Aracnofobia, Domenico Rubino_Tricarico(MT)
Racconto finalista Premio Energheia 2020_XXVI edizione – sezione adulti
Hahni si svegliò dopo il suo abituale sonno di due ore. Preferiva svegliarsi poco prima che il sole calasse. Era da tanto tempo che non si faceva una dormita ma il sonno era così profondo che niente lo avrebbe svegliato, anzi se qualcuno lo avesse visto avrebbe sicuramente pensato che fosse morto. Preferiva dormire ai limiti della foresta in un posto soleggiato. Non sopportava il freddo, per questo aveva lasciato il suo paese d’origine ed era sceso a sud fin oltre il deserto dove cominciavano le foreste. Lì c’erano molti più animali e lui preferiva di gran lunga la carne a qualsiasi altro pasto. Non si faceva problemi sulla preda, poteva essere un piccolo roditore o una scimmia ma se poteva uccideva solo quadrupedi erbivori la cui carne era più saporita. Viveva al limite della giungla e non aveva paura dei predatori dato che anche lui lo era. Da molto tempo non vedeva un suo simile ma sapeva che da quelle parti non ce n’erano: stavano tutti a nord oltre il mare.
Non uccideva se non era necessario per mangiare o per difendersi. Comprendeva che la natura della giungla era basata su un equilibrio molto delicato. Se avesse ucciso tutte le prede sarebbero morti anche i predatori mentre se avesse distrutto tutti i predatori che lo attaccavano gli erbivori si sarebbero moltiplicati a dismisura fino a non trovare più spazio e quindi collassare morendo di fame. Un giorno si era spinto fino alla savana perché aveva voglia di antilope: era da molto che non ne mangiava una. Il problema si presentò quando sia Hahni che una leonessa avevano puntato lo stesso animale. La leonessa, a differenza sua, si era resa conto di ciò che stava accadendo e non avrebbe ceduto il pasto tanto facilmente. Mentre Hahni si preparava ad uccidere l’animale, la leonessa gli balzò alle spalle tentando di mordergli il collo ma non aveva compreso con chi aveva a che fare. Hahni evitò, con la sua velocità, le mascelle potenti e con un colpo deciso spezzò il collo alla leonessa. Quel giorno i suoi piccoli, come anche il maschio, non avrebbero mangiato mentre Hahni si sarebbe accontentato di carne di leone che per lui non era il massimo ma per i motivi che abbiamo spiegato non poteva uccidere un altro animale.
Mentre mangiava Hahni pensò al fenomeno umano. Come dal cuore del continente un gruppo di scimmie si era pian piano evoluto fino a creare gli ominidi che erano in grado di creare pochi oggetti. In poche migliaia di anni erano riusciti ad arrivare a pensare concetti più elaborati e a vivere insieme per proteggersi. Ai giorni di Hahni l’uomo aveva poco in comune con la scimmia a parte la somiglianza di alcune parti fisiche e quasi tutti gli organi interni. Lui era un esperto di anatomia sia animale che umana. Prima di mangiare esaminava sempre nei minimi dettagli come fosse formato il corpo al suo interno e aveva potuto farlo anche con qualche uomo ma erano stati pochi a morire per causa sua: la loro carne non era di suo gradimento. Era strano perché la carne di scimmia aveva tutt’altro sapore e lui la apprezzava, specie il cervello che gli piaceva anche crudo.
Mentre ancora mangiava spolpando le ossa, udì il richiamo della Madre. Non la madre terra che adoravano tutti gli uomini ma sua madre. Si diceva che la Madre avesse dato la vita a un grande numero e nessuno tranne lei sapeva esattamente quanti fossero i suoi figli. Il loro padre, il maschio, non aveva importanza e nessuno si preoccupava di sapere chi fosse. Si diceva che fosse morto molto tempo prima dopo aver messo incinta Macta, che era il nome della Madre, anche se nessuno dei suoi figli si permetteva di chiamarla così. I suoi figli si erano dispersi in tutto il globo vivendo ognuno nel clima che più gli piaceva. Nonostante fossero molti, Hahni non ne aveva incontrato alcuno durante tutto il tempo che aveva passato a sud al caldo. Ma la Madre li chiamava a sé e presto si sarebbero riuniti sapendo esattamente quanti fossero. Per quanto Hahni ne sapesse, Macta non aveva mai lasciato il luogo che considerava come casa sua pertanto non sarebbe stato difficile ritrovare la strada del ritorno.
