Viaggio per la salvezza_Ilaria Scantamburlo, Castelfranco Veneto(TV)
_Racconto finalista diciottesima edizione Premio Energheia 2012.
Decisi che sarei partita quella notte stessa. Il viaggio sarebbe stato lungo e pericoloso. La carestia e la peste si stavano diffondendo a macchia d’olio nel paese e la popolazione si stava lentamente dimezzando. Tutto era cominciato secoli prima. Durante il Tempo dei Lupi, si dice che un cacciatore, accecato dal desiderio di possedere un trofeo come una testa di lupo bianco, abbia oltrepassato i confini del Regno Sacro, inoltrandosi nella dimora degli dei e ne abbia ucciso il capostipite, infilzandone la testa con una lancia d’oro.
Quando gli dei si accorsero di quello che aveva fatto ad uno dei loro figli, accecati dal dolore e dalla rabbia, lanciarono una maledizione sul genere umano, destinandolo a secoli di carestia e peste. Tutto sembrava perduto quando la dea Kàyle, mossa dalla pietà e dall’affetto per gli esseri umani, non diede una possibilità di salvezza.
La peste e la carestia si sarebbero abbattute sul pianeta ogni mille anni, portando morte e distruzione. L’unico modo per scongiurare questo destino era raggiungere l’altare degli dei e offrire un pegno, un sacrificio, che ne placasse l’ira e restituisse la pace al mondo.
Ero stata scelta io. Mio padre, generale del regno del Vento, aveva accettato con orgoglio la decisione di mandare sua figlia a salvare il genere umano. Solo che non aveva chiesto altri pareri.
‘Sei pronta?’
La voce di Seraj arrivò da dietro la porta.
‘Sì, dammi un attimo. Sistemo le ultime cose ed esco’
Decisi che per il viaggio avrei portato solo una saccoccia con qualche mela, un cambio di abiti ed una mappa che segnava i quattro regni di quella terra selvaggia ed inospitale.
Avrei dovuto percorrere il viaggio verso nord, attraversando la terra del Deserto e del Ghiaccio, per giungere alla terra del Nulla, dove sarebbe finito il mio cammino.
La notte mi accolse come una vecchia amica, le stelle brillavano come fuochi luminosi e le due lune si rincorrevano fra le nuvole agitate dalla brezza.
Davanti a me, Elèna mi osservava da capo a piedi. Era la domestica di casa ed aveva sempre vissuto con noi, dacchè io ricordi. Mi aveva cresciuta e adesso mi abbandonava.
‘Stia attenta signorina. La terra del Ghiaccio è molto fredda e pericolosa!’
‘Tranquilla Elèna, tornerò presto’.
Non sembrava fidarsi troppo delle mie parole ma non disse niente, torcendosi le mani in silenzio.
Seraj era a qualche metro da noi. Non ci guardava ma sapevo che stava ascoltando la conversazione. Era sempre stato contrario a quel viaggio, offrendosi di andare lui stesso nella terra del Nulla o perlomeno voleva accompagnarmi, ma le sacerdotesse a quelle richieste avevano scosso il capo.
Secondo loro era destino che andassi io, e se avessi fallito, allora quella sarebbe stata la volontà degli dei.
‘Pensi di tenere il broncio tutta la sera o vuoi venire a salutarmi?’
Il ragazzo si voltò sempre sguardo a terra; era frustrto e sconfortato.
‘Sei ancora qua? Cosa aspetti, che moriamo tutti di fame?’
Sorrisi tra me. Nonostante il modo brusco, sapevo che si preoccupava per me e che mi voleva bene, così mi avvicinai io a lui e lo baciai delicatamente sulla guancia
‘A presto!’
Senza voltarmi indietro mi incamminai verso quello che sarebbe stato il mio destino, con la sola compagnia delle stelle.
La prima notte camminai tutto il tempo. Il sentiero di terra battuta si stendeva per chilometri nell’orizzonte, attraversando città e case dismesse.
Ogni tanto un coyote ululava al chiarore delle due lune per richiamare il branco dalla caccia.
Nel cielo, la via lattea illuminava il cammino, rendendo visibile ogni tanto il pianeta Ulius, protettore dei viandandi.
Mentre stavo osservando il cielo, sentii che qualcosa si muoveva dietro la casa vicino al ruscello. Il rumore era sommesso, come se provenisse dal fondo di un pozzo. Sorpresa, mi avvicinai con cautela, poteva essere qualunque cosa. Aggirai la casa, saltando qualche mattone disperso fra l’erba. Nel retro, un piccolo bidone era accantonato vicino il muro della casa, dal quale provenivano quei strani rumori.
Curiosa, sguainai la spada e mi avvicinai fino a sporgermi all’interno. Nel momento preciso in cui il mio viso fu sopra l’apertura, dal bidone saltò fuori una palla nera.
Spaventata caddi all’indietro, la spada al mio fianco.
Quello che era uscito dal bidone non era una palla nera, ma una palla di pelo.
