Lei, il mare, Nikoletta Karnachoriti, Atene
Menzione Premio Energheia Grecia 2022
Traduzione: Maria Chatzikyriakidou, a cura di: Franco M.T. Gatti
“Il mare porterà gli uccelli…” Chiudo gli occhi per farmi trasportare, dalla finestra la luce del sole mi colpisce le palpebre anche se è inverno. Sono trasportato a un mare e ora le mie labbra prendono la forma di ogni lettera perché si formi il verso “accarezzandoti i capelli, baciandoti la mano”. È tutto calmo, non ho visto un mare più calmo. Improvvisamente, alza la sua onda più leggera per portare a terra una speranza. La speranza che desideravo mentre contavo le candele, come se si riaccendessero le luci il primo giorno dell’anno, come se cadesse una stella, quella speranza che cercavo sotto il cuscino prima di addormentarmi ogni notte.
Era circondata da granelli di sabbia quando l’ho trovata lì. “Se mi credessi un po’, tutto sarebbe vero” e stava chiedendo così gentilmente a qualcuno di lavarla via. La sua prima immagine è stata una ragazza con i capelli nerissimi che diventavano azzurri quando il sole li toccava, come quell’azzurro nella parte più profonda del mare, nella parte più difficile e terrificante, quella che ti carica di disperazione anche se sei il suo più grande amante. La sua prima immagine era di una ragazza che cercava di sentire la sua voce anche se i gabbiani facevano rumore e il mare diventava più forte, lei firmava la sua anima su un pezzo di carta con su scritto: “Luna di carta”. La sua mano destra sembrava accarezzare dolcemente l’aria e la sua mano sinistra toccava il diaframma come se stesse cercando di comunicare con lui. Sembrava che volesse così tanto essere ascoltata, probabilmente ne aveva bisogno. “Senza il tuo amore, il tempo non passa.” Per poter essere ascoltato, non diventerò un gabbiano, né il mare, per quanto gli assomigli. Per essere ascoltato non griderò, ho imparato a non impormi. Per essere ascoltato devo prima ascoltare. Ma ho sentito che è per questo che non posso essere ascoltato.
Chi mi ha insegnato a cantare e chi a parlare? Qualcuno l’ha fatto, qualcuno che gli avevano insegnato, ma lui non era un insegnante. Ma mi ha insegnato perché lo ascoltavo, e sono diventato come lui, e siamo diventati una cosa sola. Ma ora cerco di scappare, di conservare solo le cose buone che aveva da offrirmi. A poco a poco, ho capito che non dovevo ascoltare e questo ha messo radici in me, tra la folla ho trovato un vero maestro! Mi ha detto che se non resisto con forza alla somiglianza, non troverò la mia vera identità, non vivrò il mio sogno, sarò sempre qualcun altro. Quindi ora sto cercando di fidarmi, ascoltare, sradicare quella frase.
Ho messo le mani tra i miei capelli e ho sentito la salsedine. “Senza il tuo amore il mondo è più piccolo”. Guarda il mio mare! Pieno di gente! Guarda lì, nella parte più calda, guarda quante persone stanno galleggiando in superficie, hanno scelto la comodità, non ti stancare, guardale galleggiare con gli occhi chiusi nell’acqua. Sono sicuro che si sentono orgogliosi e intelligenti, ma non sanno che ora che hanno usato la comodità lei li trasformerà nei suoi tirapiedi. Non sanno che quando si sveglieranno, il mare li avrà portati o negli abissi, o in altri luoghi a loro sconosciuti, dove è difficile per chiunque sopravvivere. Guarda là, alla destra del mio mare, vedi quelli che ne contano i granelli uno per uno o quelli che lo osservano con tanta devozione? Scoprono tutto, da come è possibile per una persona galleggiare sull’acqua,all’esistenza stessa. Quanto importanti e quanto distruttivi possono diventare? Guarda a sinistra alcune persone si stanno tuffando in acqua! Li vedi? Là nella parte più fredda, profonda, trattengono il respiro il più a lungo possibile, i loro petti sono paralleli alla sabbia, quanto deve essere duro!
