E alla fine è stata una bella festa
di_Serge Latouche
Presidente Giuria ventunesima edizione Premio Energheia 2015.
Traduzione a cura di Flavia Ruscigno.
Fu grande la sorpresa quando ricevetti l’invito a presiedere la giuria del Premio Letterario Energheia, per la sua ventunesima edizione, quella del 2015. Ho inizialmente pensato che si trattava di attribuirmi uno di quei premi che coronano le opere più disparate nell’ambito delle scienze sociali, delle arti o della letteratura, e di cui l’Italia è tanto meno avara, visto che spesso consistono nella consegna di un titolo di onorificenza. Se il mio lavoro non è mai stato distinto in Francia dal minimo riconoscimento simbolico, nella penisola è già stato gratificato da ricompense diverse (medaglie, placche, scudi, gonfaloni, statue, quadri…) che finiranno oramai sui muri o sulle mensole dell’ammezzato situato sotto lo studio della mia casa di campagna nei Pirenei, trasformato in stanza dei trofei…
Una lettura più attenta dell’invito di Felice Lisanti mi ha aperto gli occhi. Non sono io, questa volta, a ricevere un premio, ma sono io che sono stato incaricato di presiedere la giuria che deve attribuirlo. Senza dubbio è questa un’elevazione a un grado superiore nella scala degli onori, e dovrei riconoscermi felice e testimoniare il mio riconoscimento ai gentili organizzatori del Premio Letterario Energheia. Il problema è che non si tratta di premiare un’opera di sociologia, di economia, di scienze politiche o di antropologia, settori in cui posso vantarmi di possedere una certa competenza (per lo meno nel mio paese), ma di discernere il miglior saggio letterario tra un numero sconosciuto di concorrenti. Ho cercato ovviamente di declinare questo onore indebito, argomentando sulla mia totale incapacità a emettere il benché minimo giudizio su un’opera di finzione, scritta in una lingua che padroneggio solo in modo approssimativo e di cui ignoro ampiamente la letteratura, soprattutto nella versione originale. Se ho letto, effettivamente, Dante, Boccaccio, Tasso, Ariosto (e anche l’Orlando Furioso di Matteo Maria Boiardo) Italo Calvino, Elsa Morante, Erri de Luca e Umberto Eco, li ho letti in una traduzione in lingua francese. È vero, ho letto nell’originale “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene”, ma è perché me l’hanno offerto così a Forlimpopoli anche lì per il premio Pellegrino Artusi, e anche perché non ho mai trovato la traduzione francese. Inoltre, volevo conoscere le ricette del gastronomo italiano concorrente del nostro Brillat-Savarin, l’inventore della convivialità, caro a Carlo Petrini, facendo quindi il legame tra Slow Food e il decadimento attraverso Ivan Illich… Leggo alla meno peggio (con il dizionario a portata di mano) i colleghi che mi danno l’onore di offrirmi i loro libri, come ho letto per dovere Alessandro Manzoni e Giovanni Verga, ma sono assolutamente incapace di giudicare lo stile di un romanzo. A mala pena mi rendo conto di alcuni controsensi che ritrovo nelle traduzioni italiane dei miei articoli…
Quindi di là a giudicare giovani e meno giovani scrittori della Basilicata, c’è un abisso che non saprei superare senza rischi.
Sono occorse tutta l’insistenza e l’energheia di Felice per farmi ritornare sul mio rifiuto. La furbizia anche, perché Felice ha addotto a propria difesa il fatto che avevo pubblicato una raccolta di novelle africane sia in francese che in italiano, con un amico italiano a cui avevo tradotto i suoi testi in francese mentre lui mi restituiva la gentilezza nell’altra lingua[1]. Il libro, non avendo avuto alcun successo (non so come abbia fatto a scovarlo Felice), è stato definitivamente ritirato dall’editore, e tutto ciò, si riconoscerà, non qualifica il sottoscritto come letterato di referenza. Sta di fatto che, cedendo alla tentazione di trascorrere qualche giorno in un hotel ricavato nelle abitazioni rupestri del Sasso Barisano, ho finito per accettare.
Ho quindi letto attentamente (e a volte riletto) i sei racconti scritti da giovani dai 15 ai 21 anni e gli altre sette scritti da adulti dai 22 anni in su. Ne ho letto uno al giorno, per evitare di frastornarmi, occupando in tal modo una buona parte delle mie vacanze estive. Devo confessare di non essermi mai annoiato e, anche se a volte ho un po’ penato, alcuni termini dialettali non si trovano sui dizionari, ho preso un certo piacere, arricchendo la mia conoscenza dell’Italia e degli Italiani.
