Quando si tinge il cielo, Mojca Petaros_Trst
Racconto finalista Premio Energheia Slovenia 2020.
Traduzione a cura di Bruno Barraq, Università degli studi di Trieste, Dipartimento di Scienze Giuridiche, del Linguaggio, dell’Interpretazione e della Traduzione.
Guardava fuori dalla finestra. Il cielo sopra la città era nero ma, nonostante la nebbia, si riusciva a distinguere chiaramente un bagliore arancione rischiarare il cielo all’orizzonte.
Non aveva mai visto il cielo tingersi di così tanti colori contemporaneamente. Le prudeva la mano dalla voglia di prendere un pennello e fissare sulla tela quello spettacolo. Ma soppresse quel desiderio. Non le sembrava giusto dipingere un tale orrore. Chiunque, guardando dalla finestra, avrebbe capito che quella luce chiara all’orizzonte non poteva in nessun modo essere il sole. La stella, che a quell’ora doveva già brillare in alto sopra la città, quel giorno si intravvedeva a malapena a causa delle nubi di polvere. Devastanti lingue di fuoco si alzavano dal bosco e lambivano il cielo.
Il suo sguardo si spostò in basso, sulla strada. Le poche persone che, in un giorno come quello, si vedevano passeggiare, avevano i volti coperti da mascherine. Lei stessa, già dal giorno prima, non usciva di casa e teneva le finestre ben chiuse. Nonostante fossero passate diverse ore dall’ultima volta che la porta d’ingresso era stata aperta, Ana aveva la sensazione di sentire ancora in casa una lieve puzza di fumo. Fuori, l’aria era tossica.
Da un lato, Ana era contenta di non dover uscire in condizioni del genere, ma, dall’altro, non si sentiva al proprio agio nemmeno a casa. Non le piaceva fare da babysitter al suo fratellino di sei anni. Sapeva però di non avere scelta: la mamma doveva andare al lavoro, mentre Daniel aveva ricevuto una telefonata nel mezzo della notte perché era scoppiato un altro incendio da qualche parte.
Aveva perso il conto degli incendi che si erano verificati negli ultimi giorni. Aveva l’impressione che ogni ora ce ne fosse uno nuovo da qualche parte. Quello che la infastidiva di più era che, fino a quel momento, solo uno dei criminali responsabili di quello scempio era stato catturato e arrestato. È vero che la siccità è spesso causa di incendi sui terreni agricoli, ma la maggior parte di quei roghi era senza dubbio di origine dolosa.
“Quando torna Daniel?” chiese il piccolo Leo ad Ana, la quale continuava a guardare assorta dalla finestra. Anche lui avrebbe preferito essere in compagnia del fratello maggiore anziché della sorella; nonostante Daniel fosse cinque anni più grande di Ana, aveva molta più pazienza di lei con il piccolo di casa.
“Non lo so”, sospirò Ana. Non voleva pensare a Daniel. A Leo mancava solo qualcuno con cui giocare, Ana invece era preoccupata per lui. Sapeva che non poteva rispondere al telefono quando era occupato a spegnere gli incendi, ma questo non le dava alcuna consolazione. Ogni volta, si ritrovava ad aspettare con ansia il messaggio di Daniel che l’avvertiva che stava tornando a casa sano e salvo.
“Oh, si vede ancora il fuoco”, esclamò deluso Leo, sbirciando dalla finestra. “Se tuo fratello dovesse tornare a casa solo dopo aver estinto tutti gli incendi, non lo vedresti per una settimana di fila”, pensò Ana ma non disse nulla.
“Potresti giocare un po’ da solo”, propose lei. Leo abbassò lo sguardo deluso. “Forse potremmo disegnare qualcosa insieme?”, provò ancora Ana.
“Non mi va di disegnare”, protestò il piccolo. Ana fece un altro sospiro. Era convinta che a tutti i bambini dell’età di Leo piacesse disegnare; alla sua età, lei trascorreva la maggior parte del tempo con i pastelli in mano. Suo fratello e lei avevano veramente poche cose in comune.
“D’accordo, allora puoi guardare i cartoni in TV”, si arrese lei. A sentire questo, gli occhi di Leo si illuminarono. La mamma gli permetteva solo di rado di guardare la TV e solo la sera, e anche in quelle occasioni, era solo per un breve periodo. Però essere chiusi in casa tutto il giorno a causa degli incendi conta come un’occasione eccezionale, giusto?
Leo si precipitò nel salotto, come se avesse avuto paura che la sorella potesse cambiare idea. Ana guardò per l’ultima volta dalla finestra e poi andò nella camera della madre. Le pile di libri di suo padre erano ancora sulle mensole; sua madre non li aveva messi via dopo la morte di papà, sebbene non fosse una lettrice assidua. Nemmeno Ana leggeva spesso, ma in quel momento un buon libro le sembrava il modo migliore per distrarsi.
