Quelli che bruciano_seconda parte
_di Helena Janeczek_
Durante la trasmissione Piscitello attacca Rosy Bindi, ignara dei problemi veri delle persone che non sanno come tirare avanti, le dice che è con il deretano sulla sedia da troppi anni, la invita a andare a casa per il bene del paese. Usa il “noi” con veemenza, un “noi” che non sta per il Movimento 5 Stelle che rivendica ancora una volta di aver votato, ma per tutta la gente stanca, arrabbiata, esasperata che chiede concretezza, soluzioni. Però quel attimo di gloria televisiva Giuseppe Piscitello lo ha raggiunto grazie all’episodio precedente, l’essere stato filmato mentre parlava con Grillo e poi intervistato davanti alla sua casa.
Nel giro di brevissimo, Piscitello è passato dall’ombra alla visibilità, dal silenzio all’ascolto amplificato, misurabile in dati di share e audience. In quell’occasione non nomina Mauro Sari, ma è pressoché inevitabile figurarsi che il suo nuovo compagno di ventura l’abbia guardato, magari con tutta la famiglia, mentre ribadiva la sua fiducia in Beppe Grillo e la cantava chiara all’esponente della casta Rosy Bindi. E quindi immaginare che con tutta quella visibilità straordinaria, debba essersi ancora più accesa in entrambi la speranza di un aiuto o di un semplice ascolto.
Su quel che è successo esattamente da allora sino alla morte di Mauro Sari rimangono alcuni punti poco chiari. Sia Grillo che la moglie di Sari hanno affermato che il 26 aprile c’era stato un colloquio diretto anche con il guidatore dell’Ape Piaggio, mentre le telecamere presenti davanti alla casa del leader politico sembrano piuttosto dare credito alla versione di Piscitello, ossia che fosse stato solo lui a perorare per interposta persona la richiesta di Mauro Sari.
La versione della moglie è riportata in un’intervista che esce, al riparo dalle grandi macine dello sfruttamento del dolore e del suo abuso politico, sulle pagine savonesi de Il Secolo XIX, in data 19 maggio.
“Si sentiva tradito da Grillo, che lo aveva ricevuto a casa sua a Genova subito dopo le elezioni. Poi più nulla. «Non mi ha più richiamato, gli avevo lasciato il mio numero di telefono».
Due volte Mauro Sari era andato a Roma per parlarci di nuovo, ma non ci era riuscito. La seconda volta aveva chiesto scusa alla sua famiglia, alla moglie e alle due figlie adolescenti che non riusciva a portare in pizzeria:«Ho sprecato i soldi del viaggio, scusatemi».
Venerdì si è dato fuoco lasciandole sole. A Grillo non gli aveva mai chiesto denaro per sé ma soltanto la possibilità di lavorare rimuovendo gli ostacoli burocratici legati a mancati versamenti previdenziali.
«Era un bravissimo artigiano edile. Voleva solo lavorare, ma si sentiva deluso da Grillo, che aveva
visto come l’ultima speranza» racconta la moglie.”
L’indomani, Piscitello interviene telefonicamente a un programma de La 7 per dire anche lui che nel frattempo avrebbero cercato invano di farsi ricevere da Grillo; la sera stessa rilancia la sua accusa sotto i grandi riflettori di Piazza Pulita.
Il ruolo della tv in tutta questa vicenda è inquietante. Per due decenni, le trasmissioni politiche hanno allestito la messa in scena di “piazze” e proteste fornendo, di fatto, un surrogato alla mobilitazione nelle piazze, strade, fabbriche e svariate sedi della partecipazione politica reale. Non sono le uniche responsabili del fatto che i cittadini si siano trovati orfani di rappresentanze, organizzazioni e luoghi di aggregazione, ma il meccanismo di delega passiva e conseguente neutralizzazione della denuncia svolto dalla tv è stato talmente dilagante da diventare sistematico: dai programmi Mediaset come Striscia la notizia e Le Ienecon il loro mix di “satira”, veline e inviati speciali alla scoperta dei malfunzionamenti del paese sino ai riti di “rappresentanza popolare” officiati dai programmi antiberlusconiani. La caduta del Cavaliere (rivelatasi temporanea) e il crescente disgusto per la politica hanno minacciato la sopravvivenza stessa di quei programmi, dipendenti dai dati di ascolto. Non posso ipotizzare sino a che punto la legge darwiniana della tv abbia inciso sulla scelta di Servizio Pubblico di coprire in esclusiva il target dei simpatizzanti e elettori del M5S o su quella di Formigli di cogliere al volo una crescente insofferenza a sinistra nei confronti di Grillo per smarcare se stesso e il suo programma da Santoro. Però in questo caso è palese che la guerra di conduttori e audience è passata anche attraverso la visibilità concessa a Piscitello quale testimone idoneo per trasmettere contenuti e emozioni opposte: dell’adesione euforica alla rabbiosa delusione. Il nucleo del problema però non sta tanto nella selezione del testimone da esibire, anche se in questo caso si intuisce un concorso dell’effetto catena massmediatico sulla tragedia di un uomo singolo: è lo statuto perverso che ha assunto la visibilità pubblica, il suo essere lievitato a unica prova di esistenza e di valore per gli altri, dove il ruolo della comunità è surrogato dal pubblico televisivo, quello delle autorità riconosciute dai più svariati personaggi pubblici.
