L’amore conquista_Fanis Odhiambo, Nairobi(Kenya)
_Racconto vincitore della quarta edizione del Premio “Energheia Africa Teller” 2003.
_Traduzione a cura di Mariella Silvestri.
Era stata una lunga giornata calda e polverosa per il signor Hasira e tutto ciò a cui riusciva a pensare era una fresca bevanda fatta in casa sorseggiata sotto il suo mango preferito.
Mentre era seduto all’ombra dell’albero con la sua bevanda ghiacciata nella mano, il signor Hasira si guardava intorno per osservare gli altri abitanti del villaggio che si affaccendavano per prepararsi al riposo serale. Aveva un’espressione sul viso che lo faceva sembrare il capo del villaggio, mentre non era altro che un comune abitante.
Era la collocazione dell’albero che gli conferiva un’aura di superiorità in quanto esso si trovava nel centro del villaggio.
Ciò gli permetteva di vedere tutto ciò che gli abitanti facevano, come un’aquila che dall’alto scruta i piccoli.
Il signor Hasira aveva visto molti giorni e molte notti, aveva visto molti ricongiungersi ai loro avi e molti venire al mondo. Era un uomo che credeva nel lavoro duro e non aveva mai molto da dire, sebbene le poche parole che pronunciava rimanessero scolpite nel cuore di coloro ai quali erano dirette per molto tempo. La ragione per la quale le poche parole del signor Hasira avevano un tale impatto sugli ascoltatori era che esse contenevano sempre una sfumatura di rabbia ed egli difficilmente ponderava le parole. Era un uomo che sorrideva raramente e aveva sempre qualcosa di cattivo da dire su tutti e su tutto. Era amaro come il fiele e pochi potevano sopportarlo tranne i suoi due nipoti che erano l’unica famiglia che aveva.
Il signor Hasira era sopravvissuto a sua moglie e ai suoi tre figli che erano morti durante una carestia che aveva sterminato molti abitanti del villaggio. Ciò aveva sorpreso molti, in quanto egli era l’unico dei più anziani che non era stato colpito dalla carestia. Egli non aveva sofferto la fame, nonostante il fatto che la sua famiglia ne fosse stata sterminata lasciandolo solo con i suoi due nipotini Nguvu e Imani.
Molti abitanti del villaggio sostenevano che il signor Hasira era sopravvissuto alla carestia perché prima che questa raggiungesse il suo stadio più acuto, egli aveva fatto un patto con una strega delle terre lontane oltre l’orizzonte in cui nessuno era mai stato.
Nonostante il fatto, che molti volessero credere a questa storia non ci sono prove che la dimostrino e nessun testimone di ciò che accadde realmente, tranne un vecchio che era ugualmente sopravvissuto alla carestia, ma non può né parlare né vedere sebbene sappia sempre cosa succede nel villaggio.
Nguvu crebbe e divenne un esperto cacciatore e un robusto guerriero, la cui forza era temuta da tutti. Sua sorella Imani, più piccola di lui di due anni, aveva un incarnato scuro come cioccolato, con occhi più lucenti delle stelle e un corpo che avrebbe fatto vergognare una zucca accuratamente modellata.
I nipoti del signor Hasira si accertavano sempre che al nonno non mancasse nulla. Essi ignoravano sempre gli abitanti del villaggio che cercavano di calunniare il loro nonno. Per quanto ne sapevano egli li aveva salvati dalla carestia e faceva in modo che avessero sempre ciò di cui avevano bisogno.
Si era anche assicurato che crescessero rispettabili e affettuosi.
Aveva insegnato loro ad amare i vecchi e i giovani, i saggi e gli sciocchi, senza alcuna distinzione.
Il signor Hasira che essi conoscevano non era lo stesso vecchio che conoscevano gli abitanti del villaggio. Si diceva che li avesse circuiti con un incantesimo che aveva appreso dalla strega. Ciò non sembrava preoccupare Nguvu e Imani che avevano di meglio da fare che ascoltare le chiacchiere portate e disperse dal vento.
Il legame che esisteva fra i nipoti e il nonno aveva superato la prova del tempo ed era invidiato da molte famiglie del villaggio.
La vita era serena per il signor Hasira e i suoi nipoti. Non litigavano e non piangevano mai.
Quella sera, mentre il signor Hasira si stava rilassando sotto il mango come ogni sera, arrivò correndo verso la sua capanna un abitante del villaggio per chiamarlo come testimone.
