Taxi, Marco Litterio
Menzione Premio Energheia Egitto 2023
Ancora sul portone di casa, ma già quasi in ritardo per l’inizio della lezione, alzo il braccio a fermare il taxi, uno qualsiasi della fila che si snoda continuamente lungo Abu El Feda. Salgo accanto all’autista salutando con un “Sabah al khir”, il buongiorno egiziano, così stentato da denunciare, se mai ce ne fosse stato bisogno, che egiziano non sono affatto. L’uomo, un signore di mezza età, i corti capelli abbondantemente spruzzati di grigio oltre l’ampia stempiatura, risponde al saluto ed aggiunge una domanda: troppo facile intuire che mi sta chiedendo dove voglio andare per farmi vanto di aver capito la lingua. Butto lì l’indirizzo, impegnandomi a pronunciare correttamente i caratteristici fonemi arabi, ma più che altro conto sulla sua pazienza e sulla disponibilità che ho riscontrato già tante volte fra la gente di questo Paese. Difatti l’autista mi corregge la pronuncia, ma annuisce affermativamente, ha capito qual è la destinazione.
Tassista in vena di conversazione, stamattina. Spesso capita. Con un largo sorriso mi chiede qualcosa. Rinuncio ad ogni pretesa di conversazione ammettendo: “Sono italiano”. Mi lancia una rapida occhiata, incuriosito. “Italia”, aggiungo, indicando me stesso col pollice. Parola magica, qui al Cairo, vero e proprio passepartout che schiude la porta ad una salva di welcome, beautiful country, love ed apprezzamenti entusiastici vari. Mi godo l’accoglienza, è sempre un modo piacevole di iniziare la giornata, ma registro che il tassametro gira a vuoto: il mio amico di questa mattina non l’ha avviato. Provo a segnalarglielo, ma, ci avrei giurato, dichiara che è rotto … Vabbè, ho fretta e non ho voglia di rovinarmi già la giornata con una discussione. Mi dispongo di buon animo a farmi truffare, ma raccomando a me stesso di non farmi spillare più di 30 ghinee 1, contro le 25 che, all’incirca, mi aspetto indicherebbe il tassametro a fine corsa.
L’auto prosegue lungo il Cornish, costeggiando il Nilo. Nell’acqua, due imbarcazioni di canottaggio procedono appaiate nel loro allenamento mattutino, severamente guidate da un istruttore che, in piedi su una barca a motore, le segue da vicino. A piegarsi sui remi intravedo due equipaggi e
1 Il valore della Lira egiziana (o ghinea) fluttua molto, al momento dell’episodio 1 Euro valeva circa 20 ghinee capisco che sono ragazze perché alcune, pur in tenuta sportiva, non hanno rinunciato a coprirsi il capo con l’hijab, il velo islamico. La sponda lussureggiante del verde delle palme e dei banani, fiammeggiante del rosso delle acacie, appare quasi nuda ora, non più ornata dalle storiche case galleggianti. Un recente provvedimento ne ha imposto la rimozione in vista di una importante risistemazione urbanistica. Le leggere strutture in legno dai colori pastello saranno sostituite da colate di cemento e ferro: una vera e propria nuova via, dentro il fiume, rutilante di vetrine e giochi d’acqua. Un’ultima house boat, semiaffondata, è circondata dalle chiatte che la stanno imbracando per trascinarla via. Lascio perdere il paesaggio e, con discrezione, sposto la mia attenzione sull’auto ed il suo autista. La guerra con la polvere, al Cairo, in mezzo al deserto, è persa in partenza per tutti, inevitabilmente anche qui dentro, inutile farci caso. Il rivestimento dei sedili ed i tappetini sono piuttosto consunti, ma non trascurati; un deodorante per auto diffonde un gradevole sentore di agrumi. Ho visto taxi più nuovi e con dotazioni pretenziose, ma questo, pur nel suo allestimento umile, ha una sua dignitosa personalità. Al rosario appeso allo specchietto retrovisore manca la croce, ma è soprattutto l’immancabile copia del Corano, incastrata fra il cruscotto ed il parabrezza, a rivelarmi la comunità religiosa di appartenenza di Mohamed – fra me e me, questo è il nome che do all’autista.
