Leggere ci permette di costruire una relazione intima con la pagina, Jennifer Guerra
Giuria Premio letterario Energheia 2022_XXVIII edizione.
Le storie fanno parte di noi. Ne siamo circondati.
I bambini, senza alcuno stimolo esterno, giocano a “fare finta che”, creano brevi e folgoranti universi.
Spesso il “fare finta che” è un divertimento a puntate: alla ricreazione successiva, si ricomincia da dove si era interrotto ieri, e poco importa se salta la coerenza narrativa. L’importante è continuare a raccontare.
I biologi si sono chiesti perché esista quello che è stato chiamato da Jonathan Gottschall “l’istinto di narrare”. Questo istinto è esclusivo dell’uomo, almeno per quanto ne sappiamo. Alcune specie animali
possiedono capacità di linguaggio molto articolate, ma nessuna di esse si tramanda delle storie.
Se raccontare non servisse a qualcosa per la nostra specie, probabilmente non lo faremmo. Invece,
da sempre ci riempiamo di racconti brevi o lunghi, scritti o orali, in forma visiva o musicale, in prosa e in versi. Oggi, in una società che si muove sempre più rapidamente e che sembra sempre meno capace di tenere alta l’attenzione, potremmo pensare che questo istinto si stia affievolendo. Niente di più sbagliato.
L’esplosione di serie tv e podcast, ma anche delle storie su instagram e il ritorno dei vlog su youtube
e tiktok ci suggeriscono che la nostra fame di storie non accenna a diminuire. Anche il linguaggio pubblicitario l’ha capito e ora, più che prodotti, ci propone storie.
Ciclicamente, l’avvento di una certa forma narrativa (specie se mediata dalla tecnologia), fa decretare a qualche profeta di sventura la morte delle storie.
È vero, i dati sulla lettura vanno sempre peggio, ma è troppo facile attribuire le cause di questa decrescita
alla competizione digitale e alla fruizione di altri tipi di storie. Spesso questa è una spiegazione di comodo
e, soprattutto, una spiegazione pessimistica.
Non si tiene conto, infatti, che c’è un dato che resiste.
Abbiamo ancora bisogno di soddisfare quell’istinto di narrare. Vogliamo che qualcuno ci racconti
una storia, che ci intrattenga e ci faccia emozionare, a volte anche che ci insegni qualcosa. E vogliamo, a
nostra volta, essere produttori di narrazione.
C’è un dato che spesso sfugge quando si parla di lettura, forse perché smentisce quella pigrizia che siamo abituati ad attribuire alle nuove generazioni: i giovani trainano il mercato librario. Circondati come sono da social e dispositivi digitali, preferiscono leggere, molto più di quanto non facciano i loro genitori. Perché se è vero che le storie sono tante e dappertutto, è anche vero che quelle che leggiamo nei libri sono quelle che ci accompagnano più a lungo. Leggere ci permette di costruire una relazione intima con la pagina. È una relazione scelta, di prossimità.
A differenza di altri tipi di storie, quelle dei libri siamo noi a ricercarle. E proprio in questa intenzionalità sta quella cosa ciò che altre forme di racconto spesso non riescono a darci, un dialogo privato con chi scrive, su cui si può tornare più volte, per lasciare che si sedimenti dentro di noi. Qui risiede il motivo per cui la lettura continuerà a resistere in questo mare di storie e di contenuti e per cui varrà sempre la pena continuare a scrivere. Non soltanto copy pubblicitari o sceneggiature, ma anche racconti e libri. La persistenza della carta continuerà a essere il veicolo migliore per esercitare il nostro istinto di narrare.