Una scimmia, grande come la mia mano, era seduta sopra un mattone, che mi osservava. Il pelo viola la ricopriva quasi interamente, eccetto il petto e le zampe che erano gialle. Due grandi occhi azzurri mi scrutavano, restando incollati ai miei.
La coda, mi accorsi, terminava con una quinta zampa. Questa, più grande delle altre reggeva un pezzo di carne andata a male. Mentre ci osservavamo, la scimmia si avvicinò a me.
Non avevo mai visto un animale come quello. Con cautela annusò il terreno intorno a me e improvvisamente,con un balzo, mi saltò in spalla. Da come si strusciava, sembravo piacerle.
‘Ehi, ciao. Da dove esci? Vuoi venire con me?’
La scimmia mi guardò negli occhi, come se avesse capito ciò che le avevo detto.
‘D’accordo allora, andiamo!’
Così, con la mia nuova compagna, ripresi il cammino.
Impiegammo tre giorni a piedi per arrivare al confine della terra del Vento con quella del Deserto. La città di Salan si trovava fra le prime colline, nel fondo di una duna di sabbia.
Attorniate da pilastri in granito bianco con piante e fiori che vi si arrampicavano fino in cima, era formata da case in terracotta, con la stessa forma delle dune.
Calpestarono la sabbia, entrai nella città attraverso un’arco di mattoni che permetteva l’ingresso al centro del paese.
Qui acquistai una toga, un cibo tipico della regione che con poco permetteva di vivere per parecchi giorno nel deserto e un copricapo per riparare gli occhi e la testa dai raggi dei soli.
Ormai al tramonto mi diressi dove venivano affittati i Caver, animali del deserto che potevano viaggiare per giorni senza fermarsi, risentendo poco del clima inospitale.
Così ne comprai uno mentre il venditore mi informava sulle esigenze ed i pericoli del posto.
Fra le maggiori preoccupazioni dei quel regno c’erano i Balè, letteralmente abitanti delle sabbie che vivevano nel deserto, entrando in città solo per saccheggiare e uccidere.
Erano famosi per la loro crudeltà e per il loro sangue freddo.
Dopo aver stabilito un prezzo per l’animale mi incamminai verso le dune, lascandomi alle spalle la città.
Ormai distante mi voltai un’ultima volta. Avevo la strana sensazione che qualcuno mi stesse osservando. E quando il mio istinto parlava, non sbagliava mai.
La notte si stava rivelando più dura del previsto. La temperatura, che raggiungeva i sessanta gradi durante il giorno, la sera scendeva sotto i quaranta. Il pelo del caver si stava ricoprendo di uno strato fino di ghiaccio e io non sentivo più i piedi. Yola, raggomitolata dentro la toga tremava, attorcigliandosi come un riccio.
Dopo ore di marcia e tutta quella fatica, l’animale emise un gemito, un lamento che non mi rassicurò affatto. Tempo di attraversare altre due dune che crollò a terra, trascinando con sè anche me e la scimmia. All’improvviso mi ritrovai schiacciata fra la sabbia e il caver, incapace di muovermi. Provai a liberarmi facendo leva con il corpo sul terreno ma niente, non c’era modo di spostarlo. Ero sola. E intrappolata. Le lune in cielo si spostavano lentamente, segnando i minuti, le ore che passavano. Ormai non avevo più sensibilità nel corpo, Yola era sempre vicino a me, e saltava da una parte all’altra nel tentativo di scaldarsi.
Cercavo di restare sveglia, sapevo che se mi fossi addormentata non ne sarei uscita viva, ma era difficile, e pian piano mi abbandonai fin quando non persi i sensi e divenne tutto nero.
Sentivo caldo. Un calore rassicurante, che mi avvolgeva il corpo. Non ricordavo dov’ero, cos’era successo, o perchè.
L’unica cosa che sapevo era che mi sentivo bene, ero al sicuro.
Mentre la memoria molto lentamente si faceva largo nella nebbia della confusione, mi rigiravo in quel calduccio.
Mi accorsi che le dita avevano ripreso sensibilità e il peso sopra di me non c’era più. Era strano, era finito tutto così in fretta? Provai a muovermi di nuovo, qualcosa mi copriva.
Aprii gli occhi. La stanza che mi circondava era molto grande, adornata da incensi e oggetti di ogni tipo. Il pavimento era coperto da tappeti, tranne dove c’era la legna, doveva essere una specie di falò dentro la capanna.
Quando mi alzai, mi accorsi di essere sommersa da decine di pelli di ogni tipo, da quelle comuni di caver ad alcune che non avevo mai visto. I miei vestiti non c’erano più, sostituiti da una toga dalle sfumature blu, legata in vita da una cintura di cuoio.
Come ero finita lì?
Perlustrando la stanza con gli occhi mi accorsi anche che la mia spada, che prima non avevo notato, era poggiata alla colonna in legno, poco distante da me. Fuori non si sentiva nessun rumore.
Pian piano mi rigirai sotto le coperte, volevo prendere la spada e dare un’occhiata in giro. Se ero ancora in mezzo al deserto, allora era meglio se me ne andavo in fretta da lì.