Occorre essere stanchi ma anche avere bisogno di imparare, di osservare, di sfidarsi, di confrontarsi con la verità, con la realtà. Se vuoi descriverlo, devi andare più a fondo. Solo una linea sottile impedisce loro di perdere la testa, una linea sottile dall’annegarsi nel pensare troppo. Non lo so però, potrebbero essere già morti dalla prima immersione dalla superficie. Quello che vediamo potrebbe essere il loro lavoro che vivrà sempre. Un’opera che si inserisce dal proprio paradiso immaginario al mondo dei vivi.
La salsedine ha raggiunto le mie labbra. Il mio primo pensiero, tu! Quanto mi è mancato andare in profondità dove odora ancora la tua fragranza! In questo mare tanto tempo fa mi hai detto il tuo nome, ti ricordi? Vivevo allora nella mia oscurità, ma tu sei venuta e mi hai guardato, e ho visto il sole scendere, prendere il tuo viso e toccarlo senza alcun senso di colpa, indossare la tua pelle e venire da me con tanta luce e speranza. Mi è subito venuto in mente, quanto sarei talentuoso se potessi, anche solo un po’, descrivere il momento o te? Ma dove rientri nella mia descrizione? Eri in piedi e sapevi esattamente cosa ti favoriva, come guardare, come muoverti, come toccare. Fino a poco tempo, anch’io non distinguevo tra l’interruttore del bagno e quello del corridoio e li premevo entrambi. Ti ammiravo in ogni modo, ma eri lontano, innumerevoli miglia di distanza dal mondo in cui vivevo. Per potermi amare come ami te stesso, questo è quello che ho chiesto. E tu mi hai detto che per amarmi, per ritrovarmi, devo cercare dentro di me, niente si acquista così, niente!
All’inizio era così difficile per me, ogni tentativo di avvicinarmi a me era così difficile come se colpisse un muro. E hai preso un arco, l’hai usato due volte, l’hai attorcigliato e ti sei appeso ad esso. Sei diventato uno specchio! Guardare dentro di te in modo da poter trovare tutto ciò che era impossibile vedere in me. Anch’io ti ho guardato e mi sono sentito nudo, esposto. Ci è voluto un po’, ma da qualche parte sullo sfondo il mio ego e il mio sogno sembravano guardarmi. Mi fidavo di te, quindi mi fidavo di me. E ho fissato i miei obiettivi così in alto, in modo che nessuno potesse farmeli abbandonare. Ho cominciato a vivere dentro di te, dove esistevo semplicemente, diventando più alto e poi non riuscivo a stare bene, mi sono alzato in piedi e sono cresciuto, più alto, fuori di te. In effetti, sono diventato così alto che ho raggiunto i miei obiettivi e li ho impostati ancora più in alto e sono diventato sempre più alto. E avevi così tanto orgoglio nei tuoi occhi quando mi guardavi, anche quando non te lo permettevo. Mi dispiace chiederti di ricordare. A volte guardo al passato perché ho bisogno di ricordare, conoscere, confermare ed esserti grato.
“Luna di carta, finta spiaggia, se mi credessi un po’, tutto sembrerebbe vero”. Molto tempo fa, prima di conoscerti, ero tornato in questo mare, ricordo, avevo preso tutto ciò che mi riguardava e sentivo che il mio sogno mancava e l’avevo scritto sulla parte più bagnata della sabbia, perché il mare lo cancellasse. Il mare, è femmina! Io mi amavo come lei amava le persone; lei non ama tutti, non ama gli impauriti, solo gli audaci, solo i liberi, disposti a trovare il coraggio di perdere di vista la terra un po’ per conoscerla e tornare sempre a lei. Così mi amavo senza limiti, senza tetto, con un sole e una luna. Ora, prima di andarmene di qui, scriverò le stesse identiche parole che scrivevo allora, sulla parte più bagnata della sabbia, e le cancellerò io stesso, prima che lei possa cancellarle.
(Il testo contiene versi della canzone “Luna di carta” di Manos Hadjidakis e Nikos Gatsos)