Quell’Energheia che si può leggere come esserci, nel senso di fare, e di sbagliare, e di riprovare, e di andare, per poi poterlo scrivere, Valentina Farinaccio
Giuria Premio letterario Energheia 2019_ XXV edizione.
Mentre scrivo questa introduzione, il mondo è fermo, ostaggio di una pandemia.
Ecco, sembra l’incipit di un racconto di fantascienza: “Il mondo era fermo, ostaggio di una pandemia”.
E invece no. Invece la fantasia, in questo caso, non serve. Ci ha già pensato la realtà, ha fatto tutto da sola. Le nostre case, piccole, grandi, soffocanti, piene, rumorose, o tanto vuote e zitte da fare male, non sono più il posto in cui tornare, né quello da cui partire. Sono la prigione in cui restare, chiusi, per salvarci.
Un virus nuovo e spericolato si è preso, negli ultimi mesi, la vita di troppe persone, e non sono quella.
Si è preso un bel pezzo di primavera, anche, le feste di compleanno, gli abbracci, le pacche sulle spalle, i baci, le mani, le corse, gli addii come si deve, e chissà quante cene fuori, e chissà quanti caffè al bar. Un virus arrogante si è rubato tutto, lasciandoci ad aspettare, immobili.
Immobili, appunto, che è un po’ il contrario di quell’Energheia che dà il nome al premio di cui sono stata giudice, alcuni mesi fa, in una Matera ventosa e allegra, quando nessuno di noi, fra organizzatori e giurati e partecipanti, avrebbe mai osato immaginare il seguito. Ecco, ancora una volta sembra di stare in un racconto, alle prese con il colpo di scena, quello che sconvolge, che mette ogni cosa in disordine, e che costringe il lettore a smontare le certezze, talvolta a ricominciare.
Avrei voluto che vincessero tutti, i racconti che state per leggere, perché tutti mi hanno saputo lasciare qualcosa: una risata, un magone, un colore acceso. E oggi che quella gara è lontanissima, eppure così vicina da poterla toccare, in questo volume, voglio immaginare un po’ di futuro, e le storie che parteciperanno all’edizione del 2020. Voglio farlo come auspicio buono, perché immaginare qualcosa vuol dire cominciare a farla succedere. E farla succedere vuol dire aver scavalcato questo stare fermi, e aver rimesso in moto quell’energheia che si può leggere come esserci, nel senso di fare, e di sbagliare, e di riprovare, e di andare, per poi poterlo scrivere.
Il mondo era fermo, ostaggio di una pandemia.
Sembra l’incipit di un racconto di fantascienza, dicevo. E chissà di cosa parleranno le pagine di chi avrà contato, subìto e superato questo tempo sospeso. Io me le auguro ingorde di vita, tutto qua. E con un lieto fine, magari.