Siamo a circa metà del tragitto che porta alla mia scuola quando il cellulare di Mohamed, da qualche parte nei suoi sdruciti, ma puliti, pantaloni grigi, comincia a squillare. Da una tasca estrae un modello piuttosto vecchiotto e se lo porta all’orecchio destro per rispondere, continuando a guidare con la sola mano sinistra … tranne quando, per gesticolare vivacemente, toglie anche quella dallo sterzo! Lo sento parlare sempre più concitatamente. Una luce vivissima adesso illumina i suoi occhi. Le rughe della fronte si spianano ad accompagnare un sorriso beato. Un sentito “Alhamd lilah”, il ringraziamento al Signore, è l’unica cosa che riesco a tradurre, ma capisco che gli viene riferito di un qualche evento felice. Interrompe momentaneamente la telefonata e mi chiede come mi chiamo: “Marco”, rispondo perplesso, cercando di immaginare in che modo il mio nome possa avere importanza nella conversazione telefonica. Che mi stia celebrando perché rappresento il primo incasso della giornata?
Ripete più volte il mio nome finché, finalmente, ripone il telefono in tasca. Ma non interrompe i suoi ringraziamenti al Signore, che adesso accompagna con il gesto di baciarsi il dorso ed il palmo della mano, di seguito. Un po’ in imbarazzo, sebbene incuriosito, torno a guardare fuori dal finestrino. “Mister” mi chiama Mohamed, “Baby”, aggiunge, gesticolando come se accarezzasse la testa di qualcuno. Dapprima non capisco. Ma lui insiste e fra termini in un inglese storpiato e mimica a due mani – io sempre più allarmato da questa guida spericolata nel traffico intenso – piano piano riesce a comunicarmi che la moglie ha appena avuto un bambino e l’hanno voluto chiamare Marco. In mio onore! In brodo di giuggiole, mi lancio in grandi complimenti e condivido la sua gioia.
Salgo i gradini di scuola a due a due, ancora eccitato dall’episodio appena vissuto. “Ma tu pensa!”, mi dico, “Stamattina ho battezzato un bambino musulmano. Che esperienza unica mi ha regalato questa mia avventura egiziana!” Non riesco a tenermela per me e mi precipito a raccontare tutta la vicenda ai primi colleghi che incontro. Youssef e Rania, pur colti di sorpresa dalla mia irruzione, mi ascoltano con cortesia. Parlo con emozione, tutto intento a descrivere i vari momenti vissuti, ma non mi sfugge l’espressione inizialmente perplessa, poi sempre più divertita di Youssef. Rania ha distolto lo sguardo e abbassato leggermente il capo, così i folti capelli ricci celano il suo volto. Ecco, ho finito. Mi aspetto un commento, dei complimenti forse, ma c’è qualcosa di strano nell’aria. I due si guardano l’uno con l’altra, poi, dopo un ultimo attimo di esitazione, scoppiano a ridere sonoramente. Qualcosa mi sfugge! Fra un singulto di riso e l’altro Youssef riesce a chiedermi: “Quanto hai pagato la corsa?” “Trecento lire” rispondo, mentre un barlume di intelligenza rischiara la mia mente. “E quanto la paghi di solito?” prosegue lui. “Trenta” replico, e adesso so dove vuole arrivare. “Ecco, fatti una domanda!” conclude Youssef senza riuscire a trattenere le risate. Rania mi guarda con compassionevole dolcezza: “Caro mio, Marco è un nome notoriamente cristiano che noi musulmani mai daremmo ad un nostro bambino” aggiunge. Dunque quella di Mohamed era tutta una sceneggiata, realizzo. Che delusione! Superato lo scorno iniziale, mi lancio in un improbabile tentativo di salvare la faccia: “Ma vi assicuro che era proprio credibile”, provo a giustificarmi. Poi decido di lasciar perdere e, unendomi alle loro risate, concludo: “Vabbè, diciamo che ha meritato quei soldi per come ha recitato la parte del neo – papà!”.
Sono trascorsi alcuni mesi. In taxi verso Zamalek, Giovanni, il collega insegnante di Meccanica appena arrivato dall’Italia, ed io stiamo commentando le ultime vicende scolastiche quando il tassista, interrompendo una sua animata conversazione telefonica, ci annuncia, con grande emozione, che sua moglie ha appena partorito due gemelli e ci chiede i nostri nomi …