Paso doble_Simonluca Merlante, Trento
_Menzione Giuria nona edizione Premio Energheia 2003.
Su un treno tutto è relativo, tutto è divenire. Guardi fuori, e la campagna scivola via, si scioglie in una macchia confusa di verde, marrone ed azzurro. Persino i viaggiatori cambiano, scendono, salgono, i loro volti si fondono in un unico Signor
Nessuno che siede lì accanto a te, ma in realtà non c’è se non sei tu ad invocarlo. Persone scelte a caso dal destino, e che si trovano sulla stessa barca (o sullo stesso treno) per forza, indipendentemente dalle loro volontà. Non sei mai stato bravo a cominciare una conversazione costruttiva con il viaggiatore che sobbalza impaziente lì di fronte, sorridendo ad un libro assurdo; stavolta, comunque, è differente; stavolta, il viaggiatore porta una terza abbondante di reggiseno e legge con entusiasmo l’ultimo libro di Benni.
“Sa, lei mi ricorda un’amica dei tempi del liceo…” butti lì senza convinzione, annegando in un brivido freddo. Speri che lei non alzi lo sguardo. Forse non ha sentito. La sorte ha voluto così. Tu ci hai provato, in fondo. Non si può sfidare il destino.
Ritenta, sarai più fortun…
“Davvero?”, esclama lei.
Annuisci come un idiota. Lei continua a leggere. Il sordido impiegato del catasto accanto a te che scruta Il sole 24 ore lancia un’occhiata maligna alla tua interlocutrice. Poverino: ci vuole silenzio, altrimenti non può concentrarsi, non riesce a leggere. Il fatto che abbia appena smesso di esaminare Il Resto del Carlino la dice lunga sulle sue facoltà mentali. La musa di fronte a te ti sta osservando, aspetta che tu racconti uno dei tuoi fantastici anneddoti.
“Prima superiore”, esordisci, annegando nei rosei ricordi scientifici. “In classe mia c’era questa ragazza perennemente sola, triste, silenziosa. Non aveva amiche e non conosceva nessuno: passava la pausa a studiare, in classe. Un giorno, scorgo l’ultimo cd dei Millencolin in una tasca del suo zaino. Da quel momento mi è stata subito simpatica, e col tempo siamo diventati grandi amici. La ragazza è rimasta nella mia scuola solo due anni, poi si è trasferita al liceo artistico. Non ho mai saputo molto di lei.”
Tu concludi il tuo scarno racconto mentre l’impiegato del catasto scuote la testa e gira violentemente pagina. Lei sembra rapita dalle tue capacità narrative. Sorridi tronfio.
“Come si chiamava questa ragazza?”, ti chiede infine, fissandoti con curiosità.
Giada, occhi grandi e capelli neri, sorriso raro, l’insicurezza che trabocca da tutti i pori. Giada.
“È mia sorella”, conclude lei senza un’espressione, tornando a Benni.
L’impiegato del catasto tira su col naso, scuotendo pesantemente la testa. Disapprova. Ci sono tante cose che potresti dire, ma ti esibisci in un triste “Incredibile!” che non attira la sua attenzione. Sembra definitivamente persa nei meandri del libro. Tu taci. La superiorità del fato è lampante.
“Stasera aprono una nuova birreria, a Bolzano. Tu sei di Bolzano, vero? Scommetto che ci sarà anche Giada. Nel caso tu volessi incontrarla”.
L’impiegato del catasto pare allibito, incredulo. Vi guarda come se fosse vittima di Scherzi a parte. Il treno è un nonluogo.
Guardi fuori dal finestrino. Alberi schizzano via veloci come pensieri. Ti viene una voglia irrefrenabile di bere una birra.
