I racconti "brevissimi di Energheia"

I brevissimi 2017 – Lola. Una storia sbagliata di Sara Casale_Avezzano(AQ)

anno 2017 (I colori dell’iride – rosso)

Lola. La punta della mia lingua scocca due accenti di una misura.

Lola. L’aria fresca la mattina presto che mi accarezza il collo.

Lola. Labbra fragili. Un sapore distruttivo, tenero, intimidito.

Ogni uomo porta con sè un segreto, dove nessuno potrà mai guardare. Il mio segreto sono labbra rosse come il sangue in una storia sbagliata. Il mio più grande segreto è Lola.

Nel mezzo della stagione dei colori. Risate rumorose, fusti di birra e calici di vino; le gonne delle ragazze dai capelli morbidi ruotano nell’aria d’agosto, il rock-blues accompagna i sorrisi e le loro braccia si lasciano avvolgere dalla sventatezza dei turisti di passaggio.

La vidi lì per la prima volta, mi parve come se i rumori si rendessero vani per un istante, ma tutto fu interrotto dalla voce squillante di Julia che mi chiedeva due pinte fresche per lei e la sua amica e il solito ideale giro in macchina a fine turno. Rifutai come d’abitudine scherzando sulla sua tenera età e mi fermai  a bere un bicchiere con loro al bancone.

Le ciglia della ragazza dalle labbra color ciliegia, si muovevano tra i mille sfavillii delle luci del pub, le sue pupille non cercavano nessuno se non un pretesto per far scorrere la serata. Non aveva voglia quella sera di uscire, era annoiata da quel mondo troppo stretto per lei, “per fortuna la musica” avrà pensato. Parlammo tutta la sera di vecchi dischi rock e della sua voglia di imparare in fretta il mondo, mentre Julia si era ormai  abbandonata al turbine della festa. Ma quello di fine serata non sarebbe stato l’ultimo suoi sorrisi che scelse di regalarmi.

Da quella notte, parlammo spesso. Non volevo niente da lei, nè lei da me, ma nel frattempo giocavamo a convincerci che fosse solo una piacevole intesa. Eppure le lune si succedevano ed io non dormivo senza pensare alla sua voce.

– è troppo piccola!

Non trovavo più una mattina in cui non mi svegliassi senza volerla vedere.

– Ma cosa sto facendo?

Non era che il principio di un pensiero, ma riusciva a spaventarmi.

E ancora, promettendomi che tutto sarebbe finito presto, non c’era una volta che non sorridessi al ricordo delle ore spese a cercare, tra le stelle di agosto, una vita lontana di cui accontentarsi.

Il tempo se lo portava via il sole.

Ed ogni giorno ero sempre più tormentato dal pensiero di schiantarmi a duecento contro un muro o farle del male.

Era una di quelle strade senza inizio, nè fine, una di quelle strade su cui ci si ammazza.

Ma non me lo sarei mai perdonato. Io forse me la sarei cavata, d’altronde, pensavo, ne avevo superate così tante dai miei trentotto in giù, che non mi sarei spezzato, ma lei, lei era solo un grammo di bellezza avvolta da una corazza di sorrisi sinceri, ed io un gigante, che avrebbe potuto spezzare le sue ossa anche solo prendendole la mano, a cui non rimaneva che scegliere di amarla da lontano.

Passarono mesi, e insieme, anche i nostri numerosi tentativi di addio. La piccola donna che conoscevo era esausta dalla stagione faticosa, dal burrascoso rapporto con i suoi genitori, dai tormenti adolescenziali e dalla fine di una lunga storia con quello che credeva già l’amore della sua vita, ma quel ragazzo non ne voleva sapere e così finì per soffocarla con sue insicurezze. Gli voleva bene, ma Lola aveva bisogno di voler bene più a sè stessa adesso. Decise di scegliersi. Sotto il sole di un’estate aveva conosciuto l’orrore di un cuore diviso in due, l’incompresione di ogni faccia della realtà che conosceva, la paura costante di sbagliare e non essere abbastanza forte. Ma volle stringere i denti ed io mi sentivo un’irrefrenabile voglia di aiutarla.

