La ragazza con il cagnolino, Daphné Lecoeur
Racconto vincitore Premio Energheia Francia 2019
Traduzione a cura di Chiara Baietta
Coordinamento Prof.ssa Sidonie Larato
Dovevano essere le otto passate, a giudicare dalla penombra che c’era fuori. Avevo appena finito di riempire la vasca da bagno e mi ci immersi velocemente. Era l’inconveniente dei bagni sul pianerottolo: avevo sempre quest’assurda paura di farmi sorprendere nuda. Era assurda, sì, perché nessun’altro viveva in una delle chambres de bonne1 al sesto piano del palazzo.
Mentre affondavo nella schiuma e nell’acqua calda, i rumori della strada che si sentivano in lontananza attraverso la finestra aperta del corridoio sfumarono, lasciando spazio ai suoni più sfocati delle tubature e della caldaia. Il ronzio dei riscaldamenti aveva un nonsoché di riposante, e sentivo i miei muscoli distendersi poco a poco dopo un’estenuante giornata d’esami.
Ma sapevo che non sarebbe durato a lungo. E infatti, presto le grida dei vicini di sotto si fecero sentire, accompagnate da latrati qua e là.
Erano i proprietari della mia stanza. Cioè, in realtà erano una giovane coppia: lei era poco più grande di me, ma lui era il figlio dell’uomo che possedeva più o meno tutto l’isolato. E siccome ci trovavamo sulla collina Sainte-Geneviève, nel V2, è chiaro che il figlio non avesse bisogno di sudare per vivere. Eppure non l’avevo incrociato spesso, nonostante la sua oziosità. Ma la prima volta che lo vidi seppi subito con chi avevo a che fare: camicia e pantaloni da completo, orologio di lusso, abbronzatura da lampada. Non avevo mai visto il suo volto, che nascondeva sempre dietro a degli occhiali da sole così enormi, da essere ridicoli, ma il suo sorriso feroce mi era rimasto sufficientemente impresso perché diffidassi di lui. L’avevo classificato nella categoria dei benestanti maleducati, dei principini, che sono cresciuti fisicamente ma che non cresceranno mai mentalmente. Questo giudizio un po’ affrettato mi aveva impedito di conoscerlo almeno un po’, e mi andava bene così. Sua moglie, invece, la conoscevo un po’ meglio.
Il chiasso delle voci che tuonavano al piano di sotto continuava, accompagnato da rumori sordi di tanto in tanto. I latrati si fecero allora più forti, le loro vibrazioni facevano tremacchiare l’acqua nella vasca da bagno. Completamente sommersa, era come se fossi in una bolla e ogni suono proveniente dal piano sottostante riverberava nell’acqua e nelle mie orecchie. Mi sentivo isolata da tutto e onnisciente allo stesso tempo.
Le liti che sentivo allora erano cominciate qualche mese prima, poco dopo che la donna fosse venuta a vivere al piano di sotto. Arrivò nel condominio poco dopo di me e, approfittando del torpore delle vacanze estive, l’aiutai a traslocare la sua roba. Mi ricordo la mia sorpresa nel vedere che si trattava quasi solamente di vestiti. Fu felice del mio aiuto, probabilmente perché ero la prima a mostrarsi un po’ affabile nel quartiere. Ma soprattutto fu allora che incontrai il suo cagnolino. Non conosco il nome di nessuno degli abitanti del palazzo, ma il piccolo Toby è il mio cocco. Un bassotto, adorabile e pieno di energia, che non sembra accordarsi bene con la sua padrona, tipica ragazza chic di buona famiglia, che non ho mai visto sorridere veramente. Eppure non l’avevo mai visto abbaiare con me. Capitava spesso che, mentre scendevo le scale dal sesto al quinto piano, lei aprisse la porta di casa sua facendomi un cenno e chiedendomi di portare a spasso il cane un’ora o due in cambio di qualche soldo. Attraverso la porta accostata, non mostrava mai niente di più che il capo. A parte questo, non ci siamo mai scambiate niente di più delle le solite banalità. Avrei potuto provare ad innescare la conversazione qualche volta, certo, ma c’era sempre quel qualcosa nella sua voce, nella sua postura, ma soprattutto nel suo sguardo, che non avrei saputo definire, ma che mi metteva a disagio. E di sicuro i melodrammi di grida accompagnati dai guaiti quasi ogni sera avevano qualcosa a che fare. Quindi evitavo di parlargliene troppo. Mi sembrava un atteggiamento un po’ codardo, ma rischiavo di essere cacciata dall’alloggio andando a ficcare il naso nelle cose che non mi riguardavano.
Ora era veramente più forte – no, in realtà era più forte di tutte le altre volte. La mia bolla d’acqua tremava sempre di più via via che le vociferazioni di insulti e il fracasso generale andavano crescendo. I guaiti e i latrati del bassotto sembravano non volersi più fermare. Dei nuovi rumori, più cupi e violenti ora si facevano sentire nel baccano, ma riuscivo a distinguere ancora meglio il battito assordante del mio cuore. Cosa potevo fare?
La voce maschile sembrò esplodere.
Dovevo chiamare la polizia?
Ci fu un rumoraccio sordo, un grido soffocato.
A chi potevo chiedere aiuto?
Uscii dalla vasca in fretta e furia, mi asciugai e mi vestii in preda al panico per uscire in un lampo sul pianerottolo e mi precipitai giù per le scale.
Non si sentiva più nessun guaito.
1 N.d.T. Anguste stanzette senza bagno, tipiche degli edifici parigini del XIX secolo, dove alloggiava la servitù. Oggi affittate principalmente a studenti o giovani lavoratori.
2N.d.T. Si fa riferimento al V arrondissement, quartiere universitario e intellettuale nel centro di Parigi, situato sulla rive gauche della Senna.