Senza fare rumore, mi tirai su a sedere e poi in piedi. Scalza calpestai i tappeti fino alla spada. Era stata lucidata, forse volevano rivenderla.
Di soppiatto mi avvicinai verso l’unica apertura che c’era e mi inginocchiai li di fianco.
Da fuori si sentiva crepitare un fuoco, voleva dire che c’era qualcuno li intorno. Quando finalmente mi ero decisa a sbirciare dalla tenda, delle voci si materializzarono li davanti.
Presa di sorpresa, mi feci ancora più piccola. Se avessi provato a nascondermi mi avrebbero vista o sentita, con tutti quegli oggetti dispersi li dentro. Così me ne stai lì, ad aspettare, con la spada ben salda in mano.
Se fossero entrati li avrei colti di sorpresa, senza dargli il tempo di contrattaccare.
Mi puntai sulle punte dei piedi, restando in equilibrio, con tutti i muscoli in tensione.
Le voci si avvicinavano sempre di più. A sentirli parlare, era una lingua che non conoscevo, questo confermava i miei sospetti.
All’improvviso la tenda si aprì. Mi lanciai in avanti, la spada dritta in affondo.
Il primo uomo, accortosi di me, si sporse di lato per schivare la spada, cadendo per terra. Io ne approfittai, affondando un altro colpo.
‘Ehi, ehi!!! Calma!’
La spada si fermò a pochi millimetri dalla faccia dell’uomo.
Era vestito in modo strano, come me. La toga era bianca, il petto era adornato da quello che sembrava essere lo scheletro di un’armatura del colore dell’argento. Seraj era seduto ai miei piedi. Gli occhi neri spalancati per la paura e il volto cereo.
‘Ma cosa…’
Il secondo uomo, che era entrato dopo di lui aveva sfoderato la sua spada e me la stava puntando alla gola.
‘No no, fermo. Mettila via!’
Quest’ultimo mi squadrò per un attimo, poi rimise via la spada.
Seraj era partito subito dopo di me, preoccupato per quello che mi sarebbe potuto accadere. Quella notte dormii molto più rilassata.
Era l’alba. Davanti a noi si apriva una distesa di sabbia immensa. La cosa strana era che non era semplice sabbia del deserto, del colore dei soli, questa era bianca, bianca come le lune che risplendono di notte nel cielo.
Era completamente piana, senza dune, e si stendeva per chilometri. In mezzo a questo spiazzo, c’era una baracca in legno e ferro. Era alta almeno una ventina di metri e lunga cento. Il tetto era praticamente inesistente, tranne per dei rettangoli di legno disposti in modo geometrico sopra l’apertura.
‘E’ per proteggere gli animali dai soli durante il giorno, altrimenti diventano nervosi e si agitano.’
Il Balè, che avevo scoperto chiamarsi Karel e che conosceva la nostra lingua, ci scortò fino all’entrata, dove spostò un catenaccio che teneva chiusa la pesante porta.
Chissà cosa c’era li dentro.
Quando entrammo un’odore di bruciato e carne avariata ci invase le narici. Era quasi impossibile respirare e d’istinto ci coprimmo il viso con le mani.
‘E’ normale, capita fin che non ci si abitua’.
L’interno del casale era così lungo che si faceva fatica a vederne la fine. Era per la maggior parte buio, tranne dove entrava la luce attraverso i rettangoli nel soffitto.
Lo spazio era diviso geometricamente da gabbie in legno rettangolari, affiancate l’una all’altra, alte fino in cima.
Ci incamminammo all’interno, seguendo Karel che faceva da guida.
Camminando davanti alle gabbie, sbirciai dentro. Era completamente buio, e sembrava non esserci niente. Dopo parecchi minuti di camminata, Karel si fermò davanti ad una gabbia che sembrava più grande delle altre. Da lì, usciva un soffio caldo, come una corrente d’aria riscaldata.
‘Va bene, ora entro, voi state qui!’
L’uomo aprì il cancello. All’improvviso, dal nulla, qualcosa si mosse nel buio.
Appoggiata al terreno, una zampa scivolò sotto la luce. Era molto grande, le cinque dita, munite di artigli, si conficcavano nella sabbia, squamate.
Un altro alito caldo arrivò da molto più in alto.
Seraj indietreggiò di qualche passo, trattenendo il respiro.
Ah… un occhio stava brillando nell’oscurità. La testa dell’animale si delineò controluce, evidenziandone la cresta di pungiglioni che correva lungo il collo per poi perdersi sul corpo.
Il drago si avvicinò a noi. Era del colore delle palme, un verde acceso, con sfumature gialle e arancioni. Le dimensioni superavano largamente quelle della gabbia, costringendolo a restare raggomitolato.
‘State tranquilli, lui è buono. Solo non dovete fare movimenti bruschi se ci tenete alla pelle’.
Non riuscivo a muovermi. Avrei voluto avvicinarmi, accarezzarlo, ma Seraj mi afferrò per il braccio
‘Non hai sentito quello che ha detto?!’
