Storia di un genio_Lapo Fanciullo, Torino
_Miglior racconto da sceneggiare nona edizione Premio Energheia 2003.
Nella grande stanza del centro ricerche biologiche, una scienziata in camice stava parlando con una giovane coppia.
“Non vogliamo assolutamente farvi fretta”, disse. “Ovviamente, comprendiamo bene quanto una decisione del genere sia difficile. Anche ottenere l’autorizzazione del governo per un esperimento del genere, ha richiesto moltissimo tempo. Vi chiediamo solo di contattarci, quando avrete deciso”.
“D’accordo, dottoressa Losarro” rispose l’uomo “Prima che ce ne andiamo, però, le vorremmo chiedere ancora un paio di cose”.
“Dite pure”.
“In cosa consiste esattamente l’operazione? Nessuno di noi due conosce bene la biologia molecolare, quindi le vostre spiegazioni precedenti ci hanno lasciati un po’… Perplessi”.
“La vostra richiesta è più che legittima, sennonché la spiegazione non può essere semplificata più di tanto senza perdere in esattezza”.
“Non importa. Avremo tempo in seguito per comprendere la cosa nei particolari. Per adesso, ci basta saperlo a grandi linee”.
“Per prima cosa, modifichiamo geneticamente lo zigote, cioè, la cellula da cui si svilupperà il bambino, inserendo in esso dei geni che codificano lo sviluppo della corteccia cerebrale. Durante la gravidanza, iniettiamo nell’utero materno degli ormoni che dovrebbero far crescere ulteriormente la funzionalità del sistema nervoso. Infine, facciamo in modo che il neonato si trovi in un ambiente stimolante, ricco di situazioni che lo portino ad allenare le sue facoltà intellettive. Tutti gli animali su cui abbiamo provato queste tecniche sono risultati essere molto più intelligenti degli esemplari normali della stessa specie”.
“Se il cervello del bambino cresce troppo durante la gravidanza, non c’è il rischio che il parto risulti difficile?”, chiese la giovane moglie.
“Non si preoccupi, lo sviluppo cerebrale del bambino sarà più qualitativo che quantitativo. In caso di necessità, comunque, si può sempre fare un parto cesareo”.
“E’ sicura che non ci saranno rischi?”, rincarò la donna.
“Quanto è possibile esserlo, prima di aver compiuto l’operazione, su un essere umano. Tutti gli animali su cui è stata effettuata sono in perfetta salute e nessuna delle colture di cellule umane su cui abbiamo sperimentato le sostanze che dovremo usare ha reagito negativamente. D’altronde non avremmo ottenuto l’autorizzazione a procedere se non potessimo garantire un certo livello di sicurezza. Vorrei ricordarvi che per noi è di vitale importanza trovare dei genitori per il primo bambino con intelligenza artificialmente accresciuta”.
I due coniugi, si consultarono brevemente e alla fine il marito, disse: “Ci penseremo. Vi faremo sapere la nostra decisione, il prima possibile”.
Poco più di un anno dopo, Robert e Nora Willings diventavano i genitori del primo bambino transgenico mai venuto al mondo.
Come previsto, il piccolo David bruciò tutte le tappe dello sviluppo intellettivo. Aveva due anni quando i genitori capirono che alcuni dei suoi scarabocchi erano in realtà una scrittura in corsivo, rovesciata come se fosse vista allo specchio: il bambino era mancino. Non ci volle molto prima che imparasse a scrivere normalmente.
A partire dai tre anni, il piccolo cominciò a interessarsi di ogni campo dello scibile umano – dall’arte alle scienze, passando per la matematica, l’informatica e la letteratura – acquisendo un notevole bagaglio di conoscenze mentre i suoi coetanei aspettavano ancora di imparare a leggere.
A sei anni e mezzo si iscrisse ad un corso universitario per corrispondenza, laureandosi poco dopo il suo undicesimo compleanno.
Durante questo periodo, fu fatto tutto il possibile perché David non si sentisse troppo diverso dagli altri. I suoi rapporti con gli altri bambini si basavano soprattutto sul gioco e sullo sport – campi nei quali non si trovava avanti agli altri – mentre conduceva i suoi discorsi essenzialmente con gli adulti.
