I Brevissimi 2020 – Pareti, Lidia Longo_Salerno
Anno 2020 – (I colori dell’iride – Azzurro)
Azzurra. Labbra costantemente dipinte di rosso, vestiti succinti, un velo di ombretto azzurro a coprirle le palpebre, uno strato di malinconia negli occhi.
Azzurra. Non avrebbe potuto chiamarsi in altro modo. Eppure all’anagrafe era Niccolò.
Azzurra non aveva paura. La vita non la spaventava, nemmeno la solitudine. Sicura di sé, aveva coraggio. Camminava a testa alta lungo le strade di Torino guardando tutti negli occhi.
Forza della natura, Azzurra non conosceva nessun Niccolò, o almeno aveva per anni cercato di dimenticarne l’esistenza. Forse quel bambino che di nascosto provava i vestiti di sua madre era sempre stato Azzurra. Niccolò non era lei. Niccolò non esisteva. E se così non fosse stato, allora Niccolò aveva semplicemente rappresentato un punto di passaggio verso la scoperta di se stessa.
Azzurra non aveva nessuno, ma non era sola. Azzurra amava ballare, anche senza musica.
Azzurra era sempre in viaggio, in una macchina, poi in un’altra, che l’avrebbero portata chissà dove. Un uomo, poi un altro. Si assomigliavano tutti, e lei, molto probabilmente, ne avrebbe dimenticato i volti subito dopo.
Azzurra cercava sempre di vedere del buono nelle persone, convinta che il mondo non le fosse ostile.
A soli diciannove anni, Azzurra, della vita, non ne sapeva assolutamente nulla.
“Sali, forza!”. Volto grassoccio, automobile lercia, testimone di una vita segreta e di passioni proibite. Quell’uomo la guardava sprezzante, come se non valesse nulla.
Azzurra salì in auto, salì spensierata. Chissà cosa avrebbe mangiato quella sera, seduta a gambe incrociate sul divano, con la radio accesa perché una TV proprio non poteva permettersela. Forse sarebbe squillato il telefono. Non si ricordava se l’avesse pagata o meno, la bolletta.
Intanto l’auto sfrecciava fra le strade adombrate dal cielo di un pomeriggio novembrino, allontanandosi dal centro. L’uomo al suo fianco puzzava di alcool. Azzurra cercò di non storcere il naso. Fece il suo lavoro, ma lui non le porse denaro. Scolò la sua birra fino all’ultimo goccio e la guardò torva.
Strinse il collo della bottiglia, impugnandola minacciosamente. Ad Azzurra mancò il respiro.
In una zona disabitata come quella in cui si trovava, nessuno avrebbe potuto sentirla urlare.
Azzurra non avrebbe mai sentito il telefono squillare, quella sera. Azzurra, viva, da quell’auto non sarebbe mai più scesa, il suo corpo gettato al margine della strada come fosse un mozzicone di sigaretta.
Prima di andarsene, Azzurra le aveva riviste, come in un lampo, le pareti azzurre della cameretta di Niccolò, quelle che aveva sempre affermato di odiare. Pareti azzurre. Lui, Niccolò, le preferiva rosa, come quelle della camera di sua sorella.
Azzurro. Ci era cresciuta, circondata dal quel colore, ne aveva persino acquistato il nome, forse ad indicare che una parte di Niccolò le sarebbe sempre rimasta dentro.
Azzurro. Ne sarebbe morta.
Azzurra, spirito libero, fuori dalla norma, aveva chiuso gli occhi per l’ultima volta. Palpebre azzurre.
Iniziò a piovere.