‘Si, ma è così bello’.
Fissai il mio sguardo nel suo. Aveva un solo occhio, l’altro, chiuso, era attraversato da una cicatrice che correva lungo la guancia. Era magro, e doveva avere una certa età.
L’uomo entrò nella gabbia, accerchiando l’animale, e accarezzando le varie ferite che si facevano più chiare con la luce.
‘Questo drago è un veterano di guerra. Ha almeno mille anni, ha combattuto decine di guerre e ne è sempre uscito vivo. Non fatevi ingannare dall’aspetto mingherlino, è possente e molto affidabile. E’ con noi da sempre’.
Karel guardò Seraj
‘Era il drago di tuo nonno’ il ragazzo lo guardava incantato, avvicinandosi di qualche passo. Il drago allora drizzò la testa, spalancando le fauci.
‘Mi sa che non gli piaci sai?’
Il mio sarcasmo però era passato inosservato, tutti erano concentrati sull’animale.
‘Oggi imparerete a cavalcare un drago’.
Karel era al centro della distesa. In mano, teneva la corda con la quale aveva legato l’animale. Aveva insistito per insegnarci a domare un drago. Noi avremmo potuto semplicemente montare e aspettare di varcare il confine con la terra del Ghiaccio, ma forse facevamo tutto troppo semplice.
‘Comincerai tu, guerriera del Vento’.
Con calma coprii la distanza che mi separava da quella bestia, le gambe che tremavano. Sapevo che quando fossi montata, non sarebbe stato più così bello. Mi issai sulla sella che era alquanto scomoda.
‘Dai che poi tocca a me! E vedi di non farti ammazzare!’
Cominciammo con qualche giro di pista. Non era difficile impartire i comandi. Dopo parecchi giri Karel sciolse le briglie del drago dalla corda
‘Ehi che fai?’
‘E’ ora di imparare a volare, ragazza’.
Detto questo frustò il drago all’altezza delle zampe posteriori.
In un’attimo, l’animale si impennò prendendo velocità e sbattendo le ali sempre più forte.
Mi aggrappai alle redini, con gli occhi chiusi e il respiro mozzato in gola.
All’improvviso, le zampe lasciarono terra e mi ritrovai in verticale, con gli occhi che guardavano il casale come se fosse rovesciato di lato.
Karel e Seraj da terra urlavano consigli come ‘non lasciare le redini’e ‘tieni gli occhi aperti! Devi vedere dove vai!’
Ma loro non erano là. La paura era totale, quando mi venne in mente la faccia di Seraj che rideva. Non avrei permesso al drago di fornirgli un’altro episodio con cui burlarsi di me così, con un impeto di adrenalina, mi staccai dal drago e tirai le redini, compiendo il giro della morte. Alla fine riuscii a mettere dritto il drago.
Volare non era poi così male, anzi. Feci qualche giravolta sopra il capannone, facendo levare le urla degli altri draghi, per poi spingermi lungo il profilo delle dune, più lontano.
Avevo sempre sognato di volare, fin da bambina.
Al mio ritorno Seraj era seduto per terra, con le gambe incrociate.
‘Ce l’hai fatta, allora non dev’essere tanto difficile’.
‘Dipende, non se sai distinguere la destra dalla sinistra’.
Senza replicare montò in sella. Come previsto, anche lui imparò in fretta, mettendoci solo un paio d’ore per maneggiare bene quel possente animale.
Ormai si era fatta sera quando riportammo il drago nella gabbia. L’indomani mattina saremmo partiti molto presto, avevamo già perso troppo tempo.
Quella sera, stanca da tutta quell’adrenalina mi assopii presto, con la sensazione di cavalcare ancora il drago fra le nuvole del cielo.
‘Grazie mille di tutto! Spero ci rivedremo!’
Io e Seraj, in groppa al drago, salutammo Karel, che stava a distanza per lasciarci lo spazio necessario per spiccare il volo.
Era stato molto chiaro sulle indicazioni da seguire. Il drago poteva volare solo per cinque ore di fila, non di più. Aveva bisogno di cibarsi ad ogni pausa e doveva riposare ogni due giorni per almeno dodici ore.
Con il vento in coda, dirigemmo il drago verso Nord. La città del Ghiaccio ci aspettava.
Quando il drago si alzò in volo, l’aria fresca mi sferzò il viso, il cielo era azzurro, i soli si stavano alzando sempre più e io stavo riposando dietro a Seraj, con la testa poggiata sulla sua schiena.
‘Ehi, stai bene?’
‘Sì!’
Seraj si voltò. Mi conosceva troppo a fondo.
‘Forza, cosa c’è?’
Rimasi in silenzio, non avevo voglia di parlare
Yola era appollaiata sulle mie spalle e rosicchiava un topolino morto, regalo di Karel.
‘Vedrai che andrà tutto bene. Ce la farai, come sempre’.
‘Questa volta è diverso. Quì non sono in ballo solo io, ma i regni interi. Non è come in accademia, e se sbagliamo, non potremmo tornare indietro. Fino adesso è stata una passeggiata, la terra del Ghiaccio è molto più dura ed ostile. Ammeno chè, tu non mi dica che hai parenti anche lì, perchè allora sto tranquilla’.