I suoi genitori gli dicevano che era “molto intelligente” perché aveva fatto “un’operazione”, in modo da fargli conoscere la verità un po’ alla volta ed evitargli shock da rivelazione.
All’arrivo della pubertà, David si dedicò alla ricerca scientifica, nella quale ebbe una carriera fulminante. Il suo contributo fu determinante nella soluzione di molti problemi tecnici che avevano impedito ad alcuni progetti di superare lo stadio teorico.
La sua vita, sebbene insolita fu, abbastanza, felice per quanto riguardò l’infanzia e l’adolescenza. Poi, poco dopo il suo diciottesimo compleanno, sorse un problema.
Fu per pura coincidenza che David incontrò Jeanna. Stava passeggiando nei pressi di un liceo scientifico all’ora della fine delle lezioni quando intravide, alla fermata del tram, una ragazza bruna che attirò la sua attenzione. Sul momento proseguì nel percorso che si era prefissato, ma poco dopo ci ripensò e tornò indietro. La ragazza era ancora lì. Era molto carina. David sentì un forte desiderio di parlarle, di dirle qualcosa, una qualsiasi cosa, pur di rivolgerle la parola. Pensò per qualche istante, prese un respiro profondo per farsi coraggio e le si avvicinò.
“Aspetti il 12? Non passa di qua, oggi. Hanno deviato il tragitto, perché c’è un’interruzione, sulla linea”.
“Davvero? Oh, grazie. Ehm, sapresti dirmi anche dove posso prenderlo?”
“Certo, è… Hmm… Devo prenderlo, anch’io. Se vuoi, ti accompagno”. David sperò ardentemente che non lo avesse visto prima, mentre andava in una direzione completamente diversa. Fu fortunato.
“Grazie. Sei molto gentile. Credo di non averti mai visto prima d’ora. Vieni a scuola qui?”
“A dire il vero no. Oggi non vado a scuola, quindi ho pensato di fare una passeggiata. Mi chiamo David”. In fondo non si tratta di bugie, pensò.
“Io Jeanna. Piacere. Da dov’è che passa il 12, allora?”
Si incamminarono verso la fermata provvisoria del tram assieme agli altri studenti desiderosi di tornare a casa per pranzo.
David lanciò più di un’occhiata furtiva alla ragazza al suo fianco. “Devo passare di qui più spesso”, si disse.
Nei giorni seguenti, si incontrarono numerose altre volte ed approfondirono la reciproca conoscenza.
“Ma il tuo cognome qual è?” gli chiese un giorno Jeanna.
“Willings”.
“Dai, dico sul serio”.
“Anch’io. Mi chiamo David Willings”.
“Davvero? Come il ‘ragazzo prodigio transgenico’ che compare sui giornali ogni sei mesi?”
“Non mi piace tanto essere definito ‘transgenico’, comunque non mi chiamo “come lui”. Sono proprio lui”.
“Se vuoi che stia al gioco, fingi almeno di fornirmi qualche prova”. Rise la ragazza.
David tirò fuori la carta d’identità e gliela fece vedere.
“Questa basta?” chiese.
Jeanna la fissò a lungo con gli occhi spalancati, quindi alzò lo sguardo sulla faccia di chi gliela mostrava. Solo dopo molto altro tempo riuscì a parlare di nuovo.
“Tu… Sei davvero… Io… Voglio dire… Non credevo…”.
“Posso capire che per te possa essere un’esperienza insolita”, sorrise David “Non preoccuparti, non mi hai offeso. Non ti va oggi di fare la solita passeggiata?”
Quel giorno, quando Jeanna si fu ripresa abbastanza dallo sbigottimento, parlarono molto più a lungo del solito.
Con il passare del tempo i due giovani, parlandosi di se stessi, si accorsero di avere parecchie cose in comune. Si trovarono sempre più spesso e per periodi sempre più lunghi.
I coniugi Willings osservavano la cotta di loro figlio con tenerezza. Il periodo felice, però, durò solo qualche settimana, passata la quale Robert e Nora si accorsero che l’entusiasmo di David stava smorzandosi. Il ragazzo cominciò a sembrare pensieroso, per poi passare ad una decisa malinconia.