«Signor Hasira presto venga, è appena avvenuto un miracolo». La confusione provocata dall’uomo fu udita da Imani e Nguvu che erano impegnati a preparare la cena nel retro della loro capanna e li indusse ad accorrere per vedere cosa stesse accadendo.
Con una voce pesante ma al tempo stesso dolce Nguvu chiese: «A cosa è dovuto tutto questo trambusto? Qual è il miracolo di cui stai parlando e per quale motivo gli altri sono così agitati?»
«Nguvu, devi venire a vedere con i tuoi occhi. Il vecchio cieco e muto riesce a parlare e ha chiesto di vedere tuo nonno da solo…»
«Cosa? Sei pazzo? Quell’uomo non ha potuto parlare per anni!» esclamò Imani, che ora, veniva condotta verso l’attrazione. «Aspetta», disse Nguvu. «Perché vuole vedere mio nonno?»
«Lo sapremo solo se tuo nonno ci segue», rispose l’uomo.
Il signor Hasira rimase impassibile nonostante ciò che stava avvenendo intorno a lui. Si alzò con gambe malferme e i nipoti, che conoscevano bene il nonno, furono gli unici a notarlo. Nguvu andò ad aiutare suo nonno ad alzarsi mentre Imani lo sosteneva. I tre si incamminarono lentamente verso la vasta folla di abitanti del villaggio che si erano riuniti per assistere al miracolo. Si udì un fitto mormorio quando il signor Hasira e i suoi nipoti giunsero nei pressi della casa del vecchio con precauzione poiché non sapevano cosa aspettarsi né cosa ci fosse in serbo per loro. Nguvu fungeva da pilastro a cui il nonno poteva appoggiarsi e Imani era la sua fonte di speranza e di fede.
«Signor Hasira, sono contento che tu sia venuto e posso vedere che gli anni sono stati generosi con te. Sembri ancora forte», disse il vecchio con una voce scricchiolante.
L’affermazione del vecchio sgomentò molti dei presenti, in quanto pur essendo risaputo che egli era cieco aveva parlato come qualcuno che abbia sempre visto.
Tutti tranne il signor Hasira guardavano con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, e per molti minuti il posto fu così silenzioso che si potevano udire i battiti del cuore creare un ritmo sconosciuto.
Il signor Hasira cercò di assumere un’espressione coraggiosa, ma fu un tentativo inutile non perché il vecchio poteva parlare o vedere ma perché era giunta l’ora.
«Nonno, sembra che tu voglia dire qualcosa», disse Nguvu mentre sorreggeva il nonno tenendolo saldamente per la vita con un braccio.
Con un sussurro e in tono molto flebile il signor Hasira disse: «E’ giunta l’ora. Lasciatemi tutti, devo parlare da solo col vecchio. Andate, ora».
Per un momento tutti trattennero il respiro mentre aspettavano che un fiume di insulti scorresse dalla sua bocca, ma non si udì neppure una parola. Ciò provocò il silenzioso allontanamento di tutti gli abitanti del villaggio. Nguvu e Imani rimasero con il nonno nella capanna fiocamente illuminata che aveva il sentore acuto di polvere, mantenendosi un passo indietro.
Prendendo fiato il vecchio disse: «E’ arrivata l’ora signor Hasira. Devo andarmene in pace, senza, più bugie e segreti nel cuore. Per favore, diglielo perché non mi rimane più molto tempo. Nguvu, Imani, per favore sedetevi e lasciate che vostro nonno cominci».
«Cominci a far cosa? Cosa succede, come mai riesci a vedere, a parlare e persino a sapere chi siamo mentre noi non sappiamo nulla di te?», chiese Imani con gli occhi lucenti che passavano velocemente dal vecchio al nonno. Nguvu non aveva la forza di dire niente e le sue gambe docilmente si arresero, mentre si ritrovava all’improvviso sul pavimento lercio per far riposare il suo corpo e la sua anima scioccati, aspettando la risposta alle domande che si agitavano nella sua testa.
«Calmati Imani e lasciami cominciare», disse il nonno con gli occhi fissi sul pavimento. «Tutto è avvenuto tanti anni fa e so che mi odierete, ma ho dovuto farlo». Il signor Hasira si guardò intorno alla ricerca di un posto, dove poter far riposare il suo corpo stanco e ne trovò uno equidistante dai nipoti e dal vecchio. Tutti gli occhi erano puntati su di lui nell’attesa che continuasse.
