Dare un nome al mondo.
Da un dialogo in costruzione
Su quali tracce potremo ricostruire l’incontro?
Bisognerà lasciare la pista, andare per fenditure e crepacci, andare per il terreno rugoso,
muoversi sulla rima di una bolgia, sull’argine, su quell’argine che il potere
ha tatuato sulla nostra carne, quella linea che collega i margini, dove tutto è periferia,
una terra calpestata e smossa, una terra che è lontana e che è vicina.
E questi occhi che ora qui mi parlano. Occhi neri, dove la luce si è rintanata a conversare
con l’iride, ed a volte ne fuoriesce con abbagliante intensità, occhi da eclisse,
dove l’energia rintanata ha appreso a giocare con l’inestinguibile forza della vita…
“Sono tuoi gli occhi che hanno guardato la grande aspra pianura, perforando gli aculei
di acacia, attraversando le braccia carnose delle euforbie giganti, nascendo e morendo
nei rovi che si rincorrono nel vento secco del greto secco del fiume?
Dimmi, occhi neri, come eravate e come siete diventati?”
“Adesso ti dico: Tu, intanto, cosa vedi?”
“Vedo una traccia nella memoria, come il filo di un errore che rimanda ad altri errori
e mi sento sospeso nell’incerto, perso in una cifra scheggiata incisa su di una
pietra in una lingua scomparsa”.
“Io vedo molti segni: la madre continua a generare e continua a marciare verso la
culla del vento, il luogo dove non ci sono confini. Perché è lì che tutto ha origine”.
“Pronunciar o mundo”
Pronunciare il mondo, secondo Paulo Freire, è dare un nome al mondo, significa
esistere con. Ed il nuovo nome del mondo, nel racconto vincitore del premio Africa
Teller, ha gli occhi di un neonato dello Zimbabwe e si chiama Memory: la madre
che lo ha generato e nominato si è assunta la responsabilità dei legami, visibili
ed invisibili, che danno senso alla vita. E’ il racconto del rischio del venire alla vita,
il nuovo che conserva la traccia del passato. “Tutto è connesso. Tutto è vivo. Tutto
è interdipendente” come dice Amadou Hampaté Ba sintetizzando la concezione
tradizionale del mondo africano. Ed in Africa sono soprattutto le donne che sanno
attingere al grande patrimonio culturale africano, materiale ed immateriale, per affermare
il diritto di esistere e vivere dignitosamente.
Come afferma Aminata Traorè “Soltanto i popoli che hanno coscienza del loro passato,
che hanno ben saldi dentro di sé i propri valori sociali e culturali sopravviveranno
al rullo compressore del neoliberismo… . Il mondo, prima di essere preso in
ostaggio dai teorici neoliberisti che vogliono farne una merce inaccessibile alla maggior
parte degli abitanti della terra, è il dato primario e intangibile che ogni essere
umano abbraccia al momento della nascita. La definizione di nascere non è forse
venire al mondo?”
Così anche per tutte le culture e le civiltà non europee il nuovo mondo conserva con
rischio e sofferenza la traccia del proprio passato, culture e civiltà che rappresentano
l’ottanta per cento dell’umanità e che sono estremamente vitali ed in trasformazione,
invisibili solo a chi non vuol vedere o ascoltare. Invisibili ad un occidente
chiuso in se stesso, incapace di ascolto e di dialogo.
Un’altra Africa è in movimento, un’altra Africa è possibile, ed una piccola parte è
visibile, anche per noi, in questi densi racconti di giovani scrittori africani.
L’ordine seguito in questa antologia vede una prima parte dei racconti in lingua italiana
e una seconda dove i testi sono in lingua originale. In entrambe le versioni vi
è come primo racconto “Il pungolo della colpevolezza” – vincitore della II e III edizione
– e a seguire gli altri racconti finalisti.
Infine un ringraziamento a tutti coloro che hanno affidato ad Energheia le proprie
storie da così tanto lontano, al comitato di lettura, ai traduttori, agli organizzatori
materiali dell’evento e a quanti condividono la nostra passione per la scrittura.