Afferrò il primo libro che, a giudicare dalla copertina, sembrava allettante e si sedette sul letto. Osava farlo solo quando la mamma non era a casa. Non perché la mamma avesse qualcosa in contrario a trovarla in camera propria; piuttosto, aveva paura che le facesse qualche domanda scomoda. Non voleva essere costretta a spiegare che quella camera le piaceva di più della sua, che lì dentro si sentiva ancora vicina a suo padre, anche se era passato già tanto tempo.
Già dopo la prima pagina Ana si rese conto di non aver fatto una buona scelta: il romanzo parlava di un luogo in cui la Morte aveva smesso di fare il proprio dovere, facendo diventare all’improvviso tutti immortali. Nonostante l’ironia, la trama catturò la sua attenzione e, per un po’, riuscì a dimenticare quel mondo in cui le persone avevano ancora paura di morire.
Dopo qualche tempo, tuttavia, si stancò di leggere. Non era come papà che, quando aveva abbastanza tempo libero, riusciva a leggere un romanzo dall’inizio alla fine senza alzarsi nemmeno una volta dalla poltrona.
Andò in salotto, dove Leo era tutto intento a guardare la TV. Quando prese il telecomando dal divano e cambiò canale, il piccolo protestò a gran voce, ma lei lo ignorò. Passò al telegiornale locale che ovviamente trasmetteva notizie dalla zona degli incendi.
“Scusa Leo, vorrei solo vedere questa cosa…” mormorò distrattamente, senza distogliere lo sguardo dallo schermo. Era consapevole del fatto che probabilmente si stesse facendo più male che bene guardando il notiziario dal quale non sarebbe stata in grado di capire se Daniel era sano e salvo. Ma non riusciva a trattenersi.
“Sale quindi il numero delle vittime degli incendi. Stando agli ultimi aggiornamenti, ora sono sessantasette…”
A quelle parole, il cuore di Ana si fermò per un istante. Poi scosse la testa e si rimproverò di essere sempre così sciocca. Perché doveva sempre pensare al peggio? No news is good news, dicono gli inglesi. Il silenzio di Daniel voleva solamente dire che era ancora impegnato a spegnere gli incendi. Continuava a dirsi che era tutto a posto, ma allo stesso tempo non poteva evitare di chiedersi, se fosse successo qualcosa a Daniel, quanto tempo ci sarebbe voluto per ricevere la notizia.
Quando squillò il telefono, Ana trasalì e Leo la guardò stupito. Premette con dita tremanti il tasto di risposta. “Sì?”
“Ciao, Ana”, disse una voce familiare.
“Rafael!”, esclamò Ana salutando con un sollievo il suo fratello più grande. Ma, subito dopo, l’ansia tornò ad assalirla. “Perché mi stai chiamando?”
“Come, perché?” si finse offeso Rafael. “Mi mancava la mia sorellina, ecco perché.”
“Come no!” sbuffò Ana. “Non mi avevi mai chiamato così, all’improvviso. Avevo paura che fosse successo qualcosa.”
Mentre era al telefono, Leo si precipitò verso di lei: “È Rafael? Anch’io voglio parlarciii!”
“Non ora, Leo” lo zittì Ana e, prima che il fratellino potesse afferrare il telefono, si chiuse nel bagno, ignorando le proteste e i colpi sulla porta.
“Hai sempre troppa paura tu!” le disse Rafael. “Cosa dovrebbe essere successo?”
“No… niente”, rispose lei. “Scusa, ma Daniel è ancora in servizio sul luogo degli incendi, per questo sono un po’ agitata…”
“A che ora è andato via?”, le chiese Rafael.
Quella domanda confermò ciò che Ana aveva intuito non appena aveva risposto al telefono: anche Rafael era in pensiero per Daniel. In effetti, era stupido da parte sua pensare che Rafael avrebbe potuto darle qualche notizia in più. Da quasi due anni viveva con sua moglie nella capitale, a centinaia di chilometri dal loro paese natale e dall’epicentro degli incendi.
“Lo hanno chiamato la notte scorsa”, gli disse lei. “Pare ci sia stato un altro incendio.”
“Questo lo avevo sentito, sì,” sospirò Rafael. “Tu e Leo siete chiusi in casa, giusto?”
“Sì. Dovresti vedere cosa c’è fuori. Buio tutto il tempo, come se fosse sempre notte. Meno male che mamma lavora qui vicino, altrimenti mi sarei preoccupata anche per lei…”
“Dai, Ana, non è il caso di avere paura. Il fuoco non arriverà fino a lì.”
“Lo so. Ho paura soprattutto per Daniel. So che lui si occupa di queste cose tutto l’anno, però… Sono morte già sessantasette persone.” A ripetere quella cifra, le si spezzò la voce in gola. “Vorrei che avesse scelto un lavoro meno pericoloso,” ammise lei.
“Che ci vuoi fare? Lui è sempre stato uno a cui piace l’azione,” disse Rafael. In un certo modo era vero, anche se Ana era convinta che Daniel probabilmente avrebbe scelto di continuare gli studi, se la situazione fosse stata diversa. Ma avevano perso il padre, la madre doveva sfamare tutta la famiglia con il proprio stipendio e non ci sarebbero stati abbastanza soldi.
