Matera, una città che è “dentro” la cultura, serenamente, e direi quasi regalmente.
– di Adele Cambrìa
Presidente Giuria Premio Energheia 2000, VI edizione_
Curioso destino, quello del mio rapporto con Matera. Il fatto è che la mia concreta pratica cronistica, pur collaudata in più di quarant’anni di attività, svanisce in una relazione onirica quando lo scalo del viaggio, il luogo della visita, pur scrupolosa, ha il nome di Matera. Quando io riparto da questa città – che ho conosciuto tardi, ma (consiglio per i più giovani), è molto saggio riservarsi per dopo (dopo i primi e anche i secondi capelli bianchi, per esempio) qualche meta suggestiva da esplorare – di “Lei” non mi restano se non “visioni dell’anima”…
La prima volta… furono tre giorni di vento, nel nitore frastagliato delle facciate acrobatiche delle chiese, il deserto come di pietra pomice delle Murge dove il mio amico Pier Paolo Pisolini aveva girato “Il Vanelo secondo Matteo”, la luna piena sui Sassi, visitati tenendo la mano del nordico che amavo… E persi le diapositive che la direttrice del Museo Ridola mi aveva generosamente affidato, per illustrare il mio servizio giornalistico sugli itinerari archeologici della Basilicata (Dopo anni le ho ritrovate, nella foresta del mio studio, e li ho rispediti al Museo).
Di quel viaggio, il primo, resta il frammento di un racconto, pubblicato in un mio libretto (“L’amore è cieco”, Stampa Alternativa, 1995), ed ispirato da una visita al Museo di Policoro, nella sala che ospita le principesse enotrie: “Dentro tre bare di cristallo stavano le sorelle dissepolte, come belle addormentate nel bosco. Irene colse lo sguardo amoroso dell’archeologa che le sfiorava, accarezzandole come se una giovane carne ricoprisse ancora, morbida e dorata, quegli avambracci ornati da fitte spirali di bronzo, come se masse di capelli, forse ricci, forse neri, forse biondi, sostenessero ancora gli alti diademi ad aureola sulle fronti amate: e dalle minigonne alla Barbarella, intessute di piccoli globi bronzei alternati a perle d’ambra baltica, sorgessero le gambe guerriere delle amazzoni”.
Il mio secondo viaggio a Matera nasce dall’essere stata richiamata nella città, il 16 settembre dell’anno Duemila, dall’entusiasmo dei giovanissimi (ragazze e ragazzi) che hanno inventato, e gestiscono in modo straordinariamente elegante (anche qui, si tratta di eleganza dell’anima, soldi zero) il Premio Letterario Energheia. Io presiedevo la giuria, composta da Chiara Gamberane, mia giovanissima amica e scrittrice di successo (dodicimila copie vendute del suo primo romanzo, “Una vita sottile”, imminente l’uscita del secondo, “Color lucciola”), dal “veterano” del Premio, il filosofo Alberto Scarponi, da un poeta di Trebisacce, Pino Corbo, che è stato per me, per le sue poesie, una emozionante scoperta e da Michele Salomone, rappresentante del Premio.
Ci credereste? Ancora una volta, nella foresta cartacea del mio studio (ma dovrei dire dell’intera casa) è naufragata la cartella in cui avevo diligentemente raccolto l’intera documentazione dell’evento: i racconti che hanno vinto, i miei appunti, le motivazioni… Ancora una volta è scattato il sortilegio per cui Matera riemerge, a distanza di un paio di mesi dal viaggio, in frammenti di diario e, per l’appunto, saperi intimi e memorie…
Ricopio dal mio taccuino Moleskine (nessuno snobismo, per carità, il Moleskine, di cui ignoravo l’esistenza e la definizione di “taccuino degli scrittori”, è un regalo di un’altra mia giovane amica, Eugenia Roccella): dunque ricopio: l’affettuosità dei librai di via Ridola, marito e moglie più una spiritosa e indomabile bambina, Camilla… La loro saggia “pastura” culturale, che è tipica di questa provincia davvero illuminata, che riesce ad abbinare genuinità ed eleganza, cosa non facile… Il Chiostro delle Cererie (ma purtroppo di antico c’è rimasto soltanto il nome), il sole abbacinante, e il fresco ombroso delle grotte dalle cui profonde insenature affiorano volti semicancellati di Cristi e Madonne, Sante bizantine (una toccante Crocefissione nella chiesa rupestre di Santa Maria delle Virtù, ed in quella di San Nicola, una bellissima ieratica Santa Barbara)… Mi accompagna nel giro Pino Corbo. Più tardi, sul Moleskine, ho trascritto una sua poesia: “insegui sempre – le ore dispari – le più lente a venire – col passo di una volpe – cammini, ti aggiri – se occorre passare – cadenzare la strada”.
Mi piace la sagace umiltà, tutta meridionale, del meridione più pudico, Basilicata, Calabria, di questo giovane insegnante (e c’è da invidiare i suoi studenti), che non ha nulla, nemmeno lui, di provinciale… Come Matera. Una città che è “dentro” la cultura, serenamente, e direi quasi regalmente.
E questa volta, il mio secondo viaggio mi svela che la sensazione che avevo – di una regalità culturale di Matera – ha “prove” scientifiche. Scopro il libro di Pietro Laureano, un giovane intellettuale che è nato qui e che collabora con l’Unesco, e la cui teoria delle “oasi dei deserti e delle gravine” ha contribuito a far includere Matera nel patrimonio paesaggistico e artistico protetto dal più importante organismo culturale del mondo.
Laureano vive tra Parigi, l’Africa, l’America dai grandi orizzonti desertici e, a Matera, dove è nato nel 1951, ha scelto di abitare nei Sassi, per conoscere e approfondire dall’interno l’ecosistema di questa singolare, se non unica, “oasi” italiana.
E poi a sera nella piazza detta Sedile,,l’antica corte dove si tenevano le assemblee popolari, Rossella Montemurro vestita di veli rossofuoco (è lei la fatina silenziosa ed attivissima del Premio) apre la festa di Energheia…
La nostra giuria è quella del Premio letterario. Ce n’è un’altra per i racconti da sceneggiare, dove dominano, giustamente, i registi-autori di cinema, da Antonio Syxty, che la presiede, ad Alessandro Coalizzi e Roberto Riviello, ed un’altr per il Premio Africa Telelr – presidente il missionario più laidamente coraggioso del mondo, il direttore di “Pigrizia”, Gino Barsella. – Padre Barsella, con la collaborazione di Energheia, è riuscito a portare fino a Matera, dal Kenya, una straordinaria ragazza africana, che ha scritto, con parole asciutte e veementi, la storia della morte di sua madre: morta di Aids, non ha avuto il diritto al nome sulla pietra tombale…
Capite perché mi ha sbalordito e riempito di ammirazione, ancora una volta, Matera?
Nella foto_Adele Cambria, presidente di Giuria con il vincitore dell’edizione 2000, Onofrio Arpino