Rassegna Stampa Associazione, Rassegna stampa degli incontri

Gianrico Carofiglio: testimone inconsapevole a Matera

di Veronica Mestice

Gianrico Carofiglio: testimone inconsapevole a Matera. Ha incontrato i materani a Palazzo Lanfranchi durante la presentazione de “L’estate fredda”

carofiglioE’ tutto accaduto, più o meno. Esordisce come Kurt Vonnegut, Gianrico Carofiglio – magistrato, ex senatore Pd e scrittore di successo – , a Matera il 2 dicembre per presentare la sua ultima fatica letteraria, “L’Estate fredda”. Il Testimone inconsapevole del legal thriller all’italiana, intervistato in una Sala Levi di Palazzo Lanfranchi quanto mai gremita di appassionati e curiosi, si dice felice di essere a Matera, città che ama moltissimo. Arriva in perfetto orario, con la falcata sicura e l’occhio verde da cui è difficile distogliere lo sguardo. Si concede alla stampa per le interviste di rito e poi siede con l’avvocato Nicola Buccico per dialogare: l’esercizio più democratico che esista, a suo dire.

Consapevole che la retorica uccida la verità, Carofiglio, raccontando il suo libro, se ne allontana tanto da quella che esalta la mafia, quanto da quella che esalta l’antimafia, partendo dal 1992: l’anno del freddo che prese i nostri cuori per le stragi di mafia, l’anno in cui egli stesso iniziò la carriera di pubblico ministero occupandosi specificamente di indagini di mafia, l’anno in cui le indagini divennero più tecnologiche, l’anno che per tutti noi rappresenta uno spartiacque della storia collettiva. La stagione difficile del 1992 è lo sfondo dei fatti narrati, è la realtà che si fa romanzo attraverso il punto di vista di uomini di legge che hanno l’ostinata speranza che la legalità possa trionfare. Si riconosce subito lo stile Carofiglio, lui che da piccolo non amava Diabolik ma giocava a fare lo scrittore, avvincente e mai banale, lontano dal dividere il mondo in bene e male, perché i buoni in realtà sono cattivi e le sfumature si compenetrano attraversate dalla ragione e dall’ostinata inclinazione a non fermarsi alle apparenze.

invito carofiglioDall’avvocato Guerrieri, passando per l’ispettore Tancredi, arriva al maresciallo Fenoglio, abile interprete dell’arte del dubitare, imprescindibile dote per diventare un bravo investigatore: non essere mai confortati totalmente dalle proprie intuizioni, non mentire a se stessi, non farne un fatto personale, avere l’attitudine a non dare giudizi, perché non c’è nulla di più moralmente insopportabile del moralismo stesso.
Fenoglio disquisisce col Capitano Valente di Calvino, nei momenti di relax legge “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, ritiene Moravia noioso ed è innamorato del metafisico Filippo Vasari. Fenoglio che è sempre più alter ego del suo genitore letterario, come, d’altronde, autobiografici sono tutti i personaggi di romanzo, nell’inadeguatezza dello stare al mondo, nel pudore dei dubbi e nel gusto della ragione che vuole sempre scavalcarli, quei dubbi. “Non sentirsi mai a casa, nemmeno a casa propria, è la forma più alta di moralità.” – cita il disagio esistenziale come pratica morale nobilissima, la più fertile, la più nutriente. Gli piacciono molto i libri, reputa la lettura un grande esercizio di libertà, ma sente di non avere nessuna qualità speciale. Carofiglio, insomma.
Aborrisce gli ierofanti, schernisce coloro che abusano del loro potere, irride coloro che camminano in bilico con l’idea che le regole siano un optional, quelli il cui difetto è la ricerca spasmodica del riconoscimento della loro autorità, detesta i cauti che non riconoscono l’umanità del rischio, ma resta fedele a se stesso, pur non andandoci mai d’accordo.
Contraddizione? No, semplice constatazione che il vero atteggiamento etico è di colui che si pone dubbi,  e soprattutto che il vero problema contemporaneo è che gli imbecilli sono pieni di certezze e le persone intelligenti sono piene di dubbi (ndr, Bertrand Russell).

Quando i dubbi si fanno romanzo e la storia travalica il genio, lo stile Carofiglio fa letteratura. Ma, stavolta, con una lingua anti-letteraria per eccellenza, quella dei verbali e delle rivelazioni. La Storia solletica la trama e i fatti si arrestano in momenti di riflessione quasi filosofica creando un altrove nella narrazione, sospesa tra letteratura e cronaca giudiziaria.

Durante la serata non tralascia una lezione sul saper scrivere, sostenendo che la scrittura sia un mestiere, contrariamente a quanti la classifichino come un hobby. Non c’è nulla di semplice nella scrittura, perché ha a che fare con la ricerca delle parole giuste per dire la verità. E la ricerca desta scompiglio così come scendere nei territori oscuri della propria coscienza. Cita Michelangelo con la sua lezione del togliere, sostenendo che l’arte in generale sia arte del togliere. Elogia il linguaggio, una finzione per dire quello che c’è da dire, scevro di narcisismo. E poi le parole e il loro potere di creare la realtà, fare e disfare le cose.

“I miei libri si vendono e gli editori sono simpatici con quelli che vendono”, risponde con l’ironia beffarda di chi sa di piacere, compiaciuto e lusingato, alla domanda sul suo rapporto con gli editori che hanno pubblicato i suoi scritti: da Sellerio a Einaudi, passando per Rizzoli.

Alla fine legge se stesso, per riconoscersi.  Uno stralcio del libro, su Falcone: l’uomo normale che non lo è affatto, l’uomo morto per aver fatto il proprio mestiere, lontano dall’eroismo che aleggia ancor oggi attorno, l’uomo che nella sua splendida monotonia e nella sua ironia sottotraccia continuava a vivere. Perché forse bisognerebbe vivere così. Con la normalità e l’ironia di chi affronta quotidianamente i mostri, eternamente a contatto con l’insopportabilità del male, ma resta sempre fedele a se stesso, per non cambiare mai.

Sisifo ne è felice.

Adesso, però, prosegui con l’avv. Guerrieri.

 

Iniziativa promossa dall’Associazione culturale Energheia di Matera, dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dalla Lbreria dell’Arco, con il sostegno del Polo Museale della Basilicata.