò che mi ha spinta a scrivere è stato questo: noi uomini abbiamo un eccezionale potere, e forse Dio si è fidato troppo di noi nel donarcelo, che è quello di poter, anche con una sola parola, entrare e modificare, talvolta radicalmente, la vita dell’altro.
Questo è fantastico se pensiamo a come nelle intemperie della vita basti un abbraccio a darci la speranza che tutto possa ricominciare; ma è un’arma a doppio taglio, perché possiamo essere anche più penetranti di un proiettile e più taglienti di una lama. Insomma possiamo annientare con poco il nostro fratello.
Esempio illuminante, su cui più strettamente si basa la mia storia “Un dolce vermiglio fior”, è la violenza sulle donne; e ancor più precisamente come una donna, VITTIMA di atti e parole dissacranti, possa sentirsi perfino COLPEVOLE di ciò che subisce; un vero e proprio paradosso.
La mia protagonista, Livia, ci permette di entrare nel bel mezzo di un suo monologo interiore, in cui cerca di dare giustificazione a tutti i suoi strani comportamenti e gesti che è costretta a compiere, in un crescendo di assurdità, che tocca l’apice quando ella stessa si rende conto di stare mentendo a tutti, ma per prima a se stessa, affermando che la sua vita vada bene.
Così decide di fuggire dalla sua prigione interiore ed esteriore, di denunciare, di squarciare il velo della verità e di dare di nuovo senso e gioia alla sua vita. Ma il narratore ci farà capire che non sarà così: non denuncerà, non urlerà, tutto continuerà come prima.
Una tragedia? No, un appello: un appello ad aiutare noi per primi queste donne, senza aspettare che siano loro a dire, a denunciare e a prendere un’iniziativa; perché sono veramente convinte che la loro vita vada a rotoli non per la malsana perfidia loro carnefici, ma a causa dei propri comportamenti, della propria incapacità, inutilità.
Le parole hanno modificato il loro senno, la loro vita, la loro identità.
Così un bel giorno, ho deciso di spedire il racconto che avevo scritto qualche tempo prima a questo pregevole Premio Letterario.
Confesso di non aver preso la cosa troppo seriamente, in quanto la giuria sarebbe stata più che illustre e soprattutto un numero incommensurabile di racconti avrebbe concorso insieme al mio.
Ma se non proviamo e non speriamo, togliamo noi a noi stessi delle grandi opportunità.
Passati alcuni mesi, finalmente, è arrivata la mail col verdetto e… sì, io ero tra i finalisti e sarei dovuta recarmi alla Cerimonia di Premiazione in quel gioiello inestimabile d’Italia, che è la città di Matera, capitale Europea della cultura.
Inutile precisare quanto bello sia stato ascoltare i consigli degli scrittori, le loro testimonianze e aver condiviso con gli altri dodici finalisti di ogni età la propria esperienza, il perché della nostra storia.
Quando mi hanno chiamata a ritirare il mio premio e a parlare del mio racconto è stata un’emozione che difficilmente dimenticherò nella vita, così come è stato stupendo vedere, tra tutte le città di provenienza degli altri autori finalisti, il nome di Campo di Giove, stampato accanto al mio nome e al titolo del racconto, che verrà pubblicato nel 2016 nell’antologia, contenente tutte le 13 storie in finale.
Tengo a precisare che non ritengo questa esperienza un traguardo, ma solo un punto di partenza, nella speranza di poter scrivere tante altre storie su cui sognare e tramite cui comunicare!
Ringrazio, inoltre, una per una e senza distinzione, tutte le persone che mi hanno rivolto una parola, un pensiero e un augurio, colmandomi di immensa gioia; la mia famiglia che ha condiviso con me ogni attimo di questa avventura con sincero entusiasmo; “Onda Tv”, “Il Centro” e Antonio D’Amico per avermi permesso di condividere con tanti questa bella esperienza.