I brevissimi 2017 – Rosso di Federico Stern_Trieste
anno 2017 (I colori dell’iride – rosso)
Chiudo la zip dello zaino con un movimento secco, per poi adagiarlo con la più fredda nonchalance sul pavimento, accanto al letto. La sveglia segna le 23:41. Proprio l’ora di andare a dormire, penso.
Ogni sera il mio rituale è sempre lo stesso, una sinfonia di operazioni dovute ormai a movimenti meccanici schiavi della routine, piuttosto che ad azioni ponderate. Lavarmi i denti, mettere la crema per il viso, preparare lo zaino per l’indomani scolastico e infine, altrettanto meccanicamente, infilarmi sotto le coperte, cercando di addormentarmi il prima possibile in modo da non sottrarre tempo prezioso al sonno. Nulla più, nulla meno.
Con un sospiro, mi muovo verso la porta e faccio per spegnere pigramente la luce della camera.
Un momento.
Mi volto. La lampada sul comodino è spenta. Mi sono fermato giusto in tempo. Da molti anni a questa parte, ho sempre avuto l’abitudine di accendere il lume accanto al mio letto prima di spegnere la luce della stanza, in modo da non sprofondare nell’oscurità più accecante subito dopo aver premuto l’interruttore. Il letto dista al massimo due metri dalla porta, ma so che attraversare quella distanza con un, seppur fioco, bagliore mi infonde quel minimo di sicurezza che altrimenti verrebbe a mancare, lasciandomi in balìa dell’ansia più incalzante. Fantasie da ragazzino, lo so. Eppure proprio queste sono le più dure a soccombere.
Accendo il lume sul comodino, sentendomi subito più sereno. Dopodiché, spengo l’interruttore disinvoltamente, dirigendomi non senza una certa lestezza verso il letto. Balzo sopra e tiro le coperte fino al mento, sistemandomi nella consueta posizione che sono solito assumere per addormentarmi.
Spengo la luce, e con uno sbuffo mi abbandono sul cuscino. Il silenzio regna intorno a me.
Una trentina di secondi dopo, nella più totale assenza di rumore, sento qualcosa.
Apro gli occhi, immerso nel buio. Un suono debole, istantaneo come un timido lampo. Tuttavia, mi giunge con estrema chiarezza nella quiete della stanza. È come se qualcosa avesse appena sfiorato delicatamente l’armadio.
Decido di non pensarci. Capita, talvolta, che si odano dei rumori che paiono provenienti dal nulla – gli scoppiettii delle bottiglie di plastica, un oggetto appoggiato male che cade, o quello che è. Potrei anche essermelo immaginato, mi dico. Richiudo gli occhi, come se niente fosse. Una delicata inquietudine mi pervade in fretta le viscere.
E poi, di nuovo.
Un altro debole tic, che però risuona come dentro una caverna. Tranquillo, mi dico, è solo una coincidenza, o ti sei già addormentato e lo stai sognando. Non è reale. Le coperte si fanno improvvisamente bollenti, un rivolo di sudore mi riga la fronte. Decido di rimanere in assoluto silenzio. Non oso muovermi, non oso fiatare.
Peccato però che qualcuno lo faccia al posto mio.
Percepisco il respiro come se lo avvertissi sul mio collo. Lo sento. È lento, basso, appena percettibile. Ma c’è. È regolare, scandito da brevi intervalli. C’è qualcuno nella stanza con me.
Sono paralizzato dal terrore, un terrore oppressivo, che mi impedisce il più lieve movimento, anche solo aprire gli occhi. Tenendoli serrati, mi illudo di scacciare qualunque cosa si trovi qui in questo momento. Non lo sento avvicinarsi, non odo movimenti né passi. Solo sottili rumori isolati, che tutti insieme mi fanno sentire la sua presenza.
Il mio respiro si fa tremolante e frastagliato. Lui sa che ho capito che è qui. Avverto un altro rumore, un ruvido strascichio come di un unghia su un pezzo di legno.
Non so cosa fare, la mia mente si annebbia come soffocata da un denso fumo. Lentamente, avvicino la mano all’interruttore del lume. Non è reale, mi ripeto nel vano tentativo di calmarmi. È tutto nella tua testa.
Nell’oscurità, intravedo un’ombra.
Un altro strofinio.
Uno scricchiolare.
Un sussurro.
Un lieve passo.
E due occhietti rosso fuoco che si accendono nel buio.
Premo l’interruttore.