E Grillo? Quanto è responsabile Beppe Grillo di quella fine atroce che, come lui stesso ha dichiarato, un semplice gesto di generica risposta (magari neppure di lui in persona) avrebbe forse potuto evitare o procrastinare?
Poco prima di imbattermi nella trasmissione di Formigli avevo letto un pezzo di Federico Campagna suAlfabeta2 intitolato “La Crociata dei Fanciulli di Beppe Grillo”, che sviluppa il concetto del “primo movimento millenarista di massa del XXI secolo” attraverso paragoni con i contadini di Thomas Müntzer e con i Sioux “armati solo dalla fede nella loro danza e nel carisma del loro leader Wovoka” e massacrati infine a Wounded Knee dal Generale Custer.
Per fare un esempio geograficamente più vicino, mi viene da ricordare la famosa “lauda” del francescano Jacopone da Todi contro il papa corrotto, empio e simoniaco Bonifacio VIII, visto che nel linguaggio di Beppe Grillo la parte accusatoria, trasmessa con registri privi di una vistosa discontinuità con quelli collaudati dal comico satirico, prevale sull’esaltazione del popolo vessato, ma moralmente salvo e puro. È la funzione che Grillo ha assunto, passando dalle presenze in tv agli applausi a pagamento degli spettacoli sino alla leadership di un movimento politico, ad aver dilatato il suo ruolo e la sua retorica a quella di un capopopolo politico investito di richieste spirituali. Però, al tempo stesso, il suo potere d’aggregazione continua a beneficiare in una misura sostanziale del fondamento della popolarità guadagnata come personaggio pubblico.
Scrive Campagna “La dimensione millenaria è, a mio avviso, l’aspetto più affascinante e pericoloso del M5S, lo stesso che potrebbe ispirare esperienze simili nel resto d’Europa. Di fronte a una crisi economica particolarmente virulenta nel contesto europeo, il ceto medio-basso si ritrova completamente privo di potere… Nel momento in cui i corpi singolari dei nuovi disoccupati e delle nuove vittime dello sfruttamento cercano sempre più spesso il suicidio come liberazione dalla dolorosa impasse sociale, i corpi sociali a loro volta cominciano a tendere verso il suicidio sociale.”
La visione promossa da Grillo, secondo Campana, non è nemmeno in qualche modo utopistica, ma appunto squisitamente apocalittica. “Uno spazio che ecceda questa terra segnata dal conflitto e dalle contraddizioni, un tempo che ecceda questo tempo lento della corruzione e delle «caste». Il luogo dove riposano i monaci buddisti tibetani quando il fuoco ha consumato l’ultimo centimetro di carne ardente.”
Non ho idea di quando Federico Campagna abbia scritto il suo articolo uscito a maggio, ossia quando Mauro Sari era ancora vivo; ma ho trovato sul blog di Grillo questo post del 28 marzo dal titolo “Tibet chiama, Italia risponde” che rende ancora più sinistre certe associazioni.
“Un giovane tibetano si è dato fuoco per protesta contro l’occupazione del suo Paese. Si chiamava Lampel Yeshi, si è ucciso a Nuova Delhi, in India, dove è atteso il presidente cinese Hu Jintao. Lo stesso che ha promesso a Rigor Montis investimenti in Italia. A proposito, caro Monti, le ha almeno detto due paroline sul Tibet? In un anno 30 tibetani si sono uccisi trasformandosi in falò umani per un Tibet libero. A Bologna, questa mattina, un piccolo imprenditore si è dato fuoco nella sua macchina davanti all’Agenzia delle Entrate a causa di pendenze tributarie. Per fortuna l’auto sembra ancora in buono stato. Così i debitori potranno rivalersi almeno su quella. Tibet chiama. Italia risponde.”