Le sensazioni sull’ultimo cd dei Pink Floyd “Endless River”.
_di Angelo Guida.
Agli Amici della Feltrinelli di Altamura.
La bella serata di ieri sera ha avuto la giusta conclusione con l’acquisto di “Endless River”, ultimo lavoro dei Pink Floyd a distanza di venti anni da Division Bell.
Ho appena ascoltato il CD e voglio offrire le mie sensazioni all’ultimo presidio sul territorio dove si può trovare e parlare di musica .
Impianto Techincs – volume al 60%. Dura 53 minuti e si sviluppa in quattro parti. –
Dopo 7/8 minuti ho chiuso gli occhi. Li ho riaperti 10 minuti dopo la fine dell’ultimo pezzo. L’album è interamente strumentale tranne l’ultimo pezzo e alcuni interventi vocali “sparsi”.
La prima parte l’ho ascoltata con una certa incontrollabile resistenza, la stessa resistenza che ha avuto ragione di me ai tempi di A Momentary Lapse e The Division Bell. Ma il suono della tastiera di Rick scaccia velocemente gli spettri che volteggiano nella mente di un incallito Watersiano come me. L’incalzante e a volte aggressiva incursione degli assoli di Gilmour fanno riaffiorare i suoni e le trame di Shine On. Chapeau Sir Rick! Ma appena entra la seconda parte mi rendo conto che qualcosa potrebbe succedere. Non ci sono “pezzi “ in questo album, non ci sono canzoni. C’è una storia … Ed è la storia dei Pink Floyd, emergono prepotentemente suoni fecondati dalle esperienze di A Saucerful of Secrets, di Atom Heart Mother e Ummagamma. Lo straordinario omaggio alla propria storia trova uno spazio particolare alla fine della seconda parte con richiami brevi ed intensi alle vette sonore di Echoes (Unsung). L’ultimo pezzo della seconda parte mi fa recuperare l’equilibrio. E’ un pezzo di David Gilmour, il primo dell’album senza Rick … si sente. Ma i sensi vengono messi a dura prova appena inizia la terza parte con “the Lost Art of Coversation”, pezzo di Rick che si materializza magicamente nella tua mente chino sul “piano”. Ma la storia non è finita, anzi la parte più intrigante deve ancora venire. Intanto devo incassare l’ultimo colpo che abbatte ogni resistenza: questo è un lavoro che segue fili che non possono essere interrotti. Mi ritorna in mente TDSOTM. Debole e sopraffatto vengo aggredito dalla chitarra di Gilmour in “Allons –Y” e vedo la folla urlante sotto il palco mentre parte Run Like Hell. Penso “non è possibile”, omaggiare The Wall. Ma certo “il Muro” fa parte della loro storia e Waters è nella storia. Le chitarre lasciano il passo all’organo di Rick per tornare prepotentemente su spazi che rinviano nuovamente a Young Lust. Attenzione è Talkin Hawkin la perla. La voce di Durga è un “inno alla gioia” di tutti i floydiani, è il raccordo ideale dove incontrare le emozioni che i PF hanno lasciato.
E’ il luogo dove non esistono oltranzismi o visioni verticali. Non ci sono dubbi , “sto ascoltando l’ultimo album dei Pink Floyd” penso. “Quel basso, … maledizione”. L’asticella è altissima. La storia sta per finire. Deve finire. David Gilmour lo sa. La quarta parte dell’album è tutta sua. Mason riesce a condurre il sound verso dimensioni più squisitamente floydiane. La storia deve finire. Louder Than Words non può che rappresentare la fine della storia . Solo come sanno fare loro: il pezzo giusto al momento giusto. L’unico pezzo che già conoscevo adesso ha un altro sapore e significato.
Sono solo sensazioni.
Nel 2014 se i PF dovevano e potevano fare un album questo era l’unico possibile. Non ho trovato tracce della psichedelia del primo The Piper, ed è l’unico rammarico.
Ma “The Endless River” mi ha emozionato e questo basta.