I racconti del Premio letterario Energheia

Il sangue delle streghe, Benedetto Mortola_Genova

Finalista Premio letterario Energheia 2023 – Sezione Adulti

Se non ora, quando? Se non qui, dove?

Se non io, se non tu, chi ci salverà?

Da “Il testimone” The Gang CD “Fuori dal controllo”, 1997

 

A volte bisogna morire. Questo pensa Mara mentre guida verso Pietrafredda.

Mara, quasi tre mesi a trent’anni e tanta rabbia. Perché non possono venirti a dire che uno cresciuto insieme a te è morto. Così, improvvisamente. Eppure è successo.

Con Paolo, lei ci aveva giocato per quattro lunghe estati, quando era in vacanza dai nonni. Paolo correva più degli altri. Paolo conosceva i posti dove trovare le more. Paolo sapeva dove andare quando giocavano a nascondino. Quell’ultima estate erano riusciti a intrufolarsi nel magazzino del Toni, il negozietto di ferramenta del paese. Lì erano rimasti immobili, in mezzo a zappe, vanghe e picconi. Vicini. Sentivano le voci dei compagni di gioco che li cercavano. Si erano guardati per un lungo istante negli occhi e lei aveva sentito qualcosa, non poteva sapere ancora cosa. Ma era una cosa bellissima.

Poi i suoi genitori si erano separati. Niente più vacanze a Pietrafredda.

Aveva rivisto Paolo solo qualche anno dopo. Cresciuto, in motorino, in mezzo agli amici, insieme a una ragazza.

Altri anni dopo, di nuovo a Pietrafredda, a ricordare, insieme a Paolo e a sua moglie, che il tempo era passato in fretta. Lui, per tre anni, aveva girato le cattedre di mezza regione e poi era diventato professore d’italiano della scuola media di Pietrafredda.

Paolo Ferretti ora se ne sta immobile per sempre da qualche parte, dentro a quel paese arroccata tra questi monti.

Mentre la strada sale, Mara ha flash di ricordi. Di lei. Di Paolo. Di nonno Giovanni. Di nonna Anna, morta pochi anni fa. Di quel paese dove si allevano mucche e si fa un ottimo formaggio locale. E dove c’è la fabbrica della birra.

Pietrafredda una volta era tutto il suo mondo.

Passa veloce accanto al Campo, all’ingresso del paese. Sente, improvviso, il rimorso di non essere venuta prima. Nonostante le mail di Paolo.

Ora può fare ben poco. Solo un servizio per TeleSole, la piccola emittente dove lavora da quasi un anno e dove cerca, ogni giorno, di non perdere quel lavoro che le piace. Anche se deve sbattersi, in cambio del rimborso spese. Ma è la logica del praticantato da giornalista. Una volta i servizi si facevano in due. Ora c’è la crisi. Deve fare tutto lei. Intervista e riprese e montaggio. E tutto il resto.

Ieri ha detto ad Alessandro, il caporedattore, che voleva fare un servizio su Pietrafredda. Un servizio su quelle montagne stupende, quel favoloso formaggio e sulla fabbrica della celebre birra. Chi non conosce la Birra Pietrafredda?

Alessandro, preso da molte cose come sempre, l’ha guardata un secondo.

“Bene. Ma torna presto.”

Quando Mara ferma l’auto davanti alla casa di suo nonno e scende, troppi ricordi le vengono incontro. Suona e Giuseppe Cavaciocchi – fino al 2019 per otto anni sindaco di Pietrafredda e da sempre “eminenza grigia” del paese – apre la porta.

Il nonno è vecchio. Sempre più vecchio. Magro. E molto pallido.

Un abbraccio silenzioso.

“Nonno… Non ce l’ho fatta a venire al funerale di Paolo. L’ho saputo troppo tardi.”

Il vecchio cerca di parlare. Ma non ci riesce. Occhi rossi.

“Entra, Mara…”

Il salotto, come sempre. Diverso solo il viso della nonna che sorride in una foto in bianco e nero con intorno il rosario. Il silenzio. L’odore del caffè d’orzo. La stanza al piano di sopra. Le vacanze con la mamma. Quando stavano in quella grande casa con nonna Anna. Il nonno, imprenditore edile, era spesso via per lavoro.