Non c’era tempo da perdere. La Madre era molto severa e non tollerava ritardi. Secondo Hahni era altresì crudele e lui era convinto che fosse stata lei ad uccidere suo padre, certo non avrebbe osato mai chiederglielo: anche solo un accenno al maschio era considerata una grave offesa nella sua cultura e questo lo aveva imparato a sue spese quando era piccolo e sua madre lo aveva lasciato a digiuno per molto tempo quando aveva osato chiedere del padre. Non ricordava che i suoi fratelli, e le poche sorelle, avessero subito la stessa sorte. In realtà Hahni non lo sapeva ma lui era diverso dai suoi fratelli. Non immaginava che oltre l’oceano Araneo e Theri si fossero uniti e avessero avuto molti figli. Araneo era morto e Theri era diventata anch’ella una Madre: non aveva il dovere di accorrere come loro al richiamo e inoltre sapeva già cosa voleva Macta, c’era una sorta di affinità fra loro. Il matrimonio fra consanguinei non era né proibito né malvisto ma era semplicemente naturale. Tutti gli altri non si erano ancora uniti.
Si era già incamminato ed era rapidamente giunto nel deserto. L’aria calda gli faceva bene lo faceva sentire più attivo, più fresco. I suoi pensieri si susseguivano rapidi quasi quanto i suoi passi. Pensava che sarebbe stato bello vivere lì con quel calore ma la notte con i suoi rapidi cali di temperatura lo faceva desistere. Inoltre non c’erano le varietà di animali che poteva trovare nella foresta o nei suoi pressi. Di solito quando arrivava la stagione delle pioggie, Hahni si trasferiva un po’ più a nord oltre laa savana dove arrivava solo qualche goccia e si accontentava dei piccoli animali che trovava o addirittura non mangiava affatto per qualche mese. Non c’era fretta. Si distese sulla rovente rena e si lasciò riscaldare dal sole cocente. Che bellezza! Avrebbe voluto rimanere così per sempre. Quel giorno non c’era vento e tutto sembrava immobile. La sabbia si estendeva in tutte le direzioni e le dune sembravano colline spoglie e inamovibili. Pensava che sarebbe stato il primo ad arrivare dalla Madre perché era il più vicino. Da lei lo divideva solo quel caldo e confortevole deserto e un piccolo mare che avrebbe attraversato a nuoto in poche ore. Non voleva farsi sorprendere dalla notte che avrebbe portato con sé il freddo pungente causato dall’assenza di piante e acqua. Contava di non incontrare uomini nel suo viaggio. Sarebbe stato difficile spiegare come avesse potuto sopravvivere alla traversata con addosso solo i vestiti e senza cavalcatura e senza il pesante fardello di cibo e acqua che chiunque di loro avrebbe trasportato per attraversare quella distesa. Fortunatamente il richiamo era arrivato d’estate e non avrebbe avuto problemi a sostare per qualche giorno nella penisola che la Madre aveva scelto e che per lui risultava troppo fredda specie d’inverno.
La maggior parte degli uomini che Hahni aveva incontrato non si rendeva conto di chi aveva di fronte. Nella giungla capitava spesso che gli offrissero degli animali, proprio quelli che lui apprezzava di più. Gli abitanti della foresta avevano riconosciuto in lui un essere superiore e lo adoravano come un dio. Lui si guardava bene dal farsi scorgere nella forma umana che non avrebbe di certo suscitato adorazione. Quando prendeva gli animali offerti assumeva la sua vera forma. Nella sua razza erano tutti mutaforma e potevano assumere le sembianze di qualsiasi cosa volessero ma di solito preferivano farsi vedere nella forma dell’animale più intelligente cioè l’uomo. Dovunque andassero facevano così. La Madre non sarebbe stata d’accordo con ciò che lui faceva. Aveva più volte spiegato che se assumevano la forma umana era per non farsi riconoscere. L’uomo non era pronto a sapere di loro e soprattutto non si doveva interferire con le loro attività per non pregiudicarle. Gli uomini dovevano andare avanti da soli, senza aiuto. Ma la Madre era lontana e ad Hahni piaceva essere venerato. Questo avveniva solo nella giungla i cui abitanti erano a più stretto contatto con la natura e la rispettavano più di ogni altro popolo e ad Hahni questo piaceva molto. Erano più vicini alle sue idee di quanto si aspettasse. Forse avevano imparato da lui.