Nonostante sapessero che gli adolescenti sono in genere restii a discutere dei loro problemi sentimentali, i genitori decisero allora che era giunto il momento di parlargli.
Una sera Nora bussò alla porta della stanza degli ospiti (David viveva da solo da quando aveva sedici anni, ma andava spesso a trovarli) ed entrò, vedendolo seduto sul suo letto con aria affranta. Gli si sedette accanto e gli parlò.
“C’è qualcosa che non va?”
“Perché me lo chiedi?”
“Io e tuo padre ti abbiamo visto triste ultimamente, e vorremmo sapere il perché”.
David rifletté per qualche istante, quindi concluse che i suoi genitori non gli avrebbero creduto se lui avesse negato, e che pertanto era meglio dire subito la verità.
“Si tratta di Jeanna. Ultimamente le cose tra noi non vanno più come… Non fraintendermi, ci vogliamo sempre bene come prima, anche di più, anzi, ma lei è così… così… ottusa”.
Subito dopo aver terminato la frase, il ragazzo sembrò accorgersi di aver detto qualcosa di inesatto e aggiunse in fretta: “Non è così, in realtà. Da un punto di vista ordinario
è una ragazza intelligente, colta, sensibile, però… Da quando abbiamo smesso di parlare di noi stessi e abbiamo cercato nuovi argomenti di conversazione, non riusciamo più a comunicare. Tutto quello di cui tento di parlarle è troppo difficile per lei, mentre i suoi argomenti di conversazione sono così ovvii, così banali…”
Nora si sentì in colpa. Suo figlio era così avanti rispetto ai suoi coetanei che la loro compagnia non gli sembrava interessante. Era una questione che aveva già preoccupato lei e Robert in passato, ma quando avevano visto che il loro bambino stringeva amicizia con i tecnici del laboratorio a cui doveva la sua intelligenza e avviava rapporti epistolari con i più famosi scienziati e intellettuali della nazione, avevano dimenticato i loro timori. Dal momento che David aveva trovato la compagnia di persone abbastanza intelligenti da stare al suo passo, non avevano pensato che avrebbe potuto innamorarsi di una che non lo era.
Nora tentò di consolare il ragazzo, pur sapendo che era abbastanza sveglio da capire che non poteva aiutarlo.
Quando sua madre fu uscita dalla stanza, David si infilò sotto le coperte e tentò di addormentarsi, nonostante fosse ancora presto. Si sa che la notte porta consiglio, e, subito prima di prender sonno, fu folgorato da un’idea che lo svegliò di nuovo. Ci pensò meglio. Era audace, rischiosa, ma era forse l’unico modo per non dover rinunciare alla relazione con Jeanna. Si addormentò speranzoso, ripromettendosi di parargliene al più presto.
Il giorno seguente la invitò a casa sua.
“Prego, accomodati. Da’ pure a me la tua giacca”.
Jeanna si sedette e si lasciò sfuggire un grido quando sentì che la sedia sembrava muoversi sotto di lei.
“Non preoccuparti, si sta solo adattando alla forma del tuo bacino. L’ho ideata io”, la rassicurò il ragazzo.
In pochi secondi il sedile sembrò assestarsi, diventando il più comodo che Jeanna avesse mai provato.
“Fantastico”, mormorò lei con ammirazione, quindi si rivolse a David: “Mi hai chiamato per parlarmi del nostro problema, giusto?”
“Esatto”, disse lui, accomodandosi su di un’altra sedia, che come l’altra si deformò subito per risultare più confortevole.
“Immagino che anche tu penserai che la nostra relazione, così come va al momento, non può durare a lungo, vero?”
Lei annuì. Il ragazzo riprese a parlare.
“Ci ho pensato su e penso che le possibili soluzioni siano tre. La prima, e quella che mi piace di meno, è lasciarci”.
“Questa soluzione non piace neanche a me. Non voglio perderti”.
“Neanch’io. E poi non risolverebbe davvero il problema.
Purtroppo, nessuna delle soluzioni possibili è priva di rischi.