Appoggiata a lui sentii che stava ridacchiando.
‘Non si sa mai, sono un uomo pieno di sorprese’.
Lo abbracciai. Era sempre riuscito a sollevarmi il morale, non importava quanto sarebbe stato difficile il viaggio, con lui non avevo paura, e potevo farcela.
Il regno del Ghiaccio era formato da sole montagne, ricoperte da uno strato di neve perenne.
Le vette si stendevano per chilometri, fin dove lo sguardo poteva arrivare, delineandone un paesaggio inospitale, pieno di pericoli in netto contrasto con le dune del deserto.
L’aria era sferzata da fiocchi di neve che pungevano la pelle al tocco, e l’orizzonte diventava sempre meno visibile più ci inoltravamo nella neve e ci lasciavamo alle spalle il deserto.
Il drago respirava a fatica, scuotendo la testa per liberarla dalla neve che si fermava sul muso. Il freddo era pungente, così assoluto da non sembrare neanche reale.
Quella terra veniva chiamata ‘la terra del sonno eterno’, e ora capivo perchè.
Seraj stava provando a scorgere cosa ci fosse dietro le montagne davanti a noi, così da sapere dove andare ma era impossibile, ci saremmo uccisi.
‘E’ meglio scendere!’
La mia voce si perdeva nel vento come un sussurro, così provai a richiamarlo
‘Seraj! Dobbiamo scendere! Così non ce la faremo mai!’
Il drago atterrò ai piedi di una montagna, non senza difficoltà.
Lì il vento si placava un pò, così da permetterci di parlare e tenere gli occhi aperti. I vestiti erano troppo leggeri e le nostre provviste non sarebbero bastate per tutto il viaggio.
‘Dobbiamo trovare subito un riparo! Dobbiamo organizzarci!’
‘D’accordo, fai strada’.
Percorremmo per un pezzo il fianco della montagna. Il drago appollaiato dietro un grande masso stava tremando dal freddo. Forse Karel aveva fatto male a farlo venire con noi.
‘Qui non c’è niente! Tu hai visto qualcosa?!’
‘No! Proviamo più giù, dev’esserci una grotta da qualche parte!’
Così scendemmo uno dopo l’altro lungo la parete, facendo attenzione a dove mettevamo i piedi. Queste erano fatte di neve e ghiaccio, un piede in fallo e saremmo precipitati. La roccia sotto non si sentiva quasi e la neve era mollto fragile.
Alla fine giungemmo su una sporgenza, un masso non ricoperto totalmente di neve dove potevamo sedere. Non avrei mai pensato che sarebbe stata un’impresa così ardua giungere fin nel regno del Nulla.
Facemmo in tempo a fare due passi che la terra sotto di noi cedette, facendoci precipitare per metri e metri.
Rotolando non si vedeva niente. Era impossibile dire se saremmo finiti in qualche precipizio, così l’unica cosa che potei fare era coprire la testa con le mani, sperando di fermarmi presto.
Alla fine andai a sbattere contro una roccia. Con fatica tirai su la testa dopo un attimo di smarrimento.
‘Seraj … Seraj stai bene?’
Non c’era risposta. Forse non mi sentiva, mi alzai a fatica e lo cercai fra la neve. Lì non c’erano tracce di lui. Se non era lì allora era più giù.
Mi avvicinai al bordo della montagna. Uno strapiombo si apriva sotto di me.
Con calma decisi di scendere, dovevo cercarlo, non l’avrei abbandonato.
Aggrappata con tutte le mie forze alla parete cominciai a calarmi. Il buio della gola non era così invitante e preferii non guardare giù, tanto per essere sicura che non mi avrei avuto le vertigini.
Mentre percorrevo un ammasso di rocce lo vidi. Nella sporgenza di fronte a me lui era lì, riverso a terra, in una postura quasi innaturale. Un liquido scuro colava dalla roccia e si perdeva nella gola della montagna.
Mi precipitai subito da lui, non facendo più attenzione a dove mettevo i piedi.
Arrampicatami sulla roccia mi inginocchiai di fianco a lui.
Era pallido, le vesti strappate lasciavano intravedere la pelle tagliata e la testa sanguinava. Non sapendo cosa fare provai a chiamarlo.
Niente.
Lo coprii con i miei vestiti, dovevo cercare aiuto. La popolazione del ghiaccio ci avrebbe aiutati, ne ero certa.
Così provai a scrutare con gli occhi nell’oscurità fra le rocce. Non c’era nessuno.
Mi strinsi a lui.
Chiusi gli occhi e pregai gli dei di aiutarci, stavamo facendo tutto quello per loro.
Senza accorgermene caddi in un torpore totale, che avvolgeva le mie membra e mi faceva sentire molto stanca, pesante.
Stavo per perdere i sensi.