«La giornata era stata infuocata, più di quanto voi due abbiate mai potuto provare – continuò mentre si girava a guardare i nipoti –. L’anno non era stato buono e non aveva piovuto.
La terra era arida e molti animali erano emigrati alla ricerca di cibo. I nostri magazzini per il cibo erano vuoti e non c’era niente da mangiare. Gli anziani del villaggio si riunirono per cercare una soluzione in quanto non c’era alcun segnale che preannunciasse la pioggia. Mentre eravamo seduti sotto quello, che era stato un mango che si era seccato, nello stesso punto dove ora amo sedermi, gli anziani decisero che due uomini avrebbero dovuto essere inviati nelle terre lontane oltre l’orizzonte, un luogo dove nessuno era mai stato.
Successe che i due a essere scelti fossimo io e questo vecchio.
Essere stati scelti dagli anziani a compiere questa impresa era un grande onore e sebbene fossimo deboli e sapessimo dei pericoli che ci aspettavano lungo il viaggio, non ci sottraemmo al nostro dovere.
Partimmo dopo aver salutato le nostre famiglie e i nostri amici senza sapere se li avremmo rivisti. Io lasciai una delle mie figlie incinta di te, Nguvu. Era una partenza dolorosa ma dovevo andare. Non aveva senso rimanere lì a vedere la mia famiglia e gli altri abitanti del villaggio morire di fame mentre vi sarebbe potuta essere una soluzione dove ero stato inviato.
Mentre lasciavamo il villaggio, armati solo di lance rette da mani deboli, udivamo i lamenti delle nostre famiglie che ci auguravano di tornare sani e salvi.
Viaggiammo per giorni senza niente e nessuno all’orizzonte, neppure una lucciola nel buio della notte. I posti in cui ci stavamo avventurando erano desolati e il puzzo della morte aleggiava nell’aria.
Camminammo per giorni fino a quando diventammo così deboli da non poter più reggere le nostre lance e così le abbandonammo.
Camminavamo senza sapere dove andare, attaccati alla speranza che avremmo trovato la vita, anche se fosse stata un solo filo di erba verde. Ma tutto quello che vedevamo era terra sporca e arida. Perdemmo il conto dei giorni dopo aver camminato per una quindicina di giorni e le piante dei nostri piedi si erano spaccati, provocando ferite così dolorose che ci impedivano di continuare a camminare. Le labbra erano ormai rotte in ferite, aperte e i nostri corpi erano così denutriti che sarebbe stato difficile riconoscerci.
Poiché non potevamo più camminare, ci trascinammo usando le mani fino a quando non furono graffiate e tagliate dalle pietre acuminate e dalla ghiaia».
Era calata la notte e si poteva sentire la civetta che chiurlava da un albero poco distante. Il villaggio era pieno di tristezza nonostante gli eventi che avevano permeato il pomeriggio.
Gli abitanti del villaggio erano nelle loro capanne aspettando che il nuovo giorno portasse una nuova atmosfera, tutti, tranne coloro, che cercavano di aggirarsi furtivamente intorno alla capanna del vecchio per ascoltare il racconto del signor Hasira, sebbene fossero troppo spaventati, per avvicinarsi abbastanza da udire qualcosa.
Nella stanza fiocamente illuminata la sola voce che sussurrava nel buio era quella triste del signor Hasira mentre continuava a raccontare la sua triste storia senza interruzioni.
«Quando quel giorno si trasformò in una notte gelida, non potevamo più avanzare e perdemmo la speranza di raggiungere la terra oltre l’orizzonte.
Ci sdraiammo per morire quando dal nulla udimmo un tuono e vedemmo un lampo che quasi ci accecò. Non potevamo credere ai nostri occhi e alle nostre orecchie. Eravamo estasiati e dimenticammo le ferite sotto i nostri piedi mentre ci sollevavamo e guardavamo verso il paradiso. Aspettammo per qualche minuto, ma non ci furono più né tuoni né lampi. La speranza ci abbandonò di nuovo ma immediatamente ci preparammo ad aspettare la morte; gocce grosse e fresche caddero dal cielo. Stava piovendo e aprimmo le nostre bocche per bere il liquido speciale che non assaggiavamo da giorni.
