I racconti del Premio Energheia Europa

Il mare e il sole, Yvonne Ramp

Racconto vincitore Premio Energheia Germania 2020

Traduzione a cura di Cristina Cappellari

Ogni volta che si sentiva come se stesse annegando cercava conforto nell’acqua. Aveva bisogno del profumo salato di libertà che la brezza portava sulla baia. Un sentore di alghe le calmava sempre i nervi e l’odore familiare e pungente delle vongole e delle conchiglie che essiccavano la facevano sentire un po’ più a suo agio. Quel giorno la bassa marea si faceva strada a fatica verso la riva, tirando indietro ogni pochi secondi, andando un po’ più lontano ogni volta che ritornava. Ma nonostante il loro fervore, le sue timide ondulazioni colpivano con attenzione accordi maggiori sulla riva, suonando una ninna nanna per la sua mente tormentata. Si muoveva dove la sabbia era ancora asciutta, i suoi capelli erano quasi indistinguibili quando la brezza li allineava con il suolo.

Una parte di lei voleva essere completamente invisibile, sparire, così da non dover mai tornare al relitto del dolore e della delusione che si era lasciata alle spalle. La sua mente e il suo cuore si stavano separando davanti ai suoi occhi, ognuno di essi in una direzione diversa, come le onde tagliate a metà dalla barca a vela di colore rosso vivo che si si stava facendo strada attraverso le acque.

C’erano due strade davanti a lei, ma finora aveva scelto la terza. Aveva ha detto “forse” a una domanda sì o no. Una parte di lei voleva arrendersi e dire di sì, ma l’altra metà si opponeva fermamente. Il faro a strisce bianche e rosse si ergeva saldamente, ancora troppo lontano; ma la forte ringhiera di metallo nero intorno alla sua guglia non poteva fare a meno di reagire ai colpi dei venti implacabili. I venti hanno avuto il tempo di fortificarsi nel loro viaggio sul mare. Dove l’avrebbe portata la sua, di forza?

Conchiglie, pietre e plastica si erano allineate al faro. Ma i suoi compagni preferiti erano i minuscoli, opachi pezzi di vetro che il mare aveva inghiottito e sputato fuori trasformati.

Avevano perso tutti i loro bordi nell’acqua, erano diventati indistinguibili. Si chiedeva se tutte le persone fossero condannate a fare quella fine. Avevano trovato il loro carattere nella loro giovinezza, avevano lottato, si erano adattate per poi rinunciare a tutto per essere quello che tutti gli altri erano: un genitore. Un coniuge. La moglie di qualcuno.

Il pensiero di perdersi, di fondersi in una massa grigia di iperonimi senza volto le fecero venire voglia di urlare. Desiderava di poter essere rumorosa come il gabbiano che girava intorno alla baia; i suoi lamenti pietosi e affamati trafiggevano anche le raffiche più forti di vento. Sarebbe stato d’aiuto? Quel clamore avrebbe potuto renderla meno combattuta tra la felicità di lui e la sua?

Mentre si avvicinava al promontorio c’era un certo frastuono tra le onde. Il colosso di l’alta marea si avvicinava al suo fratello minore, la schiuma del mare che spumeggiava mentre ingoiava il blu e sopprimeva il verde. I greci credevano che le teste bianche delle onde fossero l’esercito di cavalli di Poseidone. Desiderava che la fuga fosse davvero in arrivo con il martellamento zoccoli e grida di battaglia, per soffocare la sua voce spezzata che ancora le risuonava nella testa.

Desiderava di potersi lasciare prendere dall’acqua, solo se per un momento, per stendere un’ombra, un velo scintillante sul ricordo del volto deluso di lui. L’acqua non avrebbe mai potuto affogarla, non fintanto che lui aveva la presa su di lei. Era sempre stato la sua roccia, la teneva a galla nella marea della vita; la legava alla terra quando era in pericolo di perdere il contatto con la realtà. Ma le rocce erano così orribilmente rigide, così immobili, immutabili. Il vento ululava contro il promontorio e riempiva ogni fessura di quel solido mattone, cercando di trovare un qualsiasi modo qualsiasi per spostarlo. Ma anche la brezza marina aveva dovuto ritirarsi, arrendendosi. Stava forse lamentando il suo destino così com’era?

Non aveva senso piangere. Le sue lacrime avrebbero solo offuscato la verità, così si costrinse a vedere con chiarezza. Non aveva mai avuto davvero una scelta. Da dove si trovava, il mare sembrava infinito, immortale, invincibile. Era abbastanza forte da inghiottire il feroce, sole ardente ogni singolo giorno. Sì, lui era il suo oceano. Ogni notte, quando andava a letto accanto a lui, si sentiva al sicuro, ma in trappola. Contenta, ma mai felice. Gli voleva bene, ma non era amore. Il solo pensiero di sposarlo sembrava un liquido artiglio che cercava di estinguere luce.

Aveva raggiunto il faro. I suoi raggi sembravano proiettare la risposta sul luccichio.

Sulle onde di sotto. Per quanto amasse il mare, sapeva che avrebbe dovuto scegliere il sole.

Quando lo gridava al vento, l’acqua batteva i suoi applausi sulle rocce sottostanti.

No.