Nella birreria l’atmosfera è quella di una cava di carbone. Fumo buio, rumore, caldo, sudore. La musica di sottofondo è una litania inutile. Ordini una Beck’s, ti siedi al bancone e guardi la porta. Dopo quattro ordinazioni e due giri della lancetta lunga, sei ancora lì. Nell’angolo, seduti ad un tavolo, due tizi rasati cominciano a discutere con civiltà ed eleganza dei massimi sistemi. Finisci l’ennesima birra, è tardi, decidi di alzarti e tornare a casa. Solo allora ti sfila davanti, leggera come un filo di fumo bianco, impacchettata dentro un vestito supermoderno. Bella. Sculetta via, apre il pesante portone in legno, sguscia fuori in men che non si dica. Scomparsa. La tua mente annebbiata dai fumi dell’alcol, giunge alla conclusione dopo una decina di minuti. Te ne rimani imbambolato in mezzo alla birreria stracolma di gente, mentre i due nazi, pestandosi, scagliano il tavolino a due centimentri dal tuo piede.
Paghi rapidamente e ti precipiti fuori. Il freddo ti azzanna la faccia.
La vedi tacchettare su per via Museo con la determinazione della donna in carriera.
“Ehy, Giada!”, urli, scarpinando ed alzando la mano. Lo stomaco, il cervello, il tuo intero organismo protesta vivacemente.
Scattano meccanismi a feedback un po’ ovunque.
Ti sente, si ferma, si gira. Ti guarda in cagnesco, la fronte corrucciata. Probabilmente ti ha scambiato per un maniaco assassino. A due metri di distanza ti riconosce. Si illumina.
“Ciao!”, strilla con voce soave venendoti incontro. “E’ da una vita che non ci si vede! Come stai?”
Lei e tutte le case intorno a voi cominciano a vorticare in preda ad un isterismo centrifugo. Sorridi come un ebete.
Uscite insieme per circa due settimane. Non la tocchi nemmeno con un dito anche perché dodici giorni su quindici sei all’università. Poi un giorno, inaspettatamente, lei ti chiama sul cellulare. Sei in treno. Stavolta accanto a te c’è una donna antiquata che legge “Donna moderna” ed una madre esaurita con sette figli di età compresa fra gli uno ed i sette anni. Stai per consigliarle di cambiare anticoncezionale, quando il cellulare vibra miracolosamente.
“Ci vediamo stasera a casa mia? Non c’è nessuno! Ti faccio una torta buonissima!”
Metti da parte il pensiero della torta e pensi alla casa libera.
I bambini cominciano a piangere in coro. Invochi Donato Bilancia.
“Certo!”, esclami con la tua migliore voce.
Ti freghi le mani come Gargamella di fronte ai puffi (i bambini).
La donna antiquata ti osserva con un ghigno inquietante sul viso. I mocciosi continuano a strillare. Cambi vagone.
Giada vive in una specie di casa tirolese nei quartieri residenziali della Bolzano bene. Supponi che abiti ancora con i suoi. Nutri grandi speranze per il futuro: fra di voi c’è un buon feeling, avete in comune molte cose, lei ride sempre in tua compagnia e tu non sei imbarazzato come quella volta che hai dato un appuntamento alla nipote di Maria de Filippi.
Alla stazione hai comprato i preservativi meno costosi guardandoti intorno furtivamente, come un ladro. Un vecchietto con la ramazza in mano ti osservava divertito, faceva commenti osceni. Sei tornato a casa, hai salutato la famiglia, hai giocato col cane, ti sei fatto una doccia, ti sei vestito e profumato, hai preso il motorino e sei giunto dopo mille peripezie stradali in quello sperduto vicolo perbenista. Ora esamini il tuo vestito impeccabile, cerchi di pettinarti alla bell’e meglio, ti carichi psicologicamente di positività. Suoni vigorosamente il campanello, attendi risposta. Sei pronto. Hai un sorriso da gonzo sul volto che batterebbe quello di Alvaro Vitali.
