I brevissimi 2016 – I piaceri della vita di Bruno Bianco, Montegrosso d’Asti(AT).
Anno 2016 (I sette peccati capitali – la gola)
Mio padre aveva detto che ero matto a spendere quella cifra per una partita; con quei soldi avrei potuto comprarmi una 850 nuova fiammante, diceva. Avevo usato tutti i risparmi dei miei primi mesi di lavoro alla Fiat Mirafiori, reparto presse. Mica come Renzo; lui i soldi li aveva chiesti al padre che non aveva battuto ciglio. D’altronde un veterinario guadagna un po’ più di un operaio Fiat; così come il padre di Mauro, un impresario edile intrallazzato nel giro degli appalti pubblici.
-Abbiamo vinto tre a zero all’andata, e allora? Questi argentini in casa sono gente forte. E poi non pensare solo alla partita; Argentina vuol dire le bistecche più tenere del mondo. E le donne, ragazzi! In Argentina si rimorchia, ve lo dico io!-
Sì, perché dopo che all’ andata l’Inter ne aveva rifilate tre all’Independiente, non è che ci fossero tanti dubbi su chi si sarebbe preso la coppa intercontinentale. Ma sarà perché gli argentini in casa sono gente forte, sarà per le bistecche, sarà perché si poteva rimorchiare, alla fine Renzo era riuscito a convincermi.
Dall’ aeroporto di Buenos Aires avevamo preso un taxi e per tutto il percorso eravamo stati incollati ai finestrini. Viali interminabili fiancheggiati da case, come uno schermo a coprire chissà cosa; il centro e i suoi lussi, la piazza e le vie, la cattedrale e il teatro. Ma all’improvviso tutto cambia; in un momento ci troviamo ad Avellaneda; le strade dissestate, le case povere, le villas miserias. Poi finalmente lo stadio, il mitico stadio del Club Atletico Independiente de Avellaneda; rumori, bandiere, sciarpe colorate, canti e balli.
Di quella partita ricordo solo che fu noiosissima; Peirò e Mazzola sembravano i fratelli scemi dei due che avevano segnato all’ andata. E l’Independiente? Bella storia quella che in casa fossero gente tosta; per tutti i novanta minuti nella nostra metacampo solo perché così aveva deciso il mago Herrera, di stare noi indietro e fare attaccare loro. Già Herrera. Si alzava dalla panchina e faceva segno con le braccia di andare avanti; poi si sedeva e di nascosto con l’altra mano ordinava di stare indietro.
Dopo un penoso zero a zero restammo alzati tutta la notte; era venuto il momento di provare la famosa bistecca argentina. Dove fosse quel locale non lo ricordo più, sul mare o in centro o ad Avellaneda. Però quella bistecca, spessa tre centimetri, cotta al punto giusto, così facile da tagliare, così piena di un gusto a noi nuovo, mentre nella sala suonava una musica di tango, e arrivavano uomini eleganti e donne appassionate, e i camerieri che correvano tra i tavoli, e noi che ridevamo ubriachi di euforia, e i cori, e le bandiere, e le sciarpe colorate…
Da allora sono passati 50 anni e devo ammettere che la vita non è stata poi tanto cattiva con me; con Renzo e Mauro non ci siamo mai persi di vista e ancora adesso sovente ci troviamo a casa di uno o dell’altro insieme alle nostre mogli.
Però quando gioca l’Inter ci incontriamo solo noi tre, senza mogli, a cucinarci una cena per soli uomini. Perché saranno tanti i piaceri della vita, ma quando inizi ad avere qualche anno in più e senza volerlo li lasci per strada uno a uno, puoi sempre contare su quello che non ti abbandona fino a quando non arriverai all’ultimo respiro; così per soddisfare il piacere del palato davanti alla partita, noi tre ci facciamo una bistecca ai ferri e a me viene sempre in mente quel viaggio, quella sera, quegli anni. Nessuno lo dice, ma una bistecca ai ferri a noi fa quell’effetto lì; ognuno in silenzio fa il confronto con quella argentina e ci sembra di sentire la musica di tango, di essere in quel ristorante, di vedere i camerieri che corrono tra i tavoli. Poi un urlo del telecronista, l’Inter che colpisce un palo, o segna, o prende un gol; ci svegliamo dal torpore, mettiamo in bocca un altro pezzo di bistecca e in un attimo siamo di nuovo a casa nostra.
A vivere il presente.