I brevissimi 2018 – Ultima lettera a Theo di Massimo Terzini_Veroli(FR)
_ Anno 2018 ( I sette colori dell’iride – Il giallo)
ti dico a malincuore che la distanza che c’è tra noi accentua ad ogni momento la mia inquietudine. La scelta di Paul di lasciarmi da solo per inseguire i suoi sogni esotici e l’impossibilità di confrontarmi quotidianamente con lui sui temi che entrambi tenevamo a cuore, regalano sempre più spazio ai miei cattivi pensieri e rendono ormai il mio lavoro una ricerca di qualcosa che non capisco rivolta verso direzioni che non conosco.
Certe giornate le trascorro immobile su una sedia a fissare un punto nel vuoto, alla ricerca del tono giusto per dipingere anche un solo petalo di fiore.
Il dottor Gachet dice che tutte queste ore passate in solitudine non aiutano a guarire.
Lui pensa che io sia pazzo. Non lo dice mai chiaramente, ma io lo capisco da come spia in silenzio i miei silenzi.
Giorni addietro stavo ripensando ad un quadro dipinto qualche tempo fa, in cui ci sono degli uomini e delle donne che mangiano delle patate. Sono raccolti attorno ad un tavolo e la luce che illumina i loro volti è quella di una piccola lampada a petrolio posta al centro della scena. L’impegno che misi nel dipingerlo non era rivolto a quello che stavano facendo, benché chi lo ha visto ha dimostrato entusiasmo per come io sia riuscito a rendere l’atmosfera del luogo e la profondità d’animo di quella povera gente.
Volevo solo che l’incarnato delle loro guance avesse l’identico colore di un pezzo da dieci centesimi, vale a dire un colore bronzo opaco. Ricordo che trascorsi tre giorni, dormendo malamente la notte, per ottenere quel preciso tono di marrone e senza mai pensare a che colore avesse realmente il viso di un uomo.
Mio caro Theo, a me non interessa dipingere le cose, ma solo i loro colori.
Peggio, da qualche tempo io non dipingo quello che vedo, ma quello che la mia mente crede di aver visto. Sono queste mie confidenze che hanno indotto il buon Gachet a ritenere che io abbia perso da tempo il lume della ragione.
La settimana scorsa ho avuto un baluginio durante il sonno. È stato un attimo, un attimo solo. Per un momento, forse durante chissà quale sogno, la stanza dentro la mia testa si è illuminata di una luce gialla che da allora si dev’essere annidata in profondità tra le pieghe del mio cervello.
Appena sveglio l’ho cercata tra i pigmenti della tavolozza ancora umida di trementina, tentando di riprodurla mescolando assieme ocra, cadmio pallido e giallo di Napoli, poi ancora giallo limone con terra di Siena naturale e bianco avorio, e poi albume e ancora giallo, ora togliendo ora aggiungendo colore, provando e riprovando ancora, ma invano, fino allo sfinimento.
Se non temessi di accreditare anche con te, in questo, tracce nascoste della mia follia, ti direi che associo volentieri quell’assurdo spettacolare tono di colore alla fulminante esplosione di uno sparo di rivoltella…
Non so spiegarti mio caro Theo, da cosa mi derivi questa sensazione, ma ti confesso che ogni attimo della mia vita, da quel giorno, si muove e gravita attorno a quest’ossessione.
Posso solo dirti con certezza quanto possa essere doloroso cercare senza speranza il ricordo di qualcosa di meraviglioso nell’angoscia di averla persa per sempre e che baratterei volentieri tutti i quadri dipinti finora, tutti quelli che dipingerò in futuro e fors’anche la mia stessa vita, pur di rivivere quell’attimo di indicibile, accecante, colorata chiarezza.
Qui è una magnifica giornata di sole, tra poco uscirò nei campi e spierò più da vicino ogni corolla di fiore, ogni più luminosa spiga di grano, nella speranza di ritrovare lì, annidato da qualche parte, quel colore che ormai mi brucia dentro.
Ti abbraccio, fratello mio.
Auvers-sur-Oise, 27 luglio 1890 Vincent
Nota
Domenica 27 luglio 1890, Vincent van Gogh esce di casa di buon mattino e dopo aver vagato per ore tra i campi assolati di Auvers, si tira un colpo di pistola in pieno petto. Non esiste nessuna lettera che porti ufficialmente la data di quel giorno né la firma dell’autore, ma nella tasca della sua giacca viene trovato un brandello di carta presumibilmente destinato a suo fratello Theo: “vorrei scriverti molte cose, ma ne sento l’inutilità (…) per il mio lavoro io rischio ogni giorno la vita e ho compromesso a metà la ragione. Sono disperato. Non vedo via d’uscita.”
Il testo che precede questa nota potrebbe essere collocato a metà strada tra il falso storico e il veniale depistaggio circa le vere ragioni della morte del pittore. Quello che si voleva dimostrare, è che l‘immortalità di un artista poggia anche sulla capacità di continuare a far parlare di sé, nel tempo, sia pure attraverso parole inventate.