I brevissimi 2013 – La signorina Ana di Chiara Magazzini_Mercatale Val di Pesa(FI)
Anno 2013 (I sette peccati capitali – l’invidia)
Rebecca si alzò, fermandosi un istante a contemplare la sua immagine riflessa nello specchio.
Il suo aspetto era orribile, ma non perché si era appena alzata. Da sotto il pigiama spuntavano rotolini di grasso e le cosce, strette nei pantaloni, sembravano un paio di prosciutti.
“Perché non sei come Alessia?”, si ripeteva sempre Rebecca.
Alessia era la ragazza più carina della scuola. Aveva un corpo mozzafiato. Tutti i ragazzi le correvano dietro. Chi avrebbe potuto resistere ai suoi occhi verdi, circondati da morbidi riccioli rossi?
Rebecca, invece, con i suoi capelli arruffati e gli occhi piccoli come quelli di un topo, era oggetto di scherzi e battute.
Si vestì e scese in cucina, dove sua madre stava preparando la colazione.
-Vuoi latte e biscotti?- le disse quando sentì Rebecca entrare.
-Mmh…come vuoi- rispose la ragazza. Se c’era qualcosa di cui non aveva bisogno, pensò, erano calorie in più.
Sua madre si voltò e osservò attentamente la figlia.
-Ti trovo dimagrita, ancora.-
-Sono sempre la stessa-. Possibile che quella stupida di sua madre, si ostinasse a farle credere certe cose?
-Ti sbagli. Ho notato che mangi poco. Perfino i tuoi professori me l’hanno detto, sono preoccupati per te.-
-Non è così. E’ solo stress da studio, passerà.-
-Come credi. Basta non fare sciocchezze. Ora sbrigati, o farai tardi- disse sua madre, uscendo dalla cucina per rispondere al telefono.
Non appena fu certa che sua madre stesse parlando, Rebecca si alzò. Versò il latte nel lavandino, i biscotti nell’immondizia e uscì.
Erano circa sei mesi che aveva adottato queste strategie, tutto merito di Ana.
Si erano conosciute un pomeriggio, nei giardini pubblici.
Ana era una ragazza alta e magra, con capelli e occhi scuri. Aveva uno sguardo penetrante, al quale era difficile sfuggire.
La sua voce così persuasiva, era impossibile non ascoltarla.
Dal loro primo incontro, Ana aveva visitato quotidianamente Rebecca. Era come se sapesse sempre dove si trovasse.
Quando Rebecca decideva di isolarsi da tutto e tutti, rimanendo sola con i suoi pensieri, Ana arrivava sempre e le parlava a lungo.
-Sei brutta e grassa, lo sai benissimo. Vuoi essere come Alessia, vero?
Lei è perfetta. Tu, invece?
Non sei niente, non meriti di vivere. Come hai fatto a diventare così grassa?
Il cibo non dà la felicità. Mangiare è sbagliato.
Non ti vergogni a farlo? Sei disgustosa! Guarda gli altri come si abbuffano. Inconsapevoli del loro sbaglio, convinti di essere felici.
Tu non sei come loro. Puoi essere superiore e sai come farlo. Devi privarti del cibo. E’ giusto questo, perché il cibo è sbagliato.
Devi stare il più possibile fuori di casa. Mentre la tua famiglia si abbufferà, tu starai lontana dal peccato e il tuo corpo sarà puro-.
Ogni volta Ana le ripeteva queste parole. La sua voce era così ammaliante. S’insinuava in Rebecca come una sostanza vischiosa.
Così era iniziata la sua battaglia.
Grazie alle parole di Ana, Rebecca era riuscita a convivere con il digiuno.
In molti le dicevano, preoccupati, che era dimagrita troppo, ma Ana appariva e le gridava contro.
-Sbagliano gli altri! Sono solo bugiardi! Sei e sarai sempre la stessa stupida, schifosa, grassa ragazzina, se non ascolti me.
Io ho ragione!
Devi ascoltare me! La mia voce!-
Rebecca era come in trappola. Non sentiva altro che la voce di Ana.
Era febbraio, quando Rebecca fu ricoverata d’urgenza in ospedale. Era svenuta a scuola, pallida e tremante dal freddo.
Le persone che la soccorsero dissero che tra le braccia, sembrava di avere uno scheletrico piccolo gatto, avvolto in maglioni e sciarpe che non erano in grado di proteggere Rebecca dal freddo, di cui soffriva perennemente.
In ospedale, sua madre piangeva ai piedi del letto, dandosi della stupida e dell’ingenua.
Alcuni compagni di classe erano andati a trovarla. C’era anche Alessia, che le aveva portato una piccola pianta dai fiori gialli.
Era presente anche Ana, annidata nella testa di Rebecca come un viscido ragno, dove era sempre stata.