Credendo, dapprincipio, che il concorso fosse riservato ai soli materani o lucani, e che non fosse aperto a tutti, confesso di essere stato sorpreso dai temi delle storie. Sapevo che la droga fosse un problema drammatico tra i giovani in Italia, lo sapevo meno per l’omosessualità, femminile in particolare, ma conoscendo un po’ Matera, avendola visitata due o tre volte in passato, ero disorientato leggendo questi racconti, dalle tonalità fortemente autobiografiche, fondati prevalentemente su esperienze di droga, o sulla sofferenza di dover vivere una sessualità ancora considerata come fuori dalla norma. È stato solo durante il giorno della consegna dei premi, che ho scoperto che il concorso fosse aperto a tutti. Il vincitore degli adulti del 2015, che tutti pensavamo fosse una giovane donna locale, si è rivelato essere un romano di età adulta.
È altrettanto vero che nel frattempo, Felice e i suoi amici mi hanno fatto scoprire la nuova Matera, quella dei borghi, accuratamente studiati e costruiti nel secondo dopo guerra: i quartieri di Lanera, Serra Venerdì, Spine Bianche, Borgo La Martella, Borgo Venusio.
A quei tempi, ci si sforzava ancora di costruire le unità abitative su misura dell’uomo e insiemi di unità abitative ambiziosi di preservare gli spazi di socializzazione tradizionale con i propri negozi, bar, giardinetti e i cortili per ritrovarsi e chiacchierare.
I documenti degli anni cinquanta del ventesimo secolo testimoniano il successo momentaneo di questo urbanesimo paternalistico spinto da illuminati responsabili come Camillo Olivetti, al punto che si è potuto scrivere in risposta al celebre libro di Carlo Levi che “Cristo è arrivato a Matera”[2]. La mia visita attuale, sfortunatamente, mostra il fallimento relativo del progetto. Relativo, in quanto in relazione ai grandi palazzi costruiti con la speculazione immobiliare recente che non rispetta né il sito, né l’ambiente, quei quartieri sono, da tutti i punti di vista, infinitamente superiori. Tuttavia, gli spazi previsti per la vita sociale, a parte alcuni bar in cui si ritrovano gli anziani, sono ormai deserti e i negozietti sono stati uccisi dai centri commerciali. Non bisogna mai dimenticare che non è l’urbanesimo a creare la socialità, ma è la socialità che crea l’urbanesimo che le corrisponde. Il miglior urbanesimo può solo rallentare, attenuare o al contrario accelerare un ineluttabile processo di decomposizione sociale di cui bisogna cercare le cause altrove.
In questo caso, il trionfo del pensiero unico e della globalizzazione neo-liberale, stadio ultimo della società progressista, con la distruzione concomitante delle strutture familiari e delle forme di solidarietà tradizionali, non esistono se non nel momento in cui ci si accorge e ci si sorprende dei danni della droga e dei turbamenti della personalità tra i giovani (e non solo…), anche nei Sassi di Matera.
Gli sforzi dell’associazione Energheia e di alcune iniziative di resistenza e di progetti alternativi non sono di troppo per lottare contro i danni della Mega macchina di cui il turismo di massa è parte integrante. In una certa misura, nella sua scala, il nostro concorso letterario è un modesto contributo in questa lotta. Tuttavia, quando avevo accettato, a malincuore, questo incarico, mi era stato detto che non sarei stato solo, che il mio ruolo sarebbe stato prevalentemente formale, che sarei stato fortemente aiutato nella scelta finale dagli altri membri della giuria. Beninteso, non è accaduto niente di tutto ciò, e fortunatamente avevo avuto la buona ispirazione di fare una piccola scheda per ciascuno dei testi in gara con una valutazione da 0 a 20, e due parole di giustificazione. Devo anche dire che nessun testo era privo di onore, e che se non è probabile che il prossimo Premio Nobel si trovi tra questi candidati, alcuni racconti erano scritti in un modo carino e testimoniavano nella loro costruzione una certa padronanza della “suspense”. È così per quello che è stato considerato come il migliore. La delibera non è d’altronde stata né molto lunga né combattuta, e con i miei giovani giurati siamo giunti a un compromesso durante un aperitivo tra due bicchieri di vino.
E alla fine, la sera del 12 settembre 2015 nei giardini del Museo Ridola, è stata una bella festa, e la pubblicazione di questi racconti non dovrebbe mancare di suscitare nuove vocazioni per i futuri concorsi.
[1] Enzo Barnabà e Serge Latouche, Le crocodile du Bas-Congo et autres nouvelles, Edition Aden, Bruxelles. Sortilegi. Racconti africani, Bollati Boringhieri, 2008.
[2] C. Aymonino, “Matera ‘mito e realtà’ in Casabella n°. 231, 1959.