Lola doveva guarire partendo dai piccoli sussulti del suo cuore. Appena ne aveva la possibilità, trascorreva ore intere ad ascoltare il silenzio delle sue montagne, la tranquillizzava il profumo delle foglie e il rumore del torrente, le piaceva mangiare frutta fresca sui rotoballa della campagna alle due del pomeriggio, cercare le crepe sui palazzi antichi e i colori sbaditi dal tempo dei loro enormi portoni durante le sue lunghe e solitarie passeggiate, svegliarsi la domenica sotto il piumino con la pioggia che batte sul tetto; a volte quando entrava negli alimentari, senza farsi vedere, affondava le dita nei sacchi di legumi, nella pausa lavoro invece, al crepuscolo, leggeva i suoi libri seduta ai tavolini del bar tra i vicoli del paese, bevendo la sua solita tisana calda. Le piaceva fare colazione sotto il sole di settembre, le biblioteche enormi, il cinema vuoto il lunedì. Amava i concerti, ballare come una stupida, tanto, diceva, ognuno si mostra ridicolo a modo suo. Lola si perdeva tra i profumi degli incensi, tra le parole di Wilde, Shakespeare, Dostoevskij, Hesse e tutti gli altri suoi salvatori preferiti, amava i film di Troisi e la voce della Callas, si sentiva riepire il cuore al pensiero di una chitarra,un paio di birre e i suoi amici. Pensava alle interpretazioni dei sogni, alle costellazioni, ai viaggi che avrebbe fatto, o meglio, alla voglia soffocante di uscire, andar via, di vivere…di respirare davvero. Lola amava le prime dei teatri, i musical, la voce di Gassman e correre sotto la pioggia. Le cime delle montagne, le mappe geografiche, i quadri di Dalì. Una vita di collezioni di vecchi vinili, di caffè e di poesia, di strane fantasie. Era una vita guidata dal cambiamento e dall’avventura, piena di svolte tortuose e salite interminabili quella che sognava Lola.

Avrei girato il mondo per darle tutto questo, ma l’unica cosa che dovevo fare era lasciarla libera da una situazione troppo grande per lei, probabilmente come lo era anche per me. Io mi sentivo come in dovere di farla uscire da quella buia confusione, da quei momenti che potevamo conoscere solo noi due, da quel tormento pauroso e ossessivo, da quel concetto di errore, causa di notti insonni e pensieri distruttivi incessanti, che infine, forse, volevano solo essere amore. La realtà però, non apparteneva a due come noi.

Lola porta ancora il mio bracciale al polso, diceva che quando si sentiva giù se lo avvicinava alla guancia e si addormentava col mio profumo, diceva che era l’unica cosa capace di tranquillizzarla negli ultimi tempi. Ora quel bracciale non ha più il mio profumo, ma mi piace pensare che portandolo con sè, ripensi a quelle notti, quando ci stringevamo la mano anche nei sogni e che ricordi il mio respiro sui suoi capelli mentre mi sognava, a quando sorrideva tra il cuscino e il primo sole che ci abbracciava mentre aprivamo gli occhi; mi piace pensare che ricordi i miei “esco io a prendere i cornetti”, che l’amore finiva a sostituire. “Laviamoci i denti”, ma poi tornavo a sognarle accanto. Il sole nasceva un’altra volta e il fuoco era di nuovo spento, le coperte a terra. “Sono le dodici e venti” dicevo, ma mi ricordava di non dover sempre badare al tempo. Erano carezze, erano sospiri. Tra i piccoli baci, mille storie: quelle che saranno e che non saranno mai. A volte vorrei ancora stringerle la mano e con gli occhi dirglielo: prendimi ancora, tra i sorrisi  e i primi soli, tra le paure più fredde, tra le notti più luminose.

In quel niente, che tutto è stato, ho respirato.