La complessità non è gratis
– di Roberto Vacca_
ha detto Luana Iorio che dirige la ricerca General Electric sulla stampa in 3D (citata da TL Friedman sul New York Times del 13 settembre).
Lo spiega illustrando come si costruisce oggi un complesso componente di un motore di jet. Gli ingegneri lo progettano sullo schermo con il software CAD (ComputerAided Design). Lo trasmettono a un printer 3D in cui un laser agisce su polvere metallica e, seguendo le specifiche, stampa o crea subito il componente. Questo viene collaudato ripetutamente. Il costo è basso e il tempo è di pochi giorni. Fino a pochi anni fa ci volevano mesi per produrre il progetto, le macchine utensili speciali e il prototipo. Inoltre, oggi, lavorando in rete, possono collaborare al progetto esperti da ogni parte del mondo.
Macchine e componenti complesse vanno monitorate. Lo si faceva in modo episodico. Oggi lo si fa in tempo reale non su campioni, ma continuamente su tutti i prodotti disseminati per il mondo. Si possono registrare i dati per tutta la loro vita raccogliendo informazioni tanto dettagliate da permettere di prognosticare le irregolarità prima che accadano. In conseguenza ogni progetto può essere riveduto e aggiornato tempestivamente.
La tecnologia moderna doma, dunque, la complessità relativa a progetti e produzione di risorse avanzate. Costi e tempi di produzione si riducono. L’economia ne dovrebbe trarre giovamento. È tutto vero, ma seguendo questi percorso avanzati si sta creando una complessità mai vista prima. Stanno nascendo sistemi di monitoraggio e controllo di vastità enorme. Quis custodiet custodes? Come si controlla che questi sistemi nuovi funzionino in modo corretto?
È già successo. L’evoluzione dei controlli automatici sfruttava inizialmente congegni meccanici (come il regolatore di velocità delle macchine a vapore di Watt). Si passò a controlli elettrici ed elettronici puntuali e oggi i sistemi computerizzati governano grandi strutture: impianti chimici, centrali termoelettriche ed elettronucleari, reti di energia, sistemi militari. In vari casi è dubbio se la gestione sia abbastanza trasparente. Attendiamo progressi decisivi nell’affidabilità e nella tempestività delle comunicazioni fra macchine e uomo. L’intelligenza artificiale non ce li ha ancora dati.
Ci sono anche altre conseguenze. Le tecniche di frontiera supportate dalla tecnologia della comunicazione e dell’informazione creano pochi posti di lavoro per esperti ai livelli più alti e ne rendono obsoleti molti di più per i tecnici e i progettisti tradizionali. La tecnologia avanzata viene accusata, quindi, di aumentare la produttività e di far crescere la disoccupazione. La pensavano così gli operai tessili seguaci del mitico Ned Ludd che, ai primi dell’Ottocento, distruggevano i telai meccanici considerati fattore di disoccupazione.
La creazione di nuovi settori industriali ha creato posti di lavoro occupati da ex-agricoltori e da addetti a settori precedenti. Attualmente in Italia il numero degli addetti a terziario e servizi tende a un valore doppio di quello dei lavoratori nell’industria. È ragionevole pensare che raggiungere livelli più alti di istruzione e professionalità dovrebbe aumentare la probabilità di trovare lavoro. I giovani laureati incontrano, invece, difficoltà maggiori di chi ha studiato meno. Le interdipendenze tra fattori economici, culturali, sociali sono complesse. La complessità non è gratis: è ardua da analizzare ed ha costi futuri incogniti.
Friedman lamenta che il Congresso USA non si renda conto delle nuove enormi risorse tecnologiche e di come si possano sfruttare. Il Congresso non capisce la scienza e si concentra su problemi irrilevanti come la minaccia dell’immigrazione. Considerazioni simili si possono fare anche sulla politica italiana. Si fanno discussioni interminabili su problemi di individui condannati per gravi reati, su chi potrebbe levare la spina al governo e con quali conseguenze e su questioni di politica economica che non dovrebbero essere affatto opinabili. Non si discute di ricerca, sviluppo, istruzione, cultura media.
Sebbene alcune industrie innovative (di cui nessuno parla) stiano facendo grossi passi avanti anche sulla scena internazionale, il livello di innovazione industriale è basso (ricordo ancora una volta che siamo in Europa al quindicesimo posto su 27). Innovare di più conviene, come dimostrano i Paesi del Nord.
Qelli che lavorano a capire la complessità e non si vantano ancora di averla resa semplice e gratuita, sono pochi: ascoltiamoli, appoggiamoli, sosteniamoli.