I brevissimi 2018 – Doppio giallo di Marlène-Shiva Vezzaro_Imperia
_ Anno 2018 (I sette colori dell’iride – Il giallo)
Non sento più il ronzio dell’asciugatrice, vuol dire che il ciclo è finito. Mi dirigo senza fretta nella stanza della lavanderia, apro l’oblò cigolante e inizio a piegare con cura i capi ancora caldi. Una maglietta gialla, un paio di mutande, gialle anche queste. È già passato un anno da quando indosso vestiti e biancheria monocolore.
Un tempo lontano mi chiamavo Karen. Ora le persone si rivolgono a me con il nome di Ambika Chaitanya. Sono cresciuta a Vancouver e qui trascorrevo un’esistenza che molti definirebbero normale. Senza pormi troppe domande lasciavo che la vita mi scivolasse addosso, a mio agio nell’impasto omogeneo della massa. Quasi tredici anni fa mi sono laureata in Economia e, secondo i miei piani, avrei trovato lavoro in una grande azienda e costruito un futuro felice con Martin, il mio fidanzato storico. Però, prima di iniziare la mia vita da adulta avevo deciso di passare un mese nell’ashram in Val-Morin con Tania, la mia migliore amica, per conseguire insieme il titolo di insegnanti di Yoga, una passione che ci legava molto. Ancora non sapevo che quella decisione mi avrebbe rivoluzionato la vita.
A volte torno a stupirmi al pensiero che dall’ashram non sono mai più tornata a casa. Ricordo ancora il senso di smarrimento durante i primi giorni del corso. Non erano tanto la sveglia alle cinque, i pasti vegetariani, le ore di allenamento o la disciplina ferrea a sembrarmi impegnativi, quanto la presenza dei monaci. Guardavo affascinata e intimorita allo stesso tempo quella comunità di tuniche arancioni che dentro contenevano persone. Esseri umani che un tempo avevano una vita, una famiglia, una macchina forse, ma che avevano deciso di rinunciare a tutto, anche alla propria individualità, in nome di un qualcosa cui non riuscivo a dare un nome. Lembi di stoffe arancioni svolazzavano per i sentieri di quell’universo parallelo. Ma c’era anche chi si vestiva solo di giallo…
I brahmachari appunto. Quest’ultimi sono studenti dei monaci, che a loro volta hanno preso i voti e deciso di dedicare l’esistenza al servizio dell’umanità e allo studio delle Sacre Scritture. Secondo la filosofia insegnata nell’ashram il giallo è il colore dell’apprendimento, quindi i brahmachari possono indossare solo questo colore, come simbolo del loro status di studenti. La mia amica Tania e io inizialmente scherzavamo sullo stravagante modo di vestire dei discepoli dei monaci, usando il soprannome di “doppi gialli”, riferendoci ai completi monocolore che indossavano. Anche i loro accessori erano in tinta. Calzini, orologio, marsupio… tutto in tonalità diverse di giallo, dall’ocra al color canarino. Trovavamo il tutto un gustoso divertimento.
Quelle risate e l’ironia sulla vita degli aspiranti spirituali appartengono a secoli fa. La vita riserva sempre delle sorprese e all’epoca mai avrei immaginato la piega che avrebbe preso la mia. Poco prima la fine del corso per diventare insegnate di yoga iniziavo a sentire che qualcosa in me stava cambiando. E avevo il bruciante desiderio di rimanere nell’ashram, ancora qualche mese mi dicevo, per approfondire le tematiche che stavamo trattando. Molte domande mi spingevano a restare e a scavare dentro di me. Ma poco a poco le risposte iniziarono a sbocciare e il mio cuore si riempì di un amore divino prima sconosciuto, così la decisione di rimanere nell’ashram per sempre fu una naturale conseguenza.
Sono dovuti passare dodici anni prima di aver potuto partecipare alla cerimonia per diventare brahmachari e a mia volta e prendere i voti. Un’iniziazione con la quale ho rinunciato alla mia vita precedente e a ogni sorta di piacere terreno, abbracciando però una fede che mi colma fin nel profondo dell’anima. Una scelta che ha condizionato anche il colore della mia biancheria.
É ora di andare, guardo con un sorriso la pila degli abiti piegati nella cesta davanti a me, una montagnola color zafferano e mi domando se qualcun altro usa il soprannome “doppio giallo” anche per me.