Lei ti fa salire. La casa è arredata con gusto, sembra un bordello francese dell’Ottocento, ma dopotutto è elegante. Ti togli la giacca e la segui in cucina, dove ammiri la tavola splendidamente apparecchiata per due ed i fornelli, accesi a tutto gas sotto pentole minacciose e ribollenti. Ti metti a tavola stringendo il santino di Padre Pio e sorridi per tutto il tempo fino a farti venire una paresi facciale, anche quando il cibo (?) risale misteriosamente le pareti dell’esofago, cercando di abbandonare il tuo organismo: resisti stoicamente senza battere ciglio.
La prossima tappa è il salotto, dove lei ti mostra la collezione di monete antiche del padre. Infine mette su un cd: niente Millencolin, è il momento del blues. Ti fa sedere su Alessandra (il più costoso dei divani dell’Ikea). Hai un’espressione serissima in volto, ma dentro ghigni e ti bei delle tue future conquiste.
Pensi a cosa racconterai agli amici.
“Sai – dice – sono davvero contenta che tu voglia stare, seriamente, con mia sorella Asia. So cosa significa rimanere sola per molto tempo e credimi se ti dico che Asia non sta con un uomo da più di un anno. Vorrei che voi foste felici come lo siamo io e Giorgio ora”.
Sorride ad un volto da pirla incorniciato nel silver plate.
Salivazione interrotta. Atrofizzazione di tutti i muscoli volontari.
Ti senti come Messner quando si ruppe la gamba scalando il muro di cinta di casa sua. Giorgio si fa beffe di te, appoggiato sul comodino. Asia? E chi ci ha pensato mai, ad Asia? Avevi persino rimosso la sua esistenza… Ti viene voglia di urlare, di zittirla, e anche di mollare un rutto potentissimo che i tuoi amici definirebbero “la quint’essenza del rutto”, senza sapere esattamente cosa significa.
“So che sei un bravo ragazzo. Credimi, farò qualunque cosa perché tu ed Asia vi mettiate assieme. È quello che vuoi anche tu, no?”
Ti guarda fisso, negli occhi. Sorriso di circostanza. Le comiche di Stanlio ed Ollio, in confronto, sono tragedie greche.
“È proprio così, ti ringrazio!”, esclami tu, sincero come Silvio in campagna elettorale.
Ti assale l’improvviso, impellente bisogno di fuggire di lì.
La sorella è sempre meglio di niente, consigliano i saggi filosofi, nonché tuoi amici, che frequenti abitualmente alla saletta di biliardo. Proverbi più famosi ma non riferibili accompagnano sentenze e motti di questo genere. Asia ha quattro anni più di te. È in un certo senso più bella della sorella (le due si somigliano molto), ma il suo carattere la rende inavvicinabile anche a Padre Ralph. Riesci a strapparle due o tre appuntamenti, ed ogni volta sperimenti la triste terapia del soliloquio. I tuoi amici, come un consiglio di guerra, si fanno in quattro per darti le dritte giuste. Ma tutto sembra inutile, fino a quando un giorno non la porti al cinema. C’è Hugh Grant in una commedia romantica inglese che fa piangere i morti; la diffusione di malattie per via orale si fa incredibilmente acuta, in quelle occasioni.
Di fronte a voi due liceali brufolosi sperimentano il kamasutra della lingua, mentre qualcuno in ultima fila ansima, preoccupatamente. Tu non la abbracci neanche, non osi. Forse hai addirittura perso le speranze. Guardi il film e mediti sui fatti tuoi. Ad un certo punto, Hugh Grant prende in mano la stecca e si avvicina al tavolo da biliardo. Butta dentro una palla e tu commenti meccanicamente:
“Quella è la 15, doveva buttarla nella buca laterale!”
Lei si gira verso di te, lentamente. Anche tu ti giri verso di lei. Pensi di aver detto una stupidaggine. Hai l’espressione del tipico bambino pescato dalla madre con le mani nelle mutande.
“Giochi a biliardo?”, ti chiede, sorridendo.
Il biliardo è uno sport dalla forte componente erotica, specie se giochi con una donna. Gli amici-filosofi vorrebbero avventarsi come mandrilli sulla tua Asia e tu li trattieni a fatica.
