I brevissimi 2022 – Sarà un filo di perle, Alessandra Cella_Val della Torre(TO)
_Anno 2022 – (Nero)
Diane li guardava dalla finestra della sua camera da letto che affacciava su un palazzo signorile in stile barocco. Seduta per terra a gambe incrociate con un calice di vino rosso in mano, un taccuino e un binocolo, aveva iniziato per gioco dopo che al corso di scrittura l’insegnante aveva suggerito di “rubare” dalle vite degli altri. Quale migliore occasione, si disse, tanto più che quei due erano così monotoni da rappresentare per lei un utilissimo esercizio di immaginazione.
Avvolti da una luce fredda, i loro corpi parlavano. Lei, algida e triste nel suo vestito rosso che ambiva a slanci improvvisi, sedeva al pianoforte cercando una nota che attirasse l’attenzione di lui. Lo chignon corvino profumava di ambra e s’intonava al suo strumento, lucido e impeccabile. Lui sembrava altrove. Un perfetto involucro ricurvo dentro l’abito stirato, il gilet aperto sul primo bottone, il giornale sulla pagina della finanza e quella somiglianza sfacciata con Willem Dafoe.
Diane giocava con loro alle intermittenze: lo chiamava “il piccolo buio”. Lo faceva da quando era piccola. Apriva e chiudeva prima un occhio poi l’altro e si stupiva tutte le volte di come la visuale e i dettagli cambiassero. Di poco, magari, ma abbastanza da fare la differenza.
L’ombra nera del giornale riflessa sul tavolino si allungava fino a raggiungere quella sul viso di lei, alla ricerca di una comunione che alla luce non si sarebbe mai compiuta.
Diane chiuse la palpebra destra mentre un flutto di vino le scaldava la gola, quando la donna nella stanza si alzò all’improvviso facendola sobbalzare.
La donna con l’abito rosso si avvicinò alla finestra aperta, Diane fece lo stesso e per un attimo furono come allo specchio. Diane appoggiò la mano al vetro e fu travolta dall’onda di dolore di lei, sentì una fitta alla bocca dello stomaco.
Si girò una sigaretta aspettando il passo successivo di uno dei due, un tocco di cenere rovente le cadde sulla coscia nuda e la risvegliò dalla tensione immobile dell’attesa. Si alzò in piedi di scatto rovesciando il vino sulla moquette verde oliva e una macchia densa si aprì sotto il suo taccuino aperto.
La donna del palazzo di fronte chiuse la finestra e andò verso l’uomo che, nel frattempo, aveva abbassato il giornale e si era tirato su le maniche della camicia per un’urgenza di libertà. Lei gli baciò la nuca e prese la porta, lasciando il quadro in cui vivevano ancora più disadorno.
Diane, travolta da un impeto, raccolse il taccuino e si mise a scrivere come una furia appoggiandolo alle gambe, ma attenta a evitare la bruciatura che pulsava.
L’uomo nella stanza di fronte si alzò dalla poltrona di velluto in stile inglese, piegò il giornale in un rettangolo perfetto lisciandolo col palmo della mano e lo piazzò proprio al centro della seduta, poi prese il posto di lei al pianoforte e si mise a suonare.
Il cielo sopra la città tuonò forte, erano giorni che minacciava pioggia.
L’uomo si strinse la testa tra le mani e Diane si cacciò la matita dietro l’orecchio, lui prese la porta e spense la luce. Fu il nero.
Diane sospirò e si lasciò cadere: neanche quella sera avrebbe scritto niente di particolare. Si addormentò lì per terra, di un sonno pesante, col diluvio nelle orecchie. La svegliarono le sirene dell’ambulanza che era quasi l’alba. Si stropicciò gli occhi e si precipitò alla finestra, vide che quella dell’appartamento di fronte era aperta e subito scese con lo sguardo sulla strada. C’era un corpo vestito di rosso steso a terra, al centro di una macchia scura che lo incorniciava. Un capannello di curiosi era già attorno al cadavere scomposto e, poco distante, una donna in vestaglia di raso viola con uno chignon corvino si teneva il volto tra le mani. Poi Diane la vide farsi largo tra la folla a piedi nudi calpestando il sangue sull’asfalto senza esitazioni, accucciarsi di fianco a lui, tirare fuori qualcosa da una tasca e mettergliela al collo.
Sarà un filo di perle, si disse Diane afferrando la penna.