Con le braccia distese giacevamo sul terreno e ridevamo come bambini mentre lasciavamo che la pioggia ci bagnasse fino al midollo, perché eravamo già ossa. Non ci eravamo ancora abituati a quella rara gioia che essa cessò improvvisamente come era cominciata. Ci guardavamo con stupore e non riuscivamo a spiegarci cosa era avvenuto. Poi dall’ombra emerse una figura che sembrava un animale, ma che parlava come un essere umano. Questa figura ci disse: “Volete che la pioggia cada nel vostro villaggio e vi porti il raccolto, salvandovi dalla carestia che continua a uccidere la vostra gente?” Rispondemmo con voce flebile, dicendo: “Certo. Ci puoi aiutare?”
“Certo che posso. Vi ho appena dato un assaggio di ciò che posso fare e mi fate ancora delle domande! Ma siete disposti a pagarne il prezzo?”
Ci guardammo per qualche momento chiedendoci che fare e per il bene delle nostre famiglie ci dicemmo d’accordo. Quindi la figura continuò: “Affinché la pioggia cada nel vostro villaggio e salvi le vostre famiglie dalla morte ognuno di voi deve promettermi uno dei suoi nipoti.
Questo nipote mi sarà inviato fra molti anni, quando sarà il momento giusto”. Quando il mio amico qui di fronte a me udì i termini dell’accordo, rifiutò immediatamente dicendo: “Preferirei morire piuttosto che sacrificare mio nipote a te, bestia senza nome”. Udendo queste parole la bestia impazzì e ruggì con rabbia e per la paura accettai l’accordo in modo da salvare la mia famiglia, il mio villaggio e noi due dalla morte.
“Poiché tu, signor Hasira, hai accettato la mia proposta, manderò la pioggia e il vostro villaggio, sarà salvato. Per quanto riguarda il tuo amico risparmierò la sua vita ma vedrà i membri della sua famiglia morire a uno a uno e non potrà far nulla per salvarli. Da oggi in poi non vedrà né parlerà. Quando parlerà di nuovo, sarà il segnale che è venuto per te il momento di mandarmi il tuo primo nipote”».
A quelle parole Imani si girò immediatamente verso suo fratello e lo strinse come se la sua vita dipendesse da lui mentre le lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance. Nguvu perse tutte le forze e cadde per terra. Gli mancavano le forze e non sapeva come reagire. L’unica cosa che riusciva a fare era mormorare. «Mi dispiace Nguvu, non immaginavo che questo giorno sarebbe arrivato, mi dispiace». Dopo aver pronunciato queste parole, il signor Hasira chinò lo sguardo per la vergogna.
Il vecchio mugugnò per il dolore e seppe che era giunto il momento di ricongiungersi ai suoi antenati. Guardò Nguvu e con il suo ultimo respiro disse: «Nguvu, fai la cosa giusta. Fai ciò che ti dice il cuore». Le membra del vecchio caddero al suolo ed era morto. Il silenzio riempì la piccola capanna fiocamente illuminata.
«Nonno, cosa hai fatto? Perché lo hai fatto?» chiese Imani tra i singhiozzi e la rabbia. Con una voce piena di dolore Nguvu disse: «No, Imani, non accusarlo. Lo ha fatto per salvare la nostra famiglia e questo vecchio oltre noi. È il destino». Nguvu risentì la voce del vecchio che gli sussurrava: «Nguvu, fai la cosa giusta. Fai ciò che ti dice il cuore». Nguvu obbedì al vecchio e seguì il suo cuore. Si avvicinò al nonno e con l’amore nelle mani lo sollevò e lo abbracciò forte mentre sussurrava:
«Ti amo ancora nonno e capisco». Mentre le lacrime sgorgavano copiose dagli occhi del signor Hasira egli abbracciò suo nipote. Imani li raggiunse e strinse suo nonno e suo fratello.
Mentre erano ancora abbracciati, il signor Hasira disse: «Devo dirvi qualcos’altro».
Sia Imani che Nguvu si allontanarono e ascoltarono.
«Quella bestia ci disse che se i miei nipoti avessero scelto di perdonarmi e di amarmi anche dopo aver scoperto la verità, la maledizione sarebbe stata spezzata da quell’amore. Grazie per avermi perdonato e per aver scelto di amarmi di vostra volontà».
I tre esultarono e si abbracciarono mentre pianificavano la sepoltura del vecchio che avrebbe avuto luogo il giorno seguente.
L’amore li aveva salvati dal dolore e dalla disperazione e il loro legame ne fu rinforzato.