È una passione che vi accomuna, il biliardo. Lei pare dimenticarsi la riservatezza e la gelida facciata che presenta al mondo. Tu ti senti a tuo agio, nel tuo universo, finalmente capace di dare il meglio di te stesso. In mezzo al fumo, fra le luci soffuse, con la 4 già piazzata e la 7 troppo vicina alla tua 6, pensi che forse ti sei innamorato. Tiri una steccata ai tuoi pensieri insani. Strisci il tavolo.
Una sera vai a prendere Asia sotto casa sua. Ti sei fatto prestare l’auto da tuo padre. Non te l’hanno ancora comperata perché dicono che “non te ne fai niente”, e poi “abbiamo paura a saperti alla guida”. La patente, è chiaro, l’hai fatta solo per sport.
Tu ed Asia non state ancora assieme, ma le cose sono migliorate molto. Forse già quella sera puoi concludere qualcosa.
Torni a ghignare e fregarti le mani come un tempo. Invece di Asia, scende Giada. Ti rabbui, la saluti, guardi da un’altra parte, taci. Lei ti osserva, silenziosamente. Strano.
La situazione è quasi comica, qualcuno dovrebbe rompere il ghiaccio, ma nessuno lo fa.
“Tu ce l’hai con me, non è vero?”, sbotta lei, quasi imbronciata.
Sembra una bambina viziata. Sei nauseato.
“Cosa te lo fa pensare?”
“Credevo fossimo amici, ma non mi rivolgi più la parola da quando hai cominciato ad uscire con Asia”.
“Non voglio farla ingelosire”, dici con la massima calma.
Sei quasi convincente. In realtà la detesti per lo scherzetto di Giorgio. La sogliola tutta denti e silver plate. Te lo immagini a bordo del suo BMW mentre parcheggia al Golf Club.
Sei nauseato.
Te lo immagini anche a letto, sdraiato sulla schiena, ricoperto di peli, mentre fuma la leggendaria sigaretta e dice “Stanotte mi sentivo in forma”. Questa versione è quasi comica.
“Ascolta – comincia lei dopo un minuto –, Asia mi ha detto che sparli sempre di me, con lei. Se ho detto, o fatto, qualcosa che ti dà fastidio, perdonami, ti prego. Non ti posso odiare, sei quasi il ragazzo di mia sorella…”.
Ed è in quell’istante che capisci l’origine delle cose dell’universo, la terribile verità viene a galla come un affogato in putrefazione. Potrai mai cancellare il pensiero che occupa ora la tua testa? Non c’è modo per tornare indietro. Ti senti un cane alla catena, un uccello in gabbia. Hai compreso quello che vuoi davvero, ma è troppo tardi. Troppo tardi per decidere, per cambiare. Forse ti stai mettendo con la persona sbagliata, forse è lei che veramente ti piace ed Asia è solo un passatempo. Vorresti cancellare questi molesti dubbi dell’anima, ma è troppo tardi. Ecco cosa non tornava nell’equazione: ora sai la verità, ma non si può dire che tu sia soddisfatto.
Asia scende ed è tutta un sorriso. Tu sei più buio di Galliani quando perde il Milan. Prendete la sua macchina ed andate a giocare a biliardo; tu fai una partita assurda, butti dentro solo due palle, di cui una è la bianca. Ti fai riaccompagnare a casa adducendo la scusa della stanchezza e, tanto per cambiare, non la tocchi nemmeno con un dito.
Due settimane dopo, siete tu, Asia, Giorgio e Giada. Andate in pizzeria e poi in un locale nuovo, appena aperto, dalle parti di Trento. Tutti ridono a parte te, sembri Bertinotti ad un convegno dell’Ulivo. Rampogni il cameriere perché ti ha portato birra Forst invece che Beck’s. Nel locale non bevi nient’altro, perché sai che al ritorno dovrai guidare, ma senti la profonda voglia di ubriacarti. Asia cerca di concludere con te ma tu sei più freddo delle tue compagne di classe del liceo (la metà di loro ti credeva gay, l’altra metà ti considerava “troppo simpatico ed amico” per filarti). Alla fine la prendi e la riporti a casa perchè ha bevuto più di un camionista tirolese.