Mentre i miei occhi si stavano chiudendo, da lontano vidi qualcosa che si muoveva, era bianco e stava venendo verso di noi ma non riuscivo a metterne a fuoco i contorni. Provai a dire qualcosa ma la bocca non si muoveva più. Alla fine
divenne tutto buio.
Impiegai i successivi tre giorni per ambientarmi, prendere confidenza con quel regno di ghiaccio, con i tunnel grazie alla guida di Yvel che ci aveva salvati e aiutati.
Mi aveva spiegato che attraverso questi si poteva giungere alla terra del Nulla, dove però nessuno si era mai spinto.
Ci avevano trovati quel giorno, in fin di vita e ci avevano portati in città. Avevamo dormito per un paio di giorni, ritardando così la tabella di marcia.
Quel giorno era l’ultimo della nostra permanenza, e Yvel controllò le ferite di Seraj
‘Sono guarite. Ti faranno male per un pò ma è normale’.
Avevamo impiegato un po’ per riprendere le nostre facoltà motorie ma alla fine eravamo tornati come nuovi.
‘Ecco, potete passare da qui. Dovrete proseguire per un paio di chilometri sempre dritto per poi prendere il tunnel alla vostra sinistra e proseguire ancora qualche chilometro. Oltre non posso aiutarvi, mi dispaice’.
Yvel ci stava spiegando che direzione prendere per giungere a destinazione.
‘Grazie mille di tutto Yvel, buona fortuna’.
‘Grazie, buona fortuna anche a voi ragazzi’.
Ci congedammo pronti per partire
‘Seraj, Shiloh, questo è per voi’.
Yvel ci porse il cesto. All’interno trovammo del cibo, due sciarpe, un coltellino e due borracce d’acqua. Dopo aver ringraziato un altra volta la salutammo, allontanandoci per entrare nel tunnel.
La grotta all’interno era stata scavata in modo che potessero passare una persona per volta.
Le pareti erano ruvide e quando i muri si stringevano le sporgenze grattavano sulle spalle e sui fianchi.
In compenso era molto alta, tanto che non si vedeva la fine.
Seguimmo le indicazioni che ci aveva fornito e camminammo fino a incontrare il tunnel successivo.
Le strade erano tutte uguali e si perdeva facilmente la cognizione del tempo.
Ad un certo punto arrivammo ad un bivio sconosciuto.
‘Oh, perfetto … e adesso cosa facciamo?’
Seraj stava illuminando ad uno ad uno le varie aperture, cercando di capire cosa ci fosse oltre.
‘Direi che dobbiamo tentare. Da quì non si vede niente’.
Scrutai i vari passaggi, tutti e tre identici, e provai ad affidarmi all’istinto. Io preferivo quello a destra mentre lui quello in centro.
Discutemmo per un paio di minuti fino a quando Seraj non imboccò il tunnel centrale, lasciandomi al buio più completo.
Dopo il primo momento di smarrimento mi lanciai all’inseguimento pregando di non andare a sbattere contro qualche muro e lo raggiunsi, afferrandolo per un braccio
‘Mi hai sentito!? Non farlo mai, più chiaro?’
Ma lui non mi stava ascoltando. I suoi occhi erano spalancati, le pupille erano dilatate e la bocca socchiusa. Camminava con calma trascinando i piedi e con la fiaccola in mano grattava sul muro.
Provai a scuoterlo ma sembrava non funzionare.
Lo seguii fin quando non si fermò e, superandolo per guardarlo in faccia, mi accorsi dov’eravamo.
Una grotta enorme si apriva davanti a noi. Le pareti erano di roccia bianca, come il pavimento.
Al centro, una cascata finiva nel laghetto di fronte a noi, che rifletteva la luce sulle pareti.
Seraj, lasciata cadere la fiaccola, si avvicinò all’acqua.
Io lo seguii fin quando non mi accorsi che stava per buttarsi.
Così mi lanciai al suo fianco e lo afferrai in vita, tirandolo indietro e facendolo cadere per terra.
Vedendo che osservava ancora l’acqua mi girai a mia volta, curiosa, verso il lago e affilando lo sguardo mi accorsi che fra le onde qualcosa si muoveva.
Mentre mi avvicinavo con cautela, la creatura uscì in superficie, per posarsi sulla roccia più in alto.
Mi sorrideva. I suoi occhi azzurri mi stavano scrutando facendomi drizzare i peli sulle braccia. I capelli bianchi le ricadevano lungo i fianchi, raccolti da conchiglie ed alghe che la faceva apparire ancora più bella di quello che già era.
Le gambe, squamate, erano del colore del ghiaccio. Le dita dei piedi sfioravano delicatamente l’acqua, creando dei cerchietti che espandendosi finivano per infrangersi ai bordi della roccia.
Inginocchiata di fianco al lago, fissai i miei occhi nei suoi.
Era la prima volta che vedevo una sirena in carne ed ossa.
L’avevo sempre studiata nei libri che trovavo a palazzo ma non immaginavo esistesse davvero.
