I racconti del Premio letterario Energheia

Il velo di Maribella Piana_San Giovanni La Punta(CT)

Racconto finalista Premio Energheia 2018

Poteva sopportarlo. La testa le girava per la fame e la gola bruciava per la sete ma poteva sopportarlo. Doveva soltanto chiudere gli occhi e assecondare il ritmo delle onde per non fare aumentare la nausea. Non c’entrava per niente il fatto di essere incinta. Al suo paese le donne lavoravano fino all’ultimo momento, e quando arrivavano i dolori si accucciavano su una buca. Però non voleva partorire lì. Non c’era posto. A stento metà delle persone si era potuta sedere con le gambe strette alle ginocchia. Tutti gli altri stavano a cavalcioni dei bordi con un piede dentro e uno fuori. Era ancora ai primi mesi, così almeno credeva, e poteva aspettare. Non ne era sicura perché negli ultimi tempi il sangue era stato irregolare, e alcuni mesi non era venuto. Forse per la fatica o per il poco cibo. Era dimagrita infatti e non aveva più quelle belle natiche tonde che ballavano quando camminava. La tunica colorata serviva però a nascondere la pancia. Se quelli si fossero accorti che era incinta forse non l’avrebbero fatta partire. Tutti quei mesi passati da un campo all’altro sarebbero stati inutili. E anche quei soldi che suo padre aveva raccolto vendendo tutto, casa e animali, per far partire lei e suo fratello. Lei non voleva andare via, aveva paura. Suo fratello no, invece. Era troppo giovane per avere paura. A quindici anni non si pensa a niente. Aveva visto tanta gente andarsene, non ne poteva più delle bombe e della fame, e sperava di trovare chissà cosa. Lei aveva sentito dai discorsi degli uomini dietro la tenda che molti erano morti annegati e aveva paura perché non sapeva nuotare. Non aveva mai visto il mare, soltanto la terra arida del suo paese e le macerie quando era cominciata la guerra. Non sapeva perché era scoppiata quella guerra. O forse non era scoppiata, c’era sempre stata. Da quando era piccola, sua madre le diceva che era pericoloso uscire per la strada. C’è gente che spara, diceva. Ma perché. Perché il loro Dio gli dice di sparare. Ma Allah è buono diceva lei. Sì, ma loro lo vogliono adorare in un altro modo. Ma che vuol dire? Chiedeva lei. Basta, non capisci, e poi noi donne non c’entriamo in queste cose. Allora lei cercava di far parlare suo fratello, perché a suo padre non rivolgeva la parola se lui non glielo chiedeva. E suo fratello parlava di fazioni e di tradizioni diverse pronunziava nomi strani, sunniti e sciiti, ma quando lei gli chiedeva se adoravano lo stesso Dio lui doveva rispondere di si. E lei continuava a non capire. Quando camminava a