Festa di vita, Henrike Beyer
Premio Energheia Sorbona 2020
Traduzione a cura di Marine Riglietti
Coordinamento progetto: Sidonie Larato
Xenia Salpeter sa che la festa le dovrebbe piacere. Un vero cliché: uomini che bevono vino in un café del Boulevard Saint-Germain e camminano per i vicoli del quartiere. Ridendo ogni giorno e ogni giorno cercando la prossima festa dove sedurranno una o due donne che abbandoneranno il giorno dopo. Pensando che la loro vita è la festa stessa e che Parigi è il centro pulsante del mondo. La festa è la giovinezza, è come la primavera che abbraccia le magnolie. All’ingresso dei Giardini del Lussemburgo, c’è un bell’albero di magnolie coperto di piccoli tocchi di rosa e bianco. A Xenia piace questa bellezza vivente in (di) primavera, ma non le piace la festa. Allora se ne va per i viali del parco e i suoni dell’organetto di Barberia toccano un punto sensibile nel suo cuore, il ritmo si unisce al suo cuore battente, la melodia fa ballare i suoi piedi per qualche passo, è come volare. Per un momento, la melodia leggera le ricorda i giorni dell’infanzia e la festa della scuola, tra la folla, con quella melodia che risuonava da ogni dove e dal nulla allo stesso tempo. Il musicista con la barba bianca era cieco. Xenia vorrebbe essere cieca di tanto in tanto, ma non cieca degli occhi, cieca alle voci. Voci che parlano troppo e che non smettono di parlare, parlare di tante cose inutili. Passa davanti alle persone (gente), alle voci che non smettono di parlare.
“Hai visto quel film? Che figata!” – “No, io voglio un gelato!” – “Ho vinto io!” – “Loser!” – “Penso…” – “Voglio…” – “Non voglio!”. Xenia si copre le orecchie con le mani. Vuole gridare “Basta sprecare le vostre parole, basta distruggere la tranquillità!” Guarda una bambina che cerca di catturare una delle prime farfalle dell’anno con una rete. Ha delle lunghe trecce bionde. La ragazzina salta e corre per catturare l’insetto che vola via nel cielo azzurro del pomeriggio. Xenia la invidia per questa sua facoltà ad astrarsi dal mondo circostante. Lei ci ha provato così tanto a filtrare i suoni! Sorride al ricordo dei suoi primi tentativi: aveva preso l’abitudine di indossare cuffie tutto il giorno. Jona, un compagno di classe che le piaceva, sorrideva con aria divertita ogni volta che la vedeva. Per fortuna, il rumore della città non era sfocato dai suoni desiderati e scelti che sentiva nelle cuffie, ma era diventato sempre più difficile non farsi notare in questo isolamento acustico.
Persa nei suoi ricordi, Xenia arriva alla grande fontana. L’acqua sembra uno specchio: affascinante e blu come un bouquet di campanule. Piccole barche ballano sulla superficie lucida. Sono rossi e verdi e gialli, con vele tutte bianche. Xenia si siede su una panchina e fissa le barche. Delle risate smaglianti tagliano l’aria del pomeriggio e perforano il tessuto dei suoi pensieri. Lei cerca di immaginare la scena senza suoni. Si alza e se ne va sui vialetti brecciati del giardino, che scricchiolano dolcemente sotto le sue scarpe. Un ragazzo la guarda e vede come il viso di Xenia si distende un po’ mentre i rumori si allontanano ad ogni passo. Osserva infine la figura dal leggero cappotto rosso che si perde tra i tronchi marroni degli alberi. Aspetta un momento poi la segue.
Xenia si nasconde sotto le ombre del parco prima di fermarsi davanti a una figura chiara. Alza gli occhi verso i piedi di pietra bianca. Sono nudi, benché freschi nell’ombra primaverile. Anche il tessuto del vestito è bianco con alcuni segni neri. Anche le guance hanno assunto quel colore. “Ma cosa posso fare contro questa cacofonia nella mia testa”, Xenia si copre le orecchie con le mani e guarda la statua come se potesse aiutarla. Gli occhi di pietra fissano il vuoto con un’espressione severa come se qualche scena spiacevole si stesse svolgendo lì tra gli alberi. “Forse anche lei odia questa città di suoni inutili.”, pensa Xenia. “In tutti questi anni non ce l’ha fatta a trovare una soluzione a questo problema. Deve rimanere qui, immobile in mezzo al caos. Non può nemmeno leggere per spegnere tutti i suoni. Io posso dirti che non aiuta molto. Per quanto mi piacciano le parole scelte degli autori, si aggiungono sempre a quella montagna di parole inutili, come se mille pezzi fossero suonati nello stesso momento, su un unico pianoforte. Ma tu… tu non puoi rispondermi… non mi guardi.” Xenia segue lo sguardo della statua e vede un uomo nell’ombra tra gli alberi.
I suoni del parco si sono indeboliti e la sinfonia della natura riprende il sopravvento. Le ombre sono diventate lunghe e la luna fa ballare piccoli punti di luce sui viali del parco. Sembra ora che piccole creature popolino il parco. Si muovono nell’ombra e ballano intorno alle statue e alle fontane. Seguono un ritmo naturale non identificabile. Xenia deve lasciare il parco. Mentre si allontana dalla statua, sente una voce che sussurra: “Ti capisco”. Quando Xenia gira la testa per vedere la persona che ha parlato, vede solo un mondo di ombre. Mentre passa gli imponenti cancelli, Xenia si accorge che i suoi piedi hanno scelto il proprio ritmo. Non riesce a percepirlo, ma sente una forza nel cuore che l’attrae verso casa sua. Miracolosamente, le strade hanno perso il loro potere spaventoso. Xenia nota le luci brillanti che coprono il marciapiede con tocchi d’oro. La festa descritta da Hemingway è diventata visibile agli occhi di Xenia. Vuole semplicemente ammirarla. Espira, sollevata per un momento.
Xenia sente i suoi piedi battere un ritmo vivace sul marciapiede. Sul ponte Sully, si ferma un attimo. Guarda la grande città che si è calmata nella notte. È coperta da piccoli punti di luce che ballano sull’acqua del fiume. Sembra che indossasse fiori d’oro. L’acqua sembra alleggerire la testa di Xenia. Sul lungofiume, scorge una figura che si avvicina e attraversa il ponte fino all’altro lato della strada. Anche l’uomo si ferma un momento a contemplare la regina addormentata che fa luccicare il fiume. Quando i passi dell’uomo si perdono nella città, Xenia attraversa la luce anche lei. Non sa chi sia quest’uomo, ma ha avuto l’impressione fugace di riconoscerlo quando stavano guardando la danza delle luci sulla Senna. Si sta sempre solo nella vita solo perché non ci si parla? Forse. Ma quei rari momenti in cui ci riconosciamo senza dirci dirsi una parola, non sono più importanti?
Apre la porta del suo piccolo appartamento illuminato dalla luna. È come una piccola isola su cui Xenia trova riposo. Si siede al pianoforte. Le sue dita si posano leggermente sui tasti. Bianchi e neri, come la sua vita. La melodia dell’organetto di Barberia è tornata al tramonto e lei ha acchiappato le parole per dare loro un senso. Le dita di Xenia trovano da soli i tasti giusti per comporre un’altra melodia, una melodia di parole che non sono troppe e che, ora, ritornano a posto.