Comunque, ho pensato anche che se la causa di tutto è la mia intelligenza, potrei intervenire lì. A nessuno di coloro che hanno lavorato su di me piacerebbe farlo, ma quando hanno ideato il progetto di modifica genetica nel quale sono stato la cavia hanno assunto l’impegno etico di aiutarmi a superare qualsiasi difficoltà che mi fosse stata causata da loro, direttamente o indirettamente. Se l’intelligenza che mi hanno dato mi costringe a essere infelice, posso chiedere loro di togliermela…”
“Vorresti farti lobotomizzare per raggiungere il mio livello? Mai! Non dirlo nemmeno per scherzo!” gridò lei, sinceramente allarmata.
David si sentì rincuorato dall’affetto che lei gli stava dimostrando in quel modo, ma sapeva che l’ultima soluzione sarebbe stata anche la più difficile da spiegare.
“Rimane una sola scelta, allora – disse – ma non posso né voglio costringerti ad accettarla, perché anche questa è molto rischiosa. Rischiosa per te”.
Gliela spiegò dettagliatamente, sforzandosi però di tralasciare tutti i particolari tecnici, così che lei potesse comprendere facilmente.
Jeanna capì e decise che questa era la soluzione che le piaceva di più.
Nel periodo seguente David fu molto impegnato. Nonostante avesse molti mesi a disposizione prima che Jeanna compisse diciotto anni – condizione indispensabile per attuare il piano che avevano in mente – i preparativi da approntare erano numerosi e tutt’altro che semplici. Riprese in mano alcuni studi e ricerche che aveva fatto qualche anno prima nel campo della biologia. Trovò finalmente i dati che gli servivano e iniziò a lavorarci sopra. Condusse esperimenti.
Elaborò ipotesi. Dovette usare, e spesso approfondire, le sue conoscenze di biochimica e anatomia comparata.
Corresse dati e teorie. Volse fino all’ultimo recesso della sua mente eccelsa allo scopo che perseguiva, riuscendo a rendere utilizzabili in pratica delle conoscenze che erano in precedenza solo accademiche, e che, senza il suo intervento, lo sarebbero rimaste per molti anni.
Oltre ai problemi tecnici dovette risolvere anche quelli legislativi, con l’aiuto del centro di ricerche biologiche nel quale era stata ideata la tecnica di accrescimento artificiale dell’intelligenza. Alla fine, però, si rese conto con gioia che il suo progetto era realizzabile e poteva essere reso relativamente sicuro.
Dopo aver compiuto gli anni a fine maggio, Jeanna riuscì ad ottenere dai genitori il permesso di passare l’estate nella casa di David. Vi si trasferì subito dopo la fine della scuola e finalmente, ora che con la maggiore età la ragazza aveva tutta la responsabilità delle proprie azioni, i due amanti iniziarono l’esperimento che avrebbe dovuto riunirli.
Per settimane, Jeanna rimase distesa su un tavolo operatorio, mentre nel suo corpo, attraverso una selva di flebo e cannule, venivano riversate sostanze nutritive e costrutti genici che agivano in profondità nel suo sistema nervoso.
Dopo l’infanzia, in genere, non nascono nuove cellule cerebrali e quelle già presenti non possono essere sostituite, se non in piccolissima percentuale e in zone ristrette del cervello: anche inserendo nuovi geni all’interno dei neuroni, quindi, questi non subiscono grandi cambiamenti, dato che non possono moltiplicarsi o essere sostituiti da cellule rese più efficienti dal nuovo costrutto genico. Un cocktail di ormoni opportunamente calibrato, però, poteva accrescere le scarse capacità rigenerative delle cellule nervose, rendendo il cervello di Jeanna plastico come quello di un feto e permettendo alle iniezioni genetiche ed ormonali di incrementarne l’efficienza.