Zainetto sul letto. Mara tira fuori la videocamera, la collega alla presa.

Il tablet. Rilegge la prima mail che le aveva mandato Paolo.

Mara, forse tu che lavori per la TV puoi fare qualcosa. Ti ricordi il Campo? La grande spianata sopra Pietrafredda quando arrivi? Giocavo a pallone con Alessio mio figlio che ha sette anni. Lo hai mai visto? Il pallone è caduto tra i cespugli di sotto. Sono andato a prenderlo e l’ho trovato vicino a un grande buco tra le rocce. Sono tornato perché mia moglie mi ha chiamato. Gabriella lavora anche lei nella fabbrica della birra. Come quasi tutti qui. Sotto il Campo ci andavamo per more, ricordi? Non c’è mai stato quel buco. Ci sono tornato il giorno dopo. Sono entrato con la torcia elettrica. Sembra una nuova fessura prodotta dal terremoto. Una caverna in discesa e sul fondo un ruscello. Stavo per uscire, ma ho visto una goccia gialla che cadeva dall’alto. Ho guardato meglio e ho visto nella pietra lì sopra delle macchie gialle. Un giallo strano. E gocce gialle cadevano nell’acqua del ruscello. Ho fatto foto col telefonino. Il giorno dopo le ho fatte vedere a Carlo mio cugino, assessore in Comune. Mi ha detto che ne parlava al sindaco. È passato più di un mese. L’ho fermato, gli ho chiesto. Ha detto che è tutto a posto. Sono andato dal sindaco. Mi ha detto che fanno i controlli, ma non ho saputo più niente. Il ruscello che scorre nella grotta è quello che alimenta la sorgente dove a valle prendono l’acqua per fare birra. Capisci? Mia moglie dice che sono un deficiente a pensare a queste cose. A scuola i miei studenti mi hanno detto che io voglio far chiudere la fabbrica di birra. Nessuno mi aiuta. Tu mi puoi dare una mano? Ciao. Paolo

 

Quella mail era di sei mesi prima. E non era stata l’unica. Mara si guarda dentro. Come riesce a fare sempre più di rado, mentre naviga dentro questo tempo convulso, piegato da una fretta che non lascia spazio ai pensieri.

Aveva risposto a Paolo con i soliti: “sono un po’ presa” – “vedo cosa posso fare” –

“ne parliamo”. Era riuscita anche a finire una mail con uno squallido “a presto” che era menzogna allo stato puro.

Dieci minuti dopo è di fronte alla tomba di Paolo. Guarda il suo viso racchiuso nella fotografia e quegli occhi che non vedono più. E sente salire la rabbia.

Mara. Videocamera. Chiede a qualcuno per strada. Un servizio su Pietrafredda, la sua storia, il formaggio, la fabbrica di birra, i problemi. Una donna la riconosce. Parlano. Torna il passato. Parole viaggiano dentro i ricordi. Ma nessuno ha voglia di parlare. Solo qualche frase buttata lì. Tutti hanno da fare.

Carlo Ferretti, cugino di Paolo, assessore in Comune. Lui lo sa che lei lavora in una TV. Finché gli chiede della birra, va tutto bene. Lui gli risponde con le solite frasi in politichese di circostanza. Ma appena lei accenna a Paolo, Carlo svicola, e si ricorda che deve fare una telefonata urgente.

Il sindaco Corrado Barattini, nel suo ufficio, tiene sulla scrivania una serie di penne che ha appena trovate in disordine. Quando Mara entra è occupato a rimetterle in ordine. Sorride, parla, amabile affabulatore. Birra insuperabile. Buona produzione. Adeguati finanziamenti. La grande risorsa di Pietrafredda.

“E di Paolo, cosa mi dice?”

“Ottimo insegnante. Manca a tutti.”

Mara lo sa di essere bella e a volte la bellezza aiuta a smuovere gli uomini come questo cinquantenne che già dalla prima occhiata le ha fatto capire che potrebbe essere facilmente interessato a vedere i suoi occhi molto più da vicino.

