I brevissimi 2014 – La giraffa di Vincenzo Di Francesco_Guidonia Montecelio(RM)
_Anno 2014 (I sette peccati capitali – La superbia)
Le luci al neon intorno allo specchio rendevano il suo volto più fragile di quanto non già fosse. Lo sguardo malinconico fissava insicuro il vuoto davanti a sé. Era immobile. Su quella sedia imbottita di rosso se ne stava senza fiatare.
Le labbra effimere, dapprima serrate, si dischiusero lievemente con gesto clandestino.
Fece un grosso respiro, poi di scatto afferrò un pennello, lo intinse nella cipria e lo spolverò d’impeto sul viso. Pochi colpi e la fragilità sembrò sparire. Con un tocco di rimmel ed un eye-liner deciso vestì l’insicurezza di audacia.
Sistemò i lunghi capelli d’ebano, mise agli orecchi due pendenti d’oro e si alzò.
Prese il suo corpo gracile e lo avvolse in un raffinato abito da sera tessuto di intraprendenza. Un tacco dodici ai piedi, perché si sa il sesso è nel tacco, ed Eva si sentì subito rinascere. Adesso era come il suo animale preferito: la giraffa. La creatura terrestre più vicina a Dio. Elegante, fiera, imponente, così ora si sentiva.
Tornò a sedersi allo specchio. Mancava ancora un dettaglio per essere perfetta. Mancava il rossetto. Lo metteva sempre per ultimo. Era un gesto scaramantico. Avrebbe dato forza alla sua voce di cantante.
Terminato il rituale in uno schiocco di labbra, Eva si alzò di nuovo per ammirarsi in tutta la sua iconica bellezza. Sì guardò allo specchio e cedette alla seduzione di se stessa. Fu allora, che d’improvviso, gli occhi tornarono a dipingersi di inquietudine. Stava quasi per capitolare, ma con un militaresco schiocco di dita riprese in mano le redini.
Una voce grave bussò alla porta: mancavano cinque minuti alla sua entrata in scena.
Nonostante Eva fosse già pronta si presentò sul palco con alcuni minuti di ritardo. Da diva consacrata sapeva che l’attesa era parte dello spettacolo. E di spettacolo lei ne era maestra.
Dopo lo show terminato con un’ovazione, tra gli applausi e le riverenze di chi incontrava sul suo cammino, Eva percorse il lungo corridoio bianco con una falcata degna di una giraffa.
Orgogliosa di quelle lodi ma troppo inorgoglita per palesarlo arrivò davanti al suo camerino, posò la mano sulla maniglia e… non la ruotò. Indugiò alcuni istanti, volse gli occhi nella direzione da cui era venuta e le sembrò di aver percorso l’infinito.
I presenti si fermarono a guardarla.
Con rabbia spalancò la porta. Entrò nella stanza come una furia, chiuse la porta quasi sbattendola. Si tolse le scarpe, il vestito e con loro anche l’impudenza. Andò a sedersi allo specchio. Si tolse il femmineo copricapo. Si strappò via gli orecchini, scorticò il viso da ogni forma di coraggio e tornò ad essere fragile. Invisibile. Tornò ad essere Davide.