La morte di un letterato, Tillman Kiedorf_Colonia
Racconto vincitore Premio Energheia 2021
Traduzione a cura di Cristina Cappellari
Vivo oggi. Vivo, quindi sono. Video ergo sum; o è vivo ergo sum? Non lo so
non lo sanno più. Non riesco più a pensare. Sono stato catturato e sono seduto in
in una cella spoglia. Mi chiedo come posso descrivere questo posto in modo che ci si possa fare un’idea.
L’immaginazione deriva dal senso del mio stato interiore a questo foro,
non dalla descrizione opprimente di un semplice scenario. Fisso il muro. Sono scritto in
lingua tedesca. Devo scrivere sui muri. Dove altro si trova la profondità? Qui
è un letto, un buco che si fa chiamare gabinetto, una finestra e delle pareti.
Ci sono così tante pareti e così poche finestre. Credo che la colpa sia della quantità di muro,
che mi accorgo della piccolezza della finestra. Qui ci sono frasi incise sui muri. I
non ho mai amato così tanto la vita e posso fare molte cose senza desiderare nulla e se il
Il sistema è ragionevole, le persone si adatteranno. Mi chiedo se
queste parole sono davvero per tutti. Devo ricordare perché
sono venuto qui. Vedo una foresta davanti a me. Vedo le persone. Figli. Amici miei.
Ci sediamo intorno al fuoco e cantiamo canzoni. Qualcuno ha preso una chitarra
con loro. Coraggioso, considerando quanto sono costose queste cose.
Perché questo ragazzo può giocare? Lo fa per sé stesso o per impressionare gli altri? In
ogni caso devo presumere che i musicisti siano generalmente degli egocentrici…
gli egomaniaci in generale. Il denaro non migliora le cose. Guardo i suoi occhi, quelli di
Bartolomeo. Dove altro dovrei cercare? È vestito, quindi
non mi è rimasta molta pelle da guardare. Mi sbaglio o sta guardando
me? Non siamo soli. Mi guarda ancora e all’improvviso questo
sorriso. Un attimo, un sorrisetto, come se qualcuno avesse fatto un brutto scherzo.
Uno scherzo di cattivo gusto. Una contrazione dell’angolo della bocca mentre mi guarda negli occhi. Ho
intenzione di vomitare o di ridere? Non importa. Ho deciso. Questa è l’unica persona che riesco a
sopportare nella mia vita. Lui cerca di giocare e io alzo gli occhi su di lui perché
mi viene in mente il musicista egocentrico, ma mi cattura con un saluto. Lui
mi fa delle domande. Si avvicina a me. Separato dal fuoco, si siede di fronte a me.
Mi riconosco nei suoi occhi o mi sto solo rispecchiando?
Devo fare pipì per tutta la birra e scomparire nella foresta. Dietro di me gli altri ridono e poi tutto
diventa silenzioso. Torno e sono solo con lui. Si siede accanto a me e ride
e parla di politica. Lo guardo, rido e mi appoggio sulla schiena. Parla
sul bianco, sull’amore e sulla patria, sul rosso e sulla paura eterna e scrive poesie per me, sé stesso, di
altri. Una vita intera // due alberi / si trovavano laggiù sulla riva / uno nell’ acqua / l’altro sulla terraferma //
solitario nel freddo uno stava lì / l’altro nell’acqua
veloce come un lampo sulla spiaggia / ora il Reno scorrerà per anni / l’albero / lì nell’acqua /
vive ancora per sempre.
Lo guardo e lui è così lontano. Lo guardo e mi limito a rispondere a tutti i grandi pensieri. Ok. Un’altra delle
672 favole raccontate –
silenzio. Non potevo sopportarlo. Cominciai a parlare.
Sentire che la propria vita, i propri pensieri e la propria anima sono come una lavagna.
Ci si mette davanti, si scrivono i pensieri, si scrivono i sentimenti, se ne cancellano alcuni,
a volte con l’acqua, a volte con l’alcol, per pulire il tutto. E poi c’è quel momento
momento in cui ci si rende conto che basta capovolgere la lavagna per averne una nuova di zecca. È
esattamente la sensazione che mi stai dando in questo momento.
Mi sta dando questa sensazione senza parole. Mi prende tra le braccia. Molti mi hanno abbracciato, ma
solo il suo abbraccio capovolge la mia, di lavagna. Ora. Proprio in questo
momento. Sono patetico e ogni singola parola è vera. Ridiamo e
infiliamo in qualche modo il pane sui bastoncini. Sono felice e i nostri argomenti di conversazione diventano
una sorta di normalità. Mi sembra che i nostri ego si siano adattato l’uno all’altro. Come un diapason o un
qualche tipo di corpo risonante. Tutto è giusto.
Io dovevo fare pipì e anche lui. Non ho mai fatto una gara di piscio con nessuno prima d'ora,
per vedere chi riusciva a colpire più foglie dell’altro. Lui ride, io sono imbarazzato. Ridi tranquillamente…
dentro di me. Ci sdraiamo sulla schiena e vediamo centinaia di stelle. Non è romantico. L’erba punge. Fa
dannatamente freddo. Comincio a rabbrividire. Viene da me.
Si sdraia con me. In qualche modo mi ritrovo tra le sue braccia. In qualche modo il posto fa molto meno
schifo. Il tempo comincia a scorrere più velocemente nella vita, quando l’ora perde il suo terrore. Non fa più
differenza se si aspetta un’ora o due ore. Sia all’esterno che nella cella. Abbiamo sentito di un prigioniero
che è stato bruciato a nella sua cella. Gli spari e l’odio sono stati
verso di noi. Avevo paura e negavo ogni decisione fino a quando la conseguenza di ogni atto è diventata
una certezza. Volevo divertirmi, volevo amare, volevo essere me stesso.
Non volevamo essere martiri. I martiri sono gli altri.
Sono in piedi davanti allo specchio della cella. Oh C.! Non sono il tuo burattino meccanico i cui occhi
fiammeggianti hanno rotto lo specchio in frantumi, ma io mi condanno alla libertà
del mio destino. Quindi gioco a contare le rime con il muro, battendo le mani. Batto le mani
e un ricordo sorge in me. Sono passati 17 anni da quando sono stato messo al mondo per morire. Mi
accovaccio con un sorriso sul volto e inizio a cantare “Happy birthday to me”; con un sorriso. All’improvviso salto in piedi quasi gridando: “Dirò al momento, soffermandomi, sei così bello! Allora potete picchiarmi in catene! Allora perirò volentieri!”
Queste sono state le ultime parole, poi ho scritto questo testo.
Certificato di morte di Franz R.
Accusa: membro di una cricca terroristica (Edelweiss Pirates),
Omicidio del leader del gruppo locale,
attacco al quartier generale della Gestapo a Colonia.
Verdetto: colpevole
Sentenza: morte per impiccagione
Ora del decesso:
Data: 10 novembre 1944
Ora: 11:11.
Firmato Gestapo (Polizia di Stato segreta).
Hanno vissuto la resistenza. È morto per questo. Sono stati dimenticati e non hanno cambiato nulla.
Sono ancora vivi oggi