“Paolo mi ha scritto che aveva trovato delle gocce gialle che colavano in una grotta. Secondo lui andavano a finire nell’acqua che usate per la birra.”

Il sindaco ha un attimo di incertezza, ma sorride.

“Paolo le ha detto di gocce gialle? Era un ottimo insegnante e un bravo ragazzo. Ma ultimamente aveva delle idee strane, piuttosto confuse.”

Parla e intanto rimette al loro posto le penne. Così devono stare! Tutte allineate e tutte con le punte in avanti!

“Lei è la nipote di Giuseppe Cavaciocchi, vero? Abbiamo fatto tutti i controlli, è venuto un perito, ma non risulta nulla. Nulla, capito? Paolo, ultimamente era un po’ depresso. Prima le gocce gialle, poi la moglie lo ha lasciato, non andava più d’accordo con nessuno. È logico che si sia sparato. E lei ora dove va? Posso invitarla a cena, domani sera, alla Festa del Campo?”

Pietrafredda. Mara rabbrividisce mentre cammina sul Campo. Tanto tempo fa ci camminava con gli altri ragazzini: Anna, Michele, Francesca, Carlo, Paola, Clo, Marina, Giulio e Paolo…

Il Campo ora non è più lo spiazzo polveroso di una volta. È diventato parcheggio, è stato asfaltato, sono stati costruiti due casottini ai lati. Mara estrae dallo zainetto il registratore digitale, si infila gli auricolari. Il file che inizia ad ascoltare l’ha ricevuto da Paolo, quattro mesi fa.

Rumori di lavori, poi delle voci…

Paolo, ma cosa stanno facendo?

Non ci fare caso, Pino, sono i lavori per portare la luce sul Campo. Tu c’eri quell’anno al compleanno di Cristina?

Certo, Paolo! E poi al ritorno con Brunìn che guidava e con il Liga a palla… Ti ricordi, professore?

“Il centro del mondo”, che bel CD… Francesco Guccini, Vasco, il Boss…

Burn in the Usa! Burn in the Usa! Cos’è questa pianura qui, professore?

Il Campo. Una volta c’erano solo pietre, poi hanno spianato ed è venuto fuori questo posto qui…

Un parcheggio?

No, Pino. Non solo. È un posto dove tutti gli anni ci facciamo la Festa del Campo.

Ma no, professore… Questo è il vostro campo di atterraggio per gli UFO. Li fate atterrare qui e poi gli date i tappini delle bottiglie di plastica e loro in cambio vi riforniscono di tutto l’uranio che volete e di diamanti stellari e di protozompimbene che è un materiale che ci puoi fare di tutto…

Pino Mentino, dai…

E non voglio sapere cosa ci fate con le signore UFO con tutti quei buchi che hanno… Secondo me ci trombate alla grande e con i mariti UFO che chiudono tre occhi… Bel posto, professore. Feste di un altro mondo!

Pino… Qui ora c’è poco da scherzare. Come va il lavoro all’Arpal?

L’Arpal… Sono sempre un precario. Pochi soldi e un sacco di grane.

Senti, Pino… Questa cosa qui… Me la dai una mano?

Certo. Per quello che posso. No problem.

No. Sul serio. Facciamo come ai vecchi tempi? Fino alla fine?

Certo! No problem. Fino alla fine! Dov’è quel tuo buco nero, professore?

 

Mara interrompe il registratore. Si appoggia alla ringhiera. Punta la videocamera sulle case di Pietrafredda e sulla fabbrica di birra in fondo a quel lungo crinale scosceso e coperto di vegetazione che parte da sotto il Campo.

Scende a fatica tra i cespugli e arriva davanti al buco di Paolo. Tubi innocenti a sbarrare l’ingresso. Cartello del Comune: “Vietato l’accesso”. Strisce di plastica rossa e bianca sbattono al vento. I tubi innocenti non hanno un solido basamento. Basta poco per spostarli di lato.

Mara si posiziona sulla testa una lampada frontale. Estrae la videocamera. Entra.