Verso il tramonto arrivò alla spiaggia. Aveva cavalcato letteralmente e ad una velocità inarrivabile per i più veloci cavalli. Anche il ghepardo si sarebbe ammutolito se l’avesse visto correre. Odiava l’acqua specie se fredda. Era estate e il problema non si poneva ma non avrebbe fatto la traversata di notte, preferiva aspettare il mattino inoltrato e verso mezzogiorno sarebbe stato il momento ideale per nuotare. Aveva mantenuto la sua forma originaria per tutta la traversata del deserto che con le sue otto zampe gli garantiva un’alta velocità ma non poteva rischiare che qualche uomo vedesse un ragno grande quanto lui prendere il sole in riva al mare. Là vicino c’era un insediamento umano, loro la chiamavano città e lui le odiava ma aveva bisogno di mangiare dopo la lunga corsa e avrebbe cercato qualcosa lì, magari un maiale.
Percorse i pochi chilometri che lo separavano dalle abitazioni a velocità ridotta simile a quella umana. Incontrò varie persone che lo guardavano stranamente. Delle femmine gli passarono accanto e subito dopo si misero a ridere: ancora non riusciva a comprendere certi atteggiamenti umani. Evitò fino all’ultimo di parlare con chiunque. Dopo tutto il tempo trascorso da quelle parti conosceva un po’ tutte le lingue che riusciva a imparare molto più in fretta di qualsiasi uomo. Per non destare sospetti decise di alloggiare in una taverna qualsiasi. Si potevano distinguere dal baccano che si udiva da fuori fino a notte inoltrata. Gli uomini passavano il tempo a bere succhi fermentati che Hahni non apprezzava perché riducevano la capacità di giudizio e a lui serviva essere sempre vigile per decidere nel modo migliore. Appena entrò tutti si girarono a fissarlo e calò un silenzio tombale, non capiva perché: forse aveva fatto qualche errore quando si era trasformato? Non lo credeva.
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Cosa vuoi moro? – gli chiese l’oste sembrando irritato.
Moro. Vagamente ricordava questo termine. Poi in un lampo capì tutto. Non era stato abbastanza
furbo. Abitare troppo a sud aveva avuto i suoi effetti negativi. Aveva sempre assunto la stessa forma e mai aveva pensato al colore della pelle. Era incredibile ma quegli ubriaconi badavano anche a queste inezie.
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Vorrei una stanza. – rispose imperturbato cercando di non dar peso alle parole dell’oste.
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Avete sentito? Il moro vuole una stanza – tutti scoppiarono a ridere mentre Hahni cominciava a innervosirsi. Avrebbe voluto spezzare il collo a tutti – Purtroppo non ho stanze per te ma se ti va bene puoi alloggiare nella stalla allo stesso prezzo, non ti chiederò di più – si udirono delle risatine.
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Va bene, quanto ti devo? – L’oste rimase stupito dall’atteggiamento di Hahni ma quando questi tirò fuori una moneta d’oro dalla sua sacca quasi gli venne un infarto – Basta per una notte?
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Per una notte? – l’oste non ci pensò due volte ad approfittarne e fissava la moneta che non aveva mai visto.
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Allora dov’è la stalla? – Hahni cominciava a spazientirsi.
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Fuori subito a sinistra – Rispose senza guardarlo.
Hahni andò subito nella stalla, poggiò la sacca, assunse la sua vera forma e prese posto nell’angolo più buio. Non poteva rimanere sempre trasformato, consumava troppe energie. Comunque non dormiva, non ne aveva bisogno, certe volte anche per mesi.