Nelle leggende, la sirena veniva descritta come una creatura bellissima ma pericolosa. Attirava i viandanti e quando questi le si concedevano, li trascinava nelle profondità degli abissi dove gli risucchiava l’anima e li legava per le caviglie alle rocce in modo che non potessero scappare, ascoltando le loro urla disperate, e concedendogli quel tanto d’aria che bastava loro per sopravvivere.
Con molta attenzione, osservai la sirena che spostava il suo sguardo da me a Seraj, arricciandosi una ciocca di capelli con le dita
‘Voi siete … anzi no, tu sei, la prescelta vero?’
Mi sorpresi della sua affermazione.
‘Chi te lo dice?’
Lei rise, mostrando i denti candidi più affilati di un normale essere umano
‘Oh, io so tutto. Noi sirene siamo creature millenarie, e madre natura ci ha dotate di molte qualità’.
Con calma arretrai di qualche passo verso Seraj, che nel frattempo si era seduto con le gambe incrociate e fissava immobile la creatura.
Come ci eravamo messi in quel pasticcio? Pensai a cosa potevamo fare. Di sicuro da lì non si arrivava alla terra del Nulla, quindi dovevamo tornare indietro. Il problema era affrontare la sirena che non ci avrebbe lasciati andare via tanto facilmente. Ma soprattutto dovevo trovare il modo di far tornare Seraj in sè .
‘Non pensarci nemmeno’.
Con un agile balzo, la creatura dai capelli argentei saltò nell’acqua, senza immergervisi però. Era in piedi, a pochi passi da noi, sospesa sulla superficie del lago. La cosa mi sorprese non poco. Afferrai Seraj per una manica e lo feci alzare a
forza, trattenendolo dall’impulso di gettarsi fra le sue braccia.
‘Piacere di averti conosciuta ma adesso dobbiamo andare’ girai sui tacchi e feci qualche passo quando qualcosa, legatosi alla mia gamba, mi fece cadere a terra.
‘Ah!’sbattei il naso sulle rocce e un rivolo di sangue mi uscì dalle labbra: ‘Dove pensi di andare?’
La sirena era sull’argine del lago. In mano reggeva un’alga con la quale mi teneva ferma e si stava avvicinando pericolosamente a me.
‘Che cosa vuoi da noi?!’
Provai a liberare la caviglia, ma era impossibile, era legata troppo stretta.
‘Voglio solamente… voi. E’ da così tanto tempo che quaggiù non viene nessuno’.
La vidi leccarsi le labbra, era un pessimo presagio
‘Ora vi dirò cosa facciamo. Io prendo il tuo amico, lo porto giù e poi vengo a prendere te’.
Detto questo mi legò mani e piedi e mi incatenò ad una roccia lì vicino. Era inutile divincolarsi, le alghe erano troppo strette e il sangue cominciava a non arrivare più alle estremità delle dita.
Voltandomi le spalle si avvicinò a Seraj, lo accarezzò sulla guancia e poi si tuffò in acqua. Lui, sempre ipnotizzato, la seguì fino al limite del laghetto dove si lanciò al suo inseguimento.
Oh! Dovevo fare qualcosa! provai di nuovo a liberarmi ma più mi muovevo più le alghe si stringevano sui miei polsi e sulle mie caviglie. La spada, che era sempre stata al mio fianco, adesso era finita lontana, troppo per poterci arrivare.
Mi guardai intorno, doveva esserci qualcosa che mi potesse aiutare a liberarmi!
Un rumore lontano cominciò a rimbombare nella grotta. Mi voltai verso il tunnel che avevamo imboccato per giungere fin lì e mi accorsi che stava uscendo qualcosa… illuminata dalla luce dei flebili raggi del sole la riconobbi subito. Il pelo viola e i grandi occhi azzurri erano inconfondibili!
Yola si avvicinò saltellando a me, strusciandosi sulla mia gamba.
‘Yola dov’eri finita? Liberami, forza!’
La scimmia provò a rosicchiare con i denti affilati le alghe, ma non funzionava. Erano troppo viscide e avevano dei piccoli pungiglioni che tagliavano la carne se le si sfregava ripetutamente.
Provò a prendere la mia spada, ma era troppo pesante perchè riuscisse a spostarla, così tornò da me, sconsolata e in attesa di ordini.
Mentre mi rigiravo su un fianco, mi accorsi del cestino che Yvel ci aveva consegnato prima di partire.
‘Yola prendi il cesto! il cesto!’
Lo indicai con la testa. Lei gli si avvicinò e ci ficcò dentro il naso. Rovistando all’interno ne uscì con un coltellino molto piccolo, seghettato, l’ideale per tagliare le alghe.
Lo presi fra le mani, lo infilai fra la carne e la pianta e cominciai a sfregare.
Un paio di minuti dopo però ero libera e polsi e caviglie erano tornati del loro colore naturale. Proprio mentre stavo per alzarmi, la sirena uscì dall’acqua, rivolta verso la cascata. Io mi sedetti in tutta fretta, nascondendo il coltello. Non doveva accorgersi di niente, almeno non ora.
‘Allora, sei pronta? Il tuo amico ti aspetta’.