Dopo un mese di terapia genica, miglioramenti della chimica nervosa e potatura selettiva delle sinapsi, avvenuti sotto il controllo attento di David, l’operazione terminò e la ragazza, dopo qualche giorno di riposo, poté rialzarsi dal letto. Tutti i test a cui fu sottoposta rivelarono che non vi erano state alterazioni della personalità o della memoria, come David temeva che potesse accadere in seguito all’intervento. I due amanti non tardarono a passare insieme le lunghe e torride giornate di fine luglio, durante le quali David insegnava a Jeanna tutto ciò che sapeva – nozioni, curiosità, ma anche tecniche di apprendimento veloce – che la ragazza imparava più prontamente di quanto non avesse mai fatto in precedenza.
“Ovviamente, potenziare il cervello per via biochimica, è utile solo fino ad un certo punto – disse David -. La quantità di cose che imparerai, dipenderà, in buona parte anche, dalla tua motivazione e dal tuo impegno”.
“Sono più motivata che mai”, rispose Jeanna dandogli un bacio. “Le cose che mi insegni sono interessantissime. Sento che riuscirò a fare grandi cose”.
Aveva ragione.
Oltre ai due ragazzi, solo gli scienziati del centro ricerche biologiche e i genitori di David erano a conoscenza dell’esperimento, almeno finché non fosse ricominciata la scuola.
I coniugi Willings, pur essendosi mostrati all’inizio poco entusiasti della notizia, avevano finito con l’accettarla dopo che il ragazzo li ebbe rassicurati sulla sicurezza del procedimento.
Loro figlio era ormai un individuo adulto, assai più maturo della maggior parte dei suoi coetanei, e tra le sue doti, oltre all’intelligenza, spiccavano anche la responsabilità e la moralità: David non era uno scienziato pazzo, e loro se ne fidavano.
Fu anche per questo che Nora fu stupita di rivederlo sul letto della stanza degli ospiti, con un’espressione ancor più malinconica e preoccupata di quella che aveva notato sei mesi prima.
“Cosa c’è? Puoi dirmelo?”, gli chiese.
Come la volta precedente David pensò per qualche secondo prima di decidere di rispondere in un sospiro: “Di nuovo Jeanna”.
Nora sentì un nodo stringerle lo stomaco, mentre immaginava cosa potesse essere andato storto. Un qualche effetto collaterale?…
“Come sta?” chiese, tentando di dissimulare la sua preoccupazione.
“Come? Oh, è in perfetta salute. Non si è verificato nessuno degli effetti secondari, che temevo possibili”.
“Avete litigato, per caso?”
“No, no. Ci vogliamo sempre bene, anche più di prima”.
“L’esperimento non ha funzionato?”
“Tutt’altro. Pensa che dalla fine dell’operazione sono già riuscito a insegnarle quattro lingue e che sta cominciando ad assistermi nel mio lavoro di sperimentazione. Ha persino risolto alcuni problemi di cui non riuscivo a venire a capo”.
Nora tacque per lasciare che il ragazzo le dicesse esplicitamente il problema, ma David non aggiunse altro. La donna rifletté per qualche istante: capitava, a volte, che nel discorso il ragazzo costringesse gli altri a fare dei balzi concettuali piuttosto complessi che a lui dovevano sembrare banali. Stava per chiedergli ulteriori chiarimenti quando un’intuizione la folgorò: dalla fine dell’operazione non erano passate che due settimane. Imparare quattro lingue in quindici giorni, per di più mentre contemporaneamente si faceva esperienza di lavoro di ricerca, era un’impresa che avrebbe fatto tremare le vene dei polsi anche a suo figlio.
Jeanna stava imparando in poche settimane quello che David aveva acquisito in anni, e che la maggior parte delle persone non avrebbe accumulato neppure in una vita.
Provò ad immaginare cosa provasse suo figlio nel vedere la sua ragazza assimilare nuovi concetti più rapidamente di quanto lui glieli potesse spiegare, avvicinandoglisi sempre più in fretta fino a superarlo, finché non sarebbe stato lui stesso a non riuscire a seguire i ragionamenti di lei. Forse lei non se n’era ancora accorta, ma non avrebbe tardato a notarlo.
La madre guardò David senza sapere cosa dire. Il problema che suo figlio aveva sperato di risolvere con l’operazione si era ripresentato, maggiore di prima, e adesso non si poteva più rimediare.
Nora dovette uscire in fretta dalla stanza perché suo figlio non la sentisse singhiozzare.