Nel frattempo l’oste andò al tavolo dov’erano tre malviventi che conosceva bene. Zere, Yera e Xola ascoltarono attentamente ciò che gli veniva detto in gran segreto dall’oste, poi, senza che nessuno badasse a loro, si alzarono e uscirono diretti verso la stalla e armati di pugnale. Zere, che era quello che comandava, intimò loro di fare silenzio, voleva fare un lavoro pulito magari anche senza ammazzare il moro. Aprirono adagio la porta e si guardarono intorno: del moro non c’era traccia. Arrivati in fondo trovarono la sacca che conteneva molte monete e si stupirono.
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Forse è andato al bagno – disse Yera ridendo.
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Non importa, prendiamo la sacca e andiamocene prima che torni – Xola era il più cacasotto.
Avevano già preso la sacca e stavano per andarsene quando udirono un verso mostruoso provenire da sopra le loro teste. Fecero appena in tempo a girarsi e l’ultima cosa che videro fu un grosso ragno nero, più grosso di qualunque altro, grande quanto un uomo se non di più. Il ragno spruzzò la sua saliva in rapida successione sulle facce dei tre malcapitati. Tentarono di urlare ma poterono solo respirare la sostanza appiccicosa che avevano in faccia. Subito caddero a terra come morti.
Hahni aveva dosato il veleno nella saliva in modo da non uccidere i tre uomini. Li avvolse nella ragnatela e li appese alla trave vicino al suo giaciglio. Gli era venuta fame e non gli sarebbe dispiaciuto mangiare uno degli animali che si trovavano là. Scelse il cavallo più giovane che era anche il più agitato. Gli saltò addosso e lo morse al collo. In breve tempo cadde stecchito al suolo. Prima di tutto gli succhiò tutto il sangue e si fece una bella scorpacciata ma non poteva sprecare tutta quella carne e nel corso delle due ore successive continuò a mangiare finché fu interrotto dai passi di qualcuno che si avvicinava.
Era l’oste che andava a controllare cosa fosse accaduto. Entrò circospetto nella stalla e Hahni lo osservava dall’alto. Mise prima gli occhi sulla sacca posata in fondo e solo dopo un po’ si accorse che mancava un cavallo. Gli sembrò molto strano e il primo pensiero fu che glielo avevano rubato ma quando si affacciò per vedere dentro gli scappò un grido: erano rimasti solo qualche osso con un po’ di carne attaccata e la pelle. Questo non lo fece desistere dal suo intento. Con gli occhi sbarrati si addentrò verso il fondo per prendere la sacca. Quando vide che non c’era nessuno si calmò un po’. L’aveva quasi presa quando udì lo stesso verso che avevano udito i suoi tre compari. Fece appena in tempo a voltarsi verso l’alto e fu colpito anche lui dalla saliva mista a veleno. Tentò di pulirsi la faccia in tutti i modi ma il veleno penetrava anche attraverso la pelle e in breve perse i sensi e cadde a terra. Hahni lo chiuse in un bozzo come gli altri e lo appese. Ci sarebbero voluti un paio di giorni prima che la tela si sfaldasse ma sicuramente qualcuno li avrebbe trovati prima solo che ci sarebbe voluta una lama ben affilata per liberarli. Hahni decise che per quel giorno ne aveva abbastanza degli uomini di quella città che erano ben diversi dai selvaggi della giungla, anche se i veri selvaggi erano loro. Si era riposato abbastanza e aveva fatto una bella mangiata. Decise che avrebbe trascorso le ultime ore in riva al mare. Si ritrasformò e andò via.
Giunse presto il mattino. L’aria era calda, il cielo terso e il mare calmo. Se le condizioni si fossero mantenute invariate, sperava di riuscire a raggiungere l’altra costa in circa un’ora. Certo non avrebbe nuotato nella forma umana: sarebbe stato rischioso e avrebbe richiesto troppo tempo. Ogni volta che si trasformava consumava un sacco di energie, la sua digestione era veloce e presto gli sarebbe servita altra carne ma da quelle parti non c’era niente di commestibile. Gli venne l’idea che avrebbe potuto diventare uno squalo e predare qualche pesce. La cosa era fattibile. Toccò l’acqua con il piede e sentì che non era ancora abbastanza calda per i suoi gusti ma non poteva far altro che immergersi perché non voleva arrivare dalla Madre a stomaco vuoto. Si stupiva ogni volta di quanto spesso dovesse nutrirsi quando si trasformava. Aveva mangiato il cavallo da poche ore e si era già trasformato una volta. La successiva trasformazione avrebbe richiesto altro cibo e lo poteva trovare solo nel mare.