“Digli di chiamarmi, quando torna a casa,” disse Rafael. “È da un bel po’ che non lo sento.”
Ana gli promise di farlo, poi cambiarono argomento e ne fu sollevata. Le piaceva chiacchierare con suo fratello, ma continuare a parlare di Daniel faceva solo aumentare la sua preoccupazione. Così chiese a Rafael del nipotino e di sua moglie che non vedeva da un’eternità.
Stavano chiacchierando da un po’ quando sentì di nuovo bussare forte alla porta.
“Ana! Ana, apri!”
“Leo, dai, smettila per piacere,” rispose Ana esasperata. “Potrai salutare Rafael non appena avrò finito di parlargli, d’accordo?”
“Ma Ana, c’è Daniel!”
“Che cosa? Dove?”, esclamò sbalordita.
“Alla televisione!”
In quel momento Ana si ricordò di aver lasciato la televisione accesa in salotto. Salutò Rafael in fretta e aprì finalmente la porta del bagno.
Leo le prese subito la mano e cominciò a tirarla verso il salotto. “Guarda, guarda!” continuava a gridare indicando lo schermo.
Ana lo seguiva con lo sguardo, confusa. “Dov’è Daniel?” chiese.
“Qui!”. In quel istante, il pompiere che Leo stava indicando, si coprì la faccia con maschera di protezione. Era difficile distinguerlo dagli altri uomini sullo schermo che si stavano preparando ad entrare nell’edificio in fiamme.
“Ecco perché non è ancora tornato! Deve prima aiutare tutte queste persone a non rimanere senza casa.” rispose felice Leo.
Ana in quel momento provò invidia per il fratello minore. Con la sua immaginazione di bambino, Leo aveva trasformato Daniel in un supereroe che proteggeva la città dai pericoli. Non è che Ana la pensasse diversamente: anche per lei Daniel e i suoi colleghi erano degli eroi. A differenza di Leo, però, sapeva che erano persone normali e quindi non riusciva a credere ciecamente che sarebbero tornati a casa sani e salvi.
Afferrò il telecomando e spense la televisione. “Ma Ana, c’è Daniel!” protestò Leo. Non riusciva a capire perché la sorella si comportasse di nuovo come una guastafeste.
“Basta televisione per oggi,” disse lei. “Dai, andiamo in camera e giochiamo un po’ insieme. Come vedi, Daniel non tornerà a casa tanto presto, e neanche la mamma.” Ana non era certa che sotto quella maschera antincendio ci fosse davvero il loro fratello. Leo poteva essersi immaginato tutto e, a dire il vero, lei stessa non sapeva scegliere quale versione le piacesse di più.
Le ore successive passarono veloci e lente al tempo stesso. Ana finì quasi di leggere il libro del padre, insegnò a Leo a giocare a carte, dopodiché lo convinse addirittura ad aiutarla a preparare il pranzo.
Dopo qualche ora, il telefono squillò di nuovo: era la mamma. Li avvertiva che, dopo il lavoro avrebbe fatto un salto in negozio. Stavano esaurendo le provviste e voleva riempire bene il frigo, per non dover uscire ancora di casa. Chiese se servisse qualcosa in particolare e Ana rispose di no, ignorando Leo, che urlava di comprare le caramelle. Ana sapeva che la mamma gli avrebbe comunque portato qualcosa.
Stavano giocando a comporre il terzo puzzle, quando Ana cominciò a diventare sempre più nervosa. Ogni paio di minuti guardava verso il telefono, che però era rimasto muto dopo l’ultima telefonata della madre. Daniel dovrebbe aver già finito a quest’ora, pensava. Nessuno è in grado di fare turni così lunghi.
Leo si stava annoiando e ricominciò a chiedere quando sarebbero tornati a casa gli altri. Ana perse la pazienza. “Quando ti calmerai!”, gli rispose bruscamente. Subito dopo si sentì in colpa, perché sapeva che questa volta il piccolino non era la causa del suo cattivo umore. Il tono minaccioso ebbe però l’effetto desiderato: Leo si rannicchiò triste sul divano e stette lì zitto zitto. La sorella si sentì male per lui e accese di nuovo la TV per fargli guardare i cartoni animati.
Quando sentì aprire la porta di casa, non prestò molta attenzione. Era convinta che fosse sua madre che tornava dal negozio. Quando però, nel momento in cui li sentì arrivare, Leo si mise a correre verso la porta, balzò in piedi anche lei.
Pur sapendo che indossava la divisa completa quando era in servizio, Ana si era immaginata inconsciamente che Daniel sarebbe tornato a casa tutto sporco di fuliggine e con qualche ustione. In quel momento però non aveva davanti a sé un vigile del fuoco, bensì suo fratello. L’unica traccia di quegli incendi era la stanchezza sul suo viso.