La vera essenza del futuro_Cristina Foti
_All’inizio è stato solo come tornare a casa.
L’invito di Uccio Antezza a casa sua, durante il convulso periodo fra il 25 dicembre e l’Epifania del 2009 era informale. Era una vita che ci conoscevamo, tanto passato da raccontare e ritrovare. Gli amici comuni che non c’erano più, il mio trasferimento in Libano, l’esperienza della guerra nel 2006 e la fuga su una nave della marina militare italiana con mia figlia neonata fra le braccia. Le parole fluivano, la serata avrebbe potuto prendere la piega di un à rebours e invece no. S’incominciò a parlare di presente. Di cose da fare, insieme. Di lì a poco venne l’edizione sperimentale del Premio Energheia Libano organizzato dalla Società Dante Alighieri che presiedevo e che vide l’entusiastica partecipazione di tanti, e una donna vincitrice, Roula Naboulsi.
Ricordo che al lancio del bando, nella primavera del 2010, per giorni non era stato recapitato nessun racconto. Finalmente, un pomeriggio di un caldissimo aprile vidi giungere alla sede della Dante una ragazza con in mano un plico. Passava e ripassava davanti al cancello cercando di guardare all’interno, senza decidersi ad entrare. La situazione poco tranquilla del Paese, gli attentati che si erano verificati in quei giorni nelle zone di frontiera mi inquietavano. Ero quasi tentata dal chiamare il servizio di sicurezza, quando finalmente Lei entrò e poggiò sul bancone della ricezione il suo fardello, senza una parola, andandosene di corsa. Era il primo racconto in gara, codice 001, il primo di una lunga serie. Dopo qualche giorno ci feci l’abitudine: arrivava gente quasi di soppiatto e con fare circospetto chiedeva “è qui che si consegnano i racconti per il concorso letterario?”. La cosa mi faceva sorridere, li ribattezzai “La consorteria degli scrittori” non capendo il perché di questo atteggiamento da carbonari. Poi capii. Era il fattore Libano.
Chi vive ed è nato in un Paese stretto fra vicini aggressivi e guerrafondai, che da decenni vive nell’instabilità politica, chi vive in un Paese preda di conflitti interreligiosi dovuti alla fragilità di un parlamento multi confessionale, chi è abituato a dire con un sorriso maalesh (non fa niente) più volte al giorno, dovendo rinunciare a un’uscita o ad un viaggio per causa di forza maggiore, chi invece è pronto ad affrontare con spavalderia qualunque rischio pur di fare
quell’uscita o quel viaggio, trae la propria forza ed i propri stimoli proprio dalla precarietà del vivere quotidiano, dal fattore Libano, appunto.
La violenza serpeggia ed a volte scoppia improvvisa ed è questo il filo rosso che si rintraccia leggendo molti dei racconti partecipanti. Ma l’inesauribile voglia di raccontarla – quasi a scopo terapeutico, scaramantico (“no, una cosa del genere a me non capiterà mai”) – si scontra con un che di pudibondo che spinge la consorteria della scrittura a praticarla nascostamente, quasi vergognandosene.
Le edizioni si sono succedute, i riconoscimenti anche, quest’anno siamo al giro di boa della quinta edizione libanese. Ciascun partecipante, consegnando il suo plico, sogna di prendere quell’aereo e arrivare col capo coronato d’alloro a Matera, città di cui spesso non si ha che qualche vaga cognizione. I vincitori delle scorse edizioni (quattro splendide donne) hanno fatto del premio ricevuto un punto di svolta del proprio talento letterario ma, cosa ancor più straordinaria, hanno riportato a casa un’immagine della città, – di Matera – che va ben oltre l’immaginato. In questa immagine, moltiplicata per mille, come in un caleidoscopio tramite i racconti e le esperienze di questi giovani talenti stranieri, risiede – forse – la vera essenza del futuro.