Gli sembrava di essere giunto in acque abbastanza profonde. La trasformazione richiedeva grande concentrazione tranne quando doveva tornare nella forma di ragno, in quel caso bastava che si rilassasse completamente. Si concentrò sulla figura dello squalo. Sarebbe stato meglio se ne avesse avuto uno di fronte ma conosceva bene quell’animale, almeno la sua forma. Dopo qualche secondo cominciò a sentire un brivido lungo le braccia che si accorciarono rapidamente, poi le gambe e infine la testa. Il cranio si modificò, la bocca si allargò, gli crebbero dei denti aguzzi e infine le pinne. Era abbastanza sicuro di essere molto simile al pesce ma non poteva saperlo con certezza e neanche gli importava, era solo necessario che potesse muoversi in acqua velocemente. Fece qualche prova. Nuotò a pelo d’acqua con la pinna dorsale fuori e cercò di accelerare più che poteva: gli sembrava abbastanza. Si immerse senza preoccuparsi del respiro dato che ora aveva le branchie. Scorse subito alcuni pesci ma erano troppo piccoli per i suoi gusti. Cominciava a sentire mancanza di energie. Esplorò il fondo marino ma non vedeva nessuna preda degna di nota a meno che non fossero mimetizzate nella sabbia e non aveva il tempo di andarle a scovare. Quando cominciava a spazientirsi scorse un’ombra che proveniva da sopra di lui. Si voltò e lo vide in tutta la sua fierezza e si compiacque di aver scelto un animale così elegante: proprio sulla sua testa c’era uno squalo.
Sembrava non badare a lui neanche quando si avvicinò abbastanza. Evidentemente non si aspettava un attacco da un suo stesso simile. Hahni aveva fame, molta fame. Fece uno scatto per azzannare lo squalo ma proprio in quell’istante si mosse rapidamente e nel mordere gli tranciò solo la pinna caudale. La assaporò e non gli parve male. Lo squalo aveva spalancato la bocca e cercava di girarsi per difendersi ma non poteva senza pinna. Hahni ne approfittò ma questa volta si spostò sotto e lo azzannò al ventre, scosse la testa velocemente e staccò un po’ di carne. Il sangue uscì copioso. Ad Hahni piaceva molto il sangue e lo rendeva frenetico, perdeva quasi il controllo. Continuò a mordere in tutti i punti finché non restarono che le ossa.
Fatto il lauto pasto decise che era meglio muoversi. Ora poteva viaggiare sott’acqua ancora più velocemente. Approdò in breve tempo e senza intoppi. Quando si trovava a circa un centinaio di metri dalla costa si trasformò di nuovo in uomo ma questa volta scelse un colore più chiaro per la sua pelle. In breve tempo il suo corpo divenne informe, come un ammasso di gelatina, e pian piano cominciò ad assemblarsi per formare una persona. Era riuscito a portare la sacca con in suoi vestiti appesa al corpo da squalo. Quando toccò terra era completamente nudo ma si vestì in fretta. In quel tratto non c’era nessuno che potesse vederlo e neanche una barca. In realtà al largo ne aveva intraviste alcune da sott’acqua. Fu contento di stare un po’ da solo. Gli piaceva stare con se stesso perché credeva che se avesse vissuto con gli uomini si sarebbe lasciato contaminare dai loro atteggiamenti e dalla loro cattiveria per non parlare del fatto che qualcuno avrebbe potuto accorgersi che non era umano.
