I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2024 – L’inverno di una povera fanciulla, Chiara Rossi_Santa Margherita Ligure(GE)

Anno 2024 (Le stagioni: Inverno) – menzione

Sulla livida palude, anatre e cormorani, svassi e albanelle reali in fuga dal grande gelo del Nord; negli scolori; giardini, il calicanto in fiore. Nel freddo sconsiderato dell’inverno, il 28 gennaio1 resi la mia anima al cielo, dopo cinque lancinanti giorni d’agonia. Quelle tre pastiglie di sostanza corrosiva che usavo per pulire i bagni fecero il loro maledetto lavoro, togliendomi dagli artigli della furibonda signora Elvira, che dopo avermi allungato un ceffone e coperta di insulti di ogni genere, mi aveva sbattuta fuori di casa, perseguitandomi per oltre un mese e additandomi come sgualdrina ogni volta che mi incrociava in paese. Per la vergogna non volli più vivere. La rabbiosa signora urlava, sostenendo di averci colti in flagrante: il Maestro negava, sostenendo che le sue fossero solo le folli fantasie di una moglie gelosa (non sempre aveva torto, in verità!); io singhiozzavo, giurando che non esisteva alcuna tresca. Quella donna possessiva, capace di crisi di inaudita violenza, con me, però, aveva proprio preso un abbaglio. Solo con rispetto mi ero sempre rivolta al Maestro Puccini. Certo, lui era straordinario, ogni donna lo adorava, me compresa, la ’servetta’ della villa. La mia colpa fu quella di aver fatto da messaggera tra lui e Giulia2, la mia cugina alta, spigliata, che cavalcava e nel tempo libero sparava alle folaghe: il Maestro stava creando il personaggio di Minnie modellandolo proprio su di lei; se ne era invaghito. Avevo sedici anni, da due vivevo con i Puccini: essendo figlia di un compagno di scorribande di caccia del Maestro, quando mio padre morì, mi prese a servizio, per aiutare economicamente la mia famiglia. Avrei fatto qualunque cosa il signor Giacomo mi avesse chiesto e a sua moglie non era sfuggito che ci comportassimo come chi ha qualcosa da nascondere: più di una volta ci sorprese a confabulare e trasse le sue conclusioni. Dovute, ma del tutto sbagliate.

Quell’inverno fu tumultuoso a Torre del Lago. Sì, perché l’autopsia che io stessa avevo richiesto, confermò che ero illibata. La signora Elvira fu costretta a rifugiarsi a Milano (volevano linciarla), la mia famiglia intentò una causa per diffamazione e istigazione al suicidio (gli avvocati dei Puccini la tacitarono con un risarcimento di dodicimila lire). Il Maestro era tanto furioso con la moglie, quanto devastato dal senso di colpa: per molto tempo non riuscì più a comporre. “Continuo ad aver davanti agli occhi quella povera ragazza”, ripeteva. I suoi progetti si incagliarono e questo proprio non l’avrei mai voluto. Lo avevo fatto entrare in un inverno come quello del terzo quadro della sua Bohème, quando Mimì e Rodolfo, ormai separa;, cantano: “Soli d’inverno è cosa da morire!”. La cosa incredibile è che di questa mia tragedia sono dovu; passare cinquant’anni dal fatto e trentaquattro dalla morte del Maestro per poterne parlare. Forse i biografi volevano proteggerne la reputazione, come lui stesso non si curava tanto di fare (si definiva un potente cacciatore di uccelli selvatici, librett d’opera e belle donne). L’ho conosciuto come un uomo cordiale, espansivo, di indole timida e solitaria, anche se amava compagnie scapestrate. Era capace di capace di passare da una rumorosa allegria a una malinconica inquietudine, sapeva scrivere melodie sublimi e versi di una scurrilità unica: genio e sregolatezza totale.

Non ho lasciato impronte, io. La mia morte non è accaduta dentro alla trama di un’opera lirica. Il mio nome, Doria Manfredi, non è certo scolpito come quello di Manon, Tosca, Mimì, Turandot o Butterfly (non è curioso che i vari Cavaradossi, Calaf o Rodolfo, per quanto detentori di arie meravigliose, alla fin fine restino solo dei comprimari?), ma mi piace pensare che sia magari nascosto dietro quello di Liù, oppure nelle parole di Minnie: Io non son che una povera fanciulla / oscura e buona a nulla.

Grazie, Maestro.

2024, centenario della morte del M° Giacomo Puccini

Note

1 Non il 29, come è scritto sulla lapide della tomba di Doria.

2 Nel 1923, la Manfredi resta incinta e partorisce a Pisa, lasciando il figlio Antonio (figlio “di padre ignoto”) a una balia, Alba Salusti: un contratto stabilisce che la Manfredi paghi alla donna mille lire al mese. I soldi giungono regolari fino al novembre del 1924, interrompendosi dunque alla morte di Puccini. Alla morte di Giulia, Antonio entra in possesso di lettere che il Maestro aveva ricevuto da amici, congiunti, avvocati e famigliari di Doria, documenti scottanti da celare alla vista di Elvira.