‘Se pensi di farmi paura ti sbagli di grosso carina’.
Lei, un pò stizzita, usci dall’acqua. Sembrava non andargli a genio la mia presunzione, e a me non poteva fare che piacere.
Con passo lento ma deciso si avvicinò a me, fermando misi di fronte.
Mentre si stava chinando per liberarmi dalla roccia, ne approfittai e balzai in avanti lanciandomi contro di lei.
In un attimo, fummo tutte e due per terra. Lei sotto di me si agitava, spingendomi via con le ginocchia. Il mio piano era metterla fuori gioco in qualche modo per poi andare a prendere Seraj e scappare da lì.
Rotolai di lato con un pò di fatica e mi issai in piedi. Lei era molto veloce e sembrava non aver gradito la mia improvvisata.
‘Ma brava, e così ci siamo liberate è?’
Un sorriso mi spuntò sulle labbra. Non sapeva ancora con chi aveva a che fare. Mentre recuperavo il coltello dalla tasca dei pantaloni lei mi si lanciò di nuovo contro. Era pesante nonostante la sua corporatura minuta e lo slancio ci fece rotolare
fino al limite del laghetto.
Sapevo che se fossimo finite in acqua lei sarebbe stata avvantaggiata, ma non feci in tempo a rendermene conto che mi prese per i capelli e si lanciò in acqua, trascinandomi con sè. All’improvviso mille bollicine mi impedirono la vista. Da lì, quello che sembrava un laghetto di piccole dimensioni ora era diventato molto più grande. Il fondale era completamente ricoperto di alghe, dalle quali spuntavano delle rocce e dei cadaveri che si lasciavano cullare dall’acqua. Mi accorsi che poco distante da loro, adossato ad una parete, Seraj si agitava spasmodicamente per liberarsi.
Provai a raggiungerlo ma la sirena mi si parò davanti. In acqua, le gambe erano state sostituite dalla coda, molto più lunga e robusta. La mia unica possibilità di vittoria era infilzarla e sperare che non fosse immortale.
Così, spinta da un impeto di sopravvivenza mi lanciai contro di lei, che schivò il colpo per poi sbattermi contro la roccia. Non soddisfatta si lanciò di nuovo verso di me. Avrei potuto spostarmi, evitare il colpo, ma sapevo che quella sarebbe stata la mia unica possibilità di ucciderla, così mi girai a pancia in giù e, spingendomi contro la parete, mi lanciai nella sua direzione.
Tutto accadde in un attimo. Il contatto dei nostri corpi, i suoi capelli nel mio viso, le nostre mani intrecciate e un colore rosso che tingeva l’acqua.
Un dolore atroce al fianco, uno spasmo e l’acqua che ci allontanava nuovamente. Le sue mani, strette intorno alla vita, erano del colore della porpora. Pian piano, i suoi occhi del color del ghiaccio diventarono come quelli dei cadaveri che la stavano accogliendo a braccia aperte dal fondo del lago.
Osservando la scena, non mi accorsi che nel frattempo Seraj era riuscito a liberarsi e che si stava dirigendo verso di me.
Mi abbandonai fra le sue braccia, lasciandomi riportare in superficie.
La sirena era riuscita a ferirmi ad un fianco, lacerandomi la pelle
‘Dobbiamo curarla, è una ferita troppo profonda, morirai’.
Prese il cesto di Yvel e mi medicò il taglio.
‘Non muoverti, o peggiorerai la situazione’.
Piano mi sdraiai per terra.
‘Dobbiamo andarcene. Chi ti dice che non tornerà? O che non ce ne siano altre?’
La disapprovazione di Seraj era evidente ma sapeva che restando lì eravamo in pericolo.
‘D’accordo, allora ti porto in spalla, forza’.
Così mi issai sopra di lui e ci incamminammo verso l’uscita.
Stavamo per imboccare il tunnel quando Yola richiamò la nostra attenzione dalla parte opposta della grotta. Era di fianco alla cascata, tutta eccitata, e saltellava indicando qualcosa oltre l’acqua: ‘Che cosa sta facendo?’
Aggirammo il laghetto, facendo attenzione a mantenerci a distanza, fermandoci a pochi metri dalla fontana. Dall’acqua sbucava qualcosa, sembrava un tunnel.
Seraj, incuriosito, si avvicinò fino a pararvisi davanti
‘E’ un altro tunnel, come quelli che abbiamo attraversato. Forse è da qui che si passa, per arrivare alla terra del Nulla’ ormai senza niente da perdere, c’incamminammo verso l’ignoto, pronti a scoprire dove ci avrebbe portati.
‘Shiloh, Shiloh svegliati. Guarda!’
Piano aprii gli occhi, una luce accecante mi abbagliò.
‘Cosa … dove …?’
Un cielo sereno si stagliava all’orizzonte, nuvole bianche danzavano alla brezza leggera del vento estivo e colline verdi si aprivano davanti a noi. Non ci potevo credere …
Eravamo arrivati. Eravamo nella terra del Nulla. Ce l’avevamo fatta.