Giada e Giorgio ti seguono sulla loro auto. Chiaramente un BMW. Circa a metà strada, ti passa per la testa il pensiero assurdo che forse Giorgio ha bevuto troppo per guidare. Il suo volto sorridente, da idiota, non è più contornato dal silver plate, ma da una miriade di boccali di birra ambrata. Questo pensiero ti spinge a guardare nello specchietto retrovisore: le luci del BMW sono scomparse. Inchiodi di violenza, ti esibisci in una rocambolesca inversione ad U e ritorni sui tuoi passi.
Ritrovi la loro auto ferma, a lato della strada. Pensi che uno dei due stia vomitando. In realtà si sono schiantati contro un albero.
Il 60% degli incidenti è causato da persone sobrie, pensi mentre varchi la soglia dell’ospedale.
Giorgio-Silver Plate è passato a miglior vita: non portava le cinture, si è fracassato il cranio, non guiderà più la sua BMW al Golf Club, niente più sigarette dopo il sesso. Sei andato al suo funerale, quasi hai pianto: la foto sorridente sulla lapide era incorniciata nel silver plate. C’era anche Asia: non ti parla più dal giorno dell’incidente. Supponi che con lei sia tutto finito, anche se questo è l’ultima cosa che ti preoccupa.
All’ospedale, trovi la stanza dove riposa Giada. La saluti, le dici due parole dolci, le stringi la mano. Per lei Giorgio è ancora vivo: non sopporterebbe la notizia. Domani dovrà sottoporsi ad un’operazione chirurgica. Nulla di grave: tornerà a casa fra due settimane. Prima di andartene ti ha ringraziato per avere salvato lei e Giorgio. Senti una fitta di colpa e vergogna.
Lei ti sorride, beatamente ignorante. Ti abbassi su di lei e la baci, con delicatezza: hai paura di romperla. Risponde al bacio. Ha garze dappertutto, ma è bella. Te ne vai col sorriso sulle labbra. Dentro di te, negli anfratti più profondi di te stesso, ghigni.
Al funerale c’era metà Bolzano, evidentemente suo padre era uno influente. Dopo una breve cerimonia l’hanno sepolta e hanno detto due parole commosse, nulla di più. Lei e Giorgio giacciono accanto, ora. Ti hanno detto che un chirurgo si è dimenticato il bisturi nella sua pancia. È morta di emorragia la sera dell’operazione. Non c’è stato niente da fare, dicono.
Asia si stringe a te e tu fai altrettanto con lei, hai l’anima in frantumi, gli occhi rossi ed il cervello annebbiato. Non c’è più un senso per le cose dell’universo, nessuna verità da riesumare, se non il cadavere dell’unica che hai veramente amato ma che ora giace lì sotto coi vermi; e i suoi occhi ti guardano dal silver plate e sembrano chiedere una speranza al tempo, ma non c’è più nessun attimo per lei da cogliere, e per te nessun dolce romanticismo in cui cullarti sperando nella felicità. Ti aggiri mesto fra i non-luoghi, vaghi in stazione, guardi i treni passare, aspetti che uno di quei vagoni racchiuda in sé un motivo sufficiente per tornare a viaggiare. Il suo ricordo è una pallottola d’argento nel cuore di un vampiro, il tuo cuore; sei destinato ad aggirarti ramingo di treno in treno, di stazione in stazione; non troverai mai una buona ragione per fermarti, nulla di abbastanza bello che riesca a liberarti dalla cappa grigia di solitudine che questo vagone vuoto ti ha gettato addosso. Ti butti sul sedile, esausto, aspettando la prossima fermata. Sperando che salga un po’ di gente.