La Madre non era molto lontana dal mare e decise di farsi una passeggiata come uomo. Sua madre gli aveva spiegato fin da piccolo la differenza tra loro e il resto degli esseri viventi del pianeta. Lo aveva addestrato a mutare nel modo corretto. Un solo dubbio rimaneva nella mente di Hahni: se non erano simili a nessun animale del pianeta voleva dire che loro non erano nati sulla Terra, ma allora dove? La Madre non aveva mai voluto dirglielo dicendo che era ancora piccolo per queste cose. Ora che erano passati circa cento anni e stava per rivederla ne avrebbe approfittato per farla parlare. La Terra gli piaceva ma non era il suo pianeta e sua madre doveva rivelargli come andarsene per tornare nella sua patria.
L’ultima volta che l’aveva vista la Madre abitava in una caverna sulle colline poco distante dal mare. Si era già messo in cammino da qualche ora quando giunse in vista di un gregge di pecore e del loro pastore. Piano si avvicinò e il pastore sembrava perplesso, non aveva mai visto un uomo come lui, aveva qualcosa di strano ma non riusciva a capire cosa, forse erano i suoi vestiti. Hahni aveva intenzione di comprare un agnello se il pastore ne aveva. Quando fu abbastanza vicino glielo chiese. Il pastore non sembrava capirlo e rispose nella sua lingua. Da quando Hahni era andato via il dialetto che si parlava in quelle zone era cambiato molto ma riuscì comunque a farsi capire a gesti. Il pastore prese un agnello e glielo porse e si stupì molto quando quello strano uomo gli diede una moneta d’oro. Il povero mandriano non aveva mai visto oro in vita sua e rimase a contemplare la moneta mentre Hahni riprendeva il cammino. Portava l’agnello in braccio e aveva intenzione di mangiarselo più tardi o addirittura di donarlo alla Madre quando fosse arrivato.
Raggiunse presto la Madre. Macta abitava ancora nello stesso posto ma non era più la caverna semplice in cui Hahni aveva vissuto la sua infanzia. L’ingresso era stato scolpito con delle colonne e immagini di vita umana. Sicuramente aveva fatto tutto lei. L’interno era ancora più affascinante con tappeti, arazzi e candelabri che rendevano il tutto più accogliente.
Chiamò la Madre ma non ebbe risposta. La caverna era profonda e forse lei si trovava nelle sue profondità. Si incamminò. Lasciò la zona arredata e si addentrò nella caverna. Sentiva strani rumori provenire dal fondo. Sicuramente era Macta che si stava nutrendo. A un certo punto Hahni notò che a terra c’erano molte ossa e quasi inorridì quando capì che erano ossa umane. C’erano innumerevoli crani sia di adulti che di bambini. Non stava certo a giudicare sua madre dal punto di vista morale per aver ucciso così tante persone, d’altronde anche lui aveva ucciso qualche umano ma non riusciva a capire come potesse mangiare quella carne che a lui disgustava. Mentre era assorto in questi pensieri la vide da lontano che si avvicinava. Aveva assunto le sembianze di una bella donna e ci avrebbe scommesso che usava la sua bellezza per attirare gli uomini ignari e poi mangiarli.
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Hahni! Benvenuto. Sei stato il primo ad arrivare. Come stai? Cosa hai fatto in tutto questo tempo? E cosa porti sotto braccio?
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Salute Madre. Sto bene e a quanto vedo anche tu. Mi sono divertito molto al sud, lì non fa freddo per molti mesi all’anno come qui. Per la maggior parte del tempo mi sono crogiolato al sole. Ho portato un pensiero per te nel caso fossi stata affamata, è un agnello molto saporito.
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Hahni tu sei sempre stato il figlio ribelle. Ti ho insegnato a cacciare gli umani e a sedurli ma tu hai sempre preferito gli animali. Ti ho spiegato molte volte che la carne più nutriente è quella umana ma a te non piaceva. Non so che farmene del tuo agnello.
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Peccato, allora mi farò un pasto succulento e mangerò da solo.