Il buio tagliato dalla luce. La parete di roccia madida di umidità. Odore pesante. I piedi di Mara nel ruscello che scorre. Il raggio di luce si muove in giro. Passi incerti. Finché la luce si ferma sopra in alto sulla parete di roccia. Una macchia giallastra da dove, lenta, stilla una goccia gialla… poi un’altra… e un’altra ancora…

Filma. Si siede su una roccia. Estrae dalla tasca il registratore. Nelle orecchie

un rumore lieve di acqua che scorre, come quello che sta già sentendo,

Born in the Usa! I was born in the Usa!

Pino, cosa stai facendo?

Un prelievo. Ne prendo un po’ qui sopra e un po’ qui sotto… e mettiamo tutto in questi due flaconi.

Cosa può essere?

Mmm… A occhio… sembra quasi… Sai, professor Paolo Ferretti, cosa potrebbe essere?

Cosa?

Sangue delle streghe!

Dai, Pino… Sempre voglia di scherzare.

Ascolta, professore… Durante la luna piena, in questo buco fuori dal mondo, le streghe si radunano per mangiare bastoncini di culi di rospo e pane di segale cornuta macinata nel Mulino Nero… ma poi vedono le luci, siamo noi che arriviamo, e allora le streghe scappano e si infilano tra la terra e la roccia, ma nella fretta si feriscono le lunghe dita e si lasciano dietro macchie di sangue… perché il sangue delle streghe, dovresti saperlo, professore, è giallo…

Stronzo.

Dai, ammettilo, Paolo, sono bravo a raccontare e per un attimo ci hai creduto…

Pino Mentino, sei sempre il solito fuori di testa. Come a scuola. Riesci mai ad essere serio?

Per essere seri bisogna fare una vita seria. Non da precario, professore.

Scherzi a parte. Cos’è?

A occhio, potrebbe essere cromo esavalente… ma per essere sicuri bisogna analizzare questi…

Cromo esavalente?

È un inquinante. Una brutta bestia…

Là sotto prendono quest’acqua per la birra. Come c’è arrivato qui?

E chi lo sa? Ma è una brutta bestia. Forse era meglio il sangue delle streghe, professore.

 

Mara queste voci le aveva sentite e risentite prima di partire, ma ora vuole sentirle qui, dove sono state registrate da Paolo. Poi scende tra tagli di luce balenanti nel buio. Ogni tanto si ferma. Filma. Inciampa. Mani dentro pozze fangose per non cadere. E vede Paolo. Il suo viso. Il suo sorriso. I suoi occhi. Sa che Paolo non si può essere ucciso.

Com’era quella mail?

Ho capito, Mara. Questa storia non ti interessa. Anche il mio vecchio amico perito chimico Pino Mentino che è venuto con me in quel buco e ha preso i campioni che doveva analizzare è sparito. Non lo trovo al telefono, non mi risponde alle mail. A scuola i miei alunni dicono che qualcuno me la farà pagare. Io voglio capire cosa sono quelle gocce gialle. Ho fatto un blog dove parlo del buco, della fabbrica di birra, della sicurezza ed è sempre pieno di insulti. Anche su Facebook. Stessa cosa. Ho tutti contro. Ieri mi hanno tagliato le gomme dell’auto. Non c’è più una persona in questo posto che mi saluta. L’unico che a volte mi guarda diverso è tuo nonno Giuseppe. L’altro giorno forse voleva parlarmi ma è arrivata gente. Mia moglie Gabriella se n’è andata con il direttore della fabbrica di birra. Si è portata via anche nostro figlio Alessio.

 

La caverna naturale nel buio. Il ruscello ingrossato. Mara scende. E trova il passaggio sbarrato da una grata di ferro arrugginita.

Paolo lo hanno ucciso per farlo stare zitto. Perché rompeva con le gocce gialle.

Mara spinge la grata che si apre con uno scricchiolio. Acqua quasi alle ginocchia. Sale alcuni gradini coperti di muschio e apre una piccola porta di metallo. Entra in un vano buio dove c’è un’ampia cisterna colma d’acqua. Sale. Apre un’altra porta. Entra in una stanza illuminata dal neon. Si toglie la lampada frontale davanti a due tecnici in camice bianco, stupiti. Uno va via. L’altro non riesce a parlare.

Mara è bagnata fradicia, sporca, ferita. Ma la sua videocamera continua a riprendere.

Il tecnico torna con un uomo in giacca e cravatta e arrabbiato nero.

“Spenga. Io sono il direttore Fumagalli. Non ho niente da dire. Spenga. Basta. Non ha il permesso. C’è la crisi. Lei non può. Spenga. La denuncio. Spenga!”

Mara abbassa la videocamera. Eccolo, è questo. Quello che si è preso la moglie di Paolo. Attraversa il reparto modernissimo della fabbrica, quello di imbottigliamento. Esce dalla porta principale, scortata personalmente dal direttore, che sotto l’espressione truce, pensa che con una bella ripulita, questa qui non ci starebbe male sulle lenzuola di raso rosso nella sua casa di Amalfi.

A casa. Una lunga doccia. La cena con il nonno, pallidissimo, che prova a sorridere, ma non può mentire a nessuno, neanche a se stesso.

“Mara, ti prego, non fare domande in giro. La gente non vuole sentire più di Paolo e delle sue gocce gialle. Con questa crisi dobbiamo pensare al futuro della fabbrica di birra. Paolo si è sparato. Basta.”

“Paolo non era il tipo che si spara.”

“Era rimasto solo. Era depresso.”

“Era solo perché lo abbiamo lasciato solo. Chi cerca la verità spesso rimane solo.”

“Guarda che qui ormai non abbiamo altro che la fabbrica di birra.”

“E il formaggio?”

“Il formaggio con le nuove norme dell’Europa non si può più fare. È diventato illegale. Nessuno tiene più le mucche. Non c’è più niente! Solo la birra.”

Il portatile sul letto. Mara fa il montaggio del girato. 5 minuti e 30. Troppo. Porta il tutto a 3 minuti e 10.

“Gocce gialle di natura sconosciuta nell’acqua usata per la preparazione della famosa Birra Pietrafredda”

Wetransfer. Allega il video. Due righe al caporedattore Alessandro, dove spiega lo scoop che gli invia, alcune foto, il servizio. Clic.

Mara sa che ha fatto un buon lavoro. Ma anche lei ha lasciato Paolo solo. E il rimorso non se ne andrà mai. Come la rabbia che la scava dentro.

Il silenzio della notte a Pietrafredda. Mentre si passa il balsamo sui capelli, gira sul tablet. L’ultima mail di Paolo. Qualche giorno prima di morire.

Aspetto la fine dell’anno scolastico. Mia moglie Gabriella è tornata dai suoi con Alessio. Con il direttore è durata poco. Nessuno qui ha fatto niente. C’è la guerra. C’è la crisi. Tutti hanno paura che la fabbrica chiuda. Hanno fatto false analisi. Dicono che la gocce gialle non ci sono e tutto va bene. Invece probabilmente è cromo esavalente. Un veleno. E va nella birra. Tanta gente lavora nella birra. Lo faccio anche per loro. Lo faccio per tutti. Anche per i miei ragazzi. Mi hanno lasciato solo. Mi hanno bruciato la macchina. Non so cosa farò ma continuerò fino alla fine. Il mio vecchio amico Pino Mentino, sono sicuro, l’hanno pagato per stare zitto. Chi lavora da precario è facile da comprare e con poco. Ciao

 

Mara si addormenta. A volte riesce a dormire.

Il sole di un altro giorno su Pietrafredda. Sono le nove. Squilla il cellulare. Sul display ALE, e nel telefono la sua voce arrabbiata.

“Mara, ma che cazzo ti è venuto in mente? Cos’è ’sta roba?”

“Alessandro, è una mia inchiesta. Uno scoop sulla situazione qui a Pietrafredda. Nessuno ne ha ancora parlato.”

“Ma secondo te perché nessuno ne ha parlato? Stamattina il Professore ha visto il tuo servizio. Lo sai che per poco non gli prende un colpo?”

“Ma, Alessandro, quelle gocce sono un pericolo per”

“Il pericolo è che il Professore chiuda TeleSole. Ma non capisci? Ma chi credi che li tiri fuori tutti i soldi, anche quelli del tuo stipendio?”

“Ma a me sembrava che”

“No, Mara, a te non deve sembrare niente! Vuoi fare la giornalista? Adesso prendi e torni qui. Subito. Anzi, no, vai a Risighieri che lì c’è qualcuno che ha vinto una bella somma al Superenalotto!”

“Ciao, nonno.”

“Te ne vai già? C’è una grigliata alla Festa del Campo, a mezzogiorno. Perché non ti fermi?”

La porta di Giovanni Cavaciocchi si apre sul sole alto delle undici. Mara ha lo zainetto a tracolla. Rabbia e tristezza negli occhi. La sua inchiesta è finita. Forse anche la sua carriera di giornalista. Alessandro non perdona e neanche i finanziatori di TeleSole. Forse dovrà andarci a letto con Alessandro per salvarsi il posto. Forse lo ha già perso. Di questi tempi non si scherza.

“Mara, aspetta. Non andartene così. Devo dirti una cosa…”

Mara si volta. Nonno Giuseppe ha smesso di piangere da poco.

“Mara, vieni qui…”

Un abbraccio silenzioso, doloroso per tutti e due. Il vecchio parla e piange.

“Mara, stanotte ho sognato nonna Anna e… Scusami, devo dirlo a qualcuno. Ho un male che non mi lascerà vivere per molto… Lo so… E Anna stanotte mi ha detto che se voglio rivederla in Paradiso dov’è lei adesso, non devo più mentire…”

C’è una luce strana negli occhi di quel nonno un tempo così alto e forte e ora così fragile.

“Mara… Paolo… Capisci? Non devo più mentire… Io ho lavorato tanto, ma ho fatto anche una cosa che… Oh, Signore, l’ho fatta tanto tempo fa… Dicevano che c’era roba che non faceva male nei bidoni. Ero il sindaco. Tanti soldi… Abbiamo fatto le scuole nuove con quei soldi. Ma dovevo capirlo. Non sono mai stato furbo. Buono solo a lavorare…”

Il vecchio si scioglie dall’abbraccio. Guarda Mara. Occhi e angoscia.

“Sono là sotto, Mara. Sono sotto il Campo, tra i due casottini. Sono tutti lì sotto. Con poca terra sopra. Bidoni di roba che non so cos’era. E la sto pagando… Paolo lo hanno ucciso. E so chi è stato… Ma io… cosa posso fare? Salvaci tutti, Signore!”

Poca gente per strada. È sabato. È mezzogiorno. Mara Cavaciocchi, la quasi giornalista, ha trovato la sua auto con i tergicristalli alzati. Strano, ma vero, il negozietto di ferramenta di Toni c’è ancora. Il padrone è un vecchietto che parla in dialetto e la guarda senza riconoscerla. Il piccone costa 24 Euro.

L’auto arriva sul Campo e si ferma di lato. Aria di festa. Lunghi barbecue con sopra la carne. Tanti si voltano a guardarla, mentre cammina con il piccone sulla spalla, come se fosse un fucile.

Nessuno parla. Nessuno si muove. Solo il fumo che sale sopra gli spiedini e le costate.

Mara arriva in mezzo ai due casottini. Impugna il piccone con tutte e due le mani e sferra il primo colpo che sfonda l’asfalto. Un altro colpo. Un altro e un altro ancora. Ora c’è un buco piccolo, ma che si allarga ad ogni colpo. Superata la crosta d’asfalto, la terra si apre bene. Intorno a Mara si è radunata una piccola folla silenziosa e immobile. Due carabinieri si avvicinano.

Sì, è vero. A volte bisogna morire.

Dopo ogni colpo di piccone che affonda nella terra, Mara alza lo sguardo sulle prime persone che vede e urla

“Tu hai ucciso Paolo!”

“Tu!”

“E tu!”

“E anche tu!”

“E anch’io ho ucciso Paolo!”

Quando un carabiniere la ferma, la punta del piccone è gialla.