Tempo mitico – l’Uccello Roc
di Roberto Vacca
Dagli anfratti della mia affollata memoria è emersa una storia che molti decenni fa mi deve aver raccontato mia madre, nota arabista e islamista. In questo racconto, non ricordo in quale contesto, si parlava di una durata di tempo lunghissima, interminabile. Per darne un’idea, veniva definita in modo immaginoso come il tempo necessario per distruggere il monte più alto del mondo – se ricordo bene chiamato Qaf, consumandolo gradualmente. Il Qaf era forse fatto di smeraldo ed era abitato dagli jinn, gli impertinenti spiriti folletti della tradizione araba. Sono invisibili, ma si possono presentare in diverse forme; hanno poteri magici, sono impertinenti, fanno scherzi spiacevoli, con gli esseri umani possono parlare e anche avere rapporti sessuali dai quali possono nascere figli.
Il folklore arabo e iranico narra del mitico gigantesco uccello Roc che, nella storia dei miei ricordi, vola sopra il monte Qaf una volta ogni mille anni e ne strofina la sommità con un velo consumandone, quindi, un piccolissimo strato. Questo processo così lento avrebbe finito per disintegrare il monte e sarebbe durato per un tempo non intuibile, ma ovviamente enorme.
Proviamo a stimarlo.
Supponiamo che ogni passata del velo porti via uno strato di un millesimo di millimetro (cioè un milionesimo di metro: 10-6 m) del monte che assumiamo alto 10 chilometri (cioè 104 m). Il numero di passate del velo per consumare tutto il monte è dato dal rapporto fra l’altezza e ciascuno strato asportato – cioè 10-10 Il numero di anni necessario per distruggere il monte è mille volte 1010 cioè 1013 o 10.000 miliardi di anni – molto più del tempo in cui è esistito il mondo.
Ho cercato su enciclopedie e su Google l’origine di questo curioso mito orientale e non l’ho trovata. Ho trovato, però, tracce dell’uccello Roc: nella tradizione ebraica avrebbe portato a Salomone il tassello di legno pregiato, ornato con anelli d’argento, che gli mancava, ma era essenziale per completare la costruzione del suo Tempio.
Parla del Roc anche il libro (risalente al VI secolo) della Gloria dei Re etiopi a partire dal primo: Kebra Nagast, figlio della Regina di Saba e di Salomone. Il libro fu rielaborato da preti copti nei secoli seguenti. Alcune versioni trovate in Sudan, contenevano adulterazioni ispirate da testi egiziani geroglifici. Nel 14° secolo fu tradotto in arabo e inframezzato con tradizioni e leggende islamiche. Kebra Nagast avrebbe avuto anche qualche attributo divino, data la sua appartenenza alla stirpe salomonica che aveva in comune con Gesù Cristo.
Marco Polo, nel Milione, cita un grande uccello Roc proveniente dall’Oceano e ne indica un’apertura alare equivalente a 18 metri, ma non dice di averlo mai visto. Taluno ha voluto attribuire le origini della leggenda a un uccello alto vari metri e poi estinto, di cui si sarebbero trovati scheletri fossili in Madagascar.
Nelle Mille e una notte, Sindbad, il marinaio, sfugge a certi nemici aggrappandosi son i suoi figli alle zampe di Roc che vola senza accorgersi di loro. L’uccello è descritto così grande che può afferrare col becco un elefante e portarlo al suo nido per nutrire i suoi piccoli.
L’ultimo a menzionare l’uccello Roc pare sia stato alla fine del 16° secolo l‘editore belga Theodore de Bry, autore di racconti su miti e illusioni e di cronache sulle esplorazioni europee delle Americhe.