Origami, Alessandro Amelio_Volvera(TO)
Finalista Premio letterario Energheia 2023 – sezione giovani
Rintoccava il solito suono, a passi invadeva lo spazio familiare e attraversava la porta ormai sua parente. Echeggiava il solito saluto che seguiva all’educata riverenza. Sedeva al solito tavolo che si affacciava tramite l’ampia finestra all’esterno.
Ordinò quel caffè bollente che rappresentava il suo massimo vizio, e unico; lo assecondava, anzi quasi godeva nel trasgredire quei forti principi di avversione alle dipendenze che aveva imparato a rispettare sin dall’adolescenza. Tuttavia al primo sorso si sentiva in colpa, non tanto perché abbandonava i suoi principi ma perché provava piacere nel farlo. Indice e pollice saldi sul manico, ossuti, quasi grigi come se fossero avvizziti dallo scorrere del tempo e di fatto era così, afferravano la tazzina per eseguire il controverso gesto in un dualismo che si dipartiva tra godimento e delusione nell’aver tradito la sua stessa morale.
Il primo sorso era quello più complesso mentre col secondo la caffeina inibiva il fastidio provocato dal dissidio interiore. Quell’azione era ripetuta in un rituale giornaliero che per lui rappresentava l’abbandono parziale della vita comune, con quel gesto apparentemente semplice e fragile si allontanava dalla quotidianità e con la trasgressione abbatteva il pessimismo della sua decadenza. L’amarezza del caffè era però equilibrata da quell’attività che tanto gli piaceva, l’aveva infatti imparata da bambino e gli ricordava la sua prima cotta adolescenziale, era per lei che lo aveva realizzato la prima volta. La calma di quei gesti non gli ricordavano solo l’infanzia, non era solo questione di ricordo e nostalgia, ma di pura emozione. Ciò che non provava con la vita o con quella tazzina di caffè lo provava con quel gesto infantile che restituiva una sensazione infantile.
Prese il cartoncino rosso, le mani tremanti si avvicinarono per accarezzarlo. Ruvido, era talmente ruvido che quasi lo spaventava, non vedeva così bene quindi riusciva solo a sentire con il tatto la sua forma, quei solchi profondi intagliati nella carta non era in grado nemmeno di percepirli con gli occhi. Era la memoria che gli permetteva di continuare a creare quelle deboli impalcature di carta che raramente cambiavano colore, quella tonalità lo attraeva in modo viscerale, quasi volesse dare loro vita con il rosso sangue. Prese quel foglio di carta, lo divise in quattro e lo tagliò. In ordine svolse quei gesti consueti e abitudinari che facevano ormai da molti anni parte della sua vita, piegò in due, poi in quattro, fece una sorta di cuore e ritrasse le alette formatesi all’insù. Ancora pieghe realizzate premendo con la poca forza che rimaneva in quei polpastrelli secchi, e concluse l’opera.
Rintoccava il solito suono, seduto al solito tavolo, vicino alla solita finestra del solito caffè. Ma c’era qualcosa di insolito: una piccola farfalla variopinta si era poggiata sul vetro esterno affacciata a guardare l’uomo. Sottile, il corpo nascosto dalle ali rosso vivo, intervallato da striature nere e abbaglianti sfumature gialle. L’uomo stanco, con la tazzina di caffè ormai quasi conclusa, avvicinò il palmo della mano al vetro e sorprendentemente la creatura non si spaventò. La mano stanca, avendo ormai lasciato la tazzina che lo tratteneva, ora coincideva esattamente con l’apertura delle ali della farfalla rossa. Fu allora che l’anziano scelse, era sicuro, non aveva rimpianti e quella farfalla era davvero bella, si commosse a vederla così docile e leggera. Quindi decise cosa avrebbe dovuto fare: volò con lei verso quel cielo che iniziava a lacrimare.
Rintoccava il solito suono, l’origami della farfalla rossa rimase su quel solito tavolo, di quel solito caffè, accanto alla solita tazzina di caffè, questa volta conclusa solo per metà.