Era da tempo che non mangiava carne arrostita. In realtà a lui piaceva cruda ma, forse per fare
un dispetto a sua madre, uscì fuori e accese un fuoco vicino all’entrata. Con un coltello scannò l’agnello e fece scolare tutto il sangue, proprio il contrario di ciò che gli aveva insegnato sua madre. Tolse la pelle che lui non aveva mai mangiato mentre sua madre la apprezzava e cominciò ad arrostire la carne. Sapeva benissimo che quell’odore di bruciato nauseava le narici della madre ma così erano pari perché anche lui era rimasto disgustato dopo aver visto tutte quelle ossa umane.
Sua madre lo osservava dall’ingresso della grotta e scuoteva la testa come per dire “non hai imparato proprio niente” ma Hahni non ci badava, per lui quello era un pasto succulento e, visto come era andata e ciò che aveva visto, gli sarebbe dispiaciuto condividerlo con Macta.
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I tuoi fratelli arriveranno fra poco, ci saranno tutti e ho molte cose importanti da dirvi.
Hahni non vedeva l’ora di sapere cosa voleva la loro Madre. Sapeva che prima che arrivassero gli altri non avrebbe aperto bocca. Non era la prima volta che usava il richiamo ma le altre volte era stato quando erano piccoli e si allontanavano troppo, allora lei usava il richiamo a cui non potevano resistere e li sgridava tutti. Per i primi anni non voleva che andassero a caccia e si arrabbiava molto se uno di loro portava qualche animale indietro. Badava lei al loro nutrimento e per lo più si trattava di carne umana. Forse era per questo che ad Hahni non piaceva: non aveva mangiato altro per anni. In realtà, nonostante tutto, aveva una certa simpatia per gli umani e per qualche tempo aveva tentato di vivere con loro mangiando i loro cibi, imparando la loro lingua e adattandosi alle loro usanze. Non era durata a lungo, lui era troppo diverso. Il rapporto si incrinò completamente quando ci scappò il morto. Per gelosia verso una ragazza, che in realtà a Hahni non interessava per niente, un uomo aveva tentato di pugnalarlo alle spalle ma si era scontrato contro il suo esoscheletro nascosto sotto la pelle. Certo non era invincibile e il colpo gli causò una piccola ferita. Reagendo d’istinto Hahni lo uccise e per non sprecare la carne si fece un pasto succulento lasciando solo le ossa che seppellì in modo che nessuno le trovasse. In seguito si rese conto che aveva causato soltanto dolore sia ai suoi genitori che alla stessa ragazza che non riusciva a capire perché l’avesse abbandonata. Certo non provava quello strano sentimento umano chiamato empatia ma non voleva uccidere di nuovo un uomo per poi essere costretto a mangiarlo. No, la carne umana gli faceva schifo. Decise che da quel giorno in poi avrebbe vissuto da solo.
Il sole era tramontato e lui mantenne acceso il fuoco. Nonostante fosse estate, per lui faceva troppo freddo: non lo sopportava. Anche quando si trovava a sud e cominciava la stagione delle piogge si trasferiva vicino al deserto accendendo un fuoco di notte. Non riusciva a comprendere gli uomini che vivevano così a nord, andavano contro ogni logica. Per gli uomini il freddo era come la paura che lui aveva visto in tanti occhi: in entrambi i casi tremavano, nel primo contro un nemico invisibile, nell’altro contro qualcosa di tangibile. A lui il freddo non causava tremori ma una sensazione di malessere generale come se gli mancasse qualcosa, come se tutto il cibo che mangiava non gli bastasse. Solo il caldo e il sole riuscivano a renderlo appagato e felice.
Il giorno seguente i suoi fratelli arrivarono uno dopo l’altro tutti curiosi di sapere cosa volesse la Madre. Hahni notò che mancava Araneo che era quello con cui andava più d’accordo poi, quando arrivò Theri con tutti i suoi piccoli, capì che si era ripetuta la storia. Non riusciva a concepire che Araneo si fosse fatto fregare e per cosa poi se non poteva vedere i suoi figli? Theri sembrava la più contenta e Hahni non la salutò nemmeno. Sembravano esserci tutti e Macta si accinse a parlare, tutti stettero zitti.
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Sicuramente vi chiederete perché vi ho chiamati tutti. Ciò che sto per dirvi è di importanza capitale.
Tutti ascoltavano rapiti e non si perdevano una parola. Hahni sperava che sua madre affrontasse
gli argomenti che più gli interessavano.
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Ormai ci troviamo da molto tempo su questo pianeta. Avrete notato che non esistono individui come voi. Noi non apparteniamo alla Terra. La nostra casa è ben lontana ma non tanto quanto pensate.
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Cosa siamo venuti a fare quaggiù? – intervenne Hahni.
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Ci stavo arrivando. Voi pensate di avere qualcosa in comune con gli animali e gli uomini che cacciate ma non è così. Il nostro corpo funziona ben diversamente dalla biologia che si trova su questo pianeta. Potrei dire che non siamo naturali ma neanche sintetici. Siamo a metà strada. Il nostro cervello è l’unica cosa che non possiamo modificare ed è proprio lì che sta la nostra diversità. Proprio per questo, quando dobbiamo moltiplicarci, serve un sacrificio e in questo caso tocca al maschio che offre il suo cervello per il bene della specie.
“Che schifo!” pensò Hahni. Poi intervenne:
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Se non siamo naturali vuol dire che qualcuno ci ha fatti. Chi è o chi sono i nostri creatori?
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Ottima domanda. A differenza degli uomini che si sono evoluti, noi siamo stati creati già adulti e con un’ottima intelligenza. Il popolo che abita il nostro pianeta oltre a noi sono i nostri creatori a cui dobbiamo tutta la nostra obbedienza: i Mesot. Sono simili a noi quando assumiamo la nostra forma originaria ma sono molto più intelligenti e non possono cambiare forma.
Hahni cominciava a capire ma non avrebbe fatto mai la vita da schiavo che Macta voleva per loro.
Preferiva piuttosto morire.
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Siamo stati mandati su questo piccolo pianeta sperduto per verificare che avesse i requisiti per essere conquistato dai Mesot. Cento rivoluzioni sono bastate a capirlo.
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E a chi spetta la decisione? – chiese Hahni che era l’unico a rispondere a Macta.
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Ovviamente toccherà ai capi dei Mesot. Noi ci limiteremo a fare un resoconto.
Hahni era più che infastidito. Non sopportava l’idea che i Mesot potessero arrivare e distruggere
tutto. La nave che li avrebbe portati via sarebbe arrivata a momenti e lui non aveva nessuna intenzione di salire a bordo. Dovevano portare anche un esemplare dell’animale più intelligente presente sul pianeta. Sua madre aveva già provveduto e, nel fondo della caverna, aveva ingabbiato un ragazzino. La gabbia fu portata in superficie e tutti attesero l’arrivo dell’astronave.
Non si udì nessun rumore che preannunciasse il loro arrivo. Solo una forte luce comunicò a tutti che i Mesot erano lì. Tutti assunsero la forma originaria e si inchinarono per essere portati in cielo. Hahni ne approfittò. Nessuno lo vide quando si allontanò dal gruppo e liberò il ragazzino dietro di loro. Era sempre stato incomprensibile per i suoi, un’anomalia. La luce si fece più intensa e non si vedeva altro nel raggio di cento metri. Hahni corse via più veloce che poteva con il ragazzo sulle spalle. Si udì un rumore sordo diffondersi per tutta la vallata, tutti gli animali scapparono via e i pochi uomini presenti rimasero attoniti a vedere quello spettacolo. Nessuno seppe mai cos’era successo tranne Hahni. Era rimasto sulla Terra. Pensava che lo avrebbero inseguito e forse ucciso ma così non fu. Accompagnò il ragazzo al villaggio dai suoi familiari e poi tornò a sud da dove era partito. Solo il ragazzo si chiese chi era quell’uomo fino alla sua morte. Nel luogo dell’abduzione gli uomini eressero un dolmen che è ancora visibile ai nostri giorni. Hahni trascorre ancora oggi il suo tempo lontano dalle città e dagli uomini. La sua esistenza è soltanto supposta come quella di tanti mostri che dall’antichità a oggi hanno abitato la Terra. Nessuno sa se sia ancora vivo e dove si trovi ma una cosa è rimasta in tutte le persone oggi viventi, un sentimento, una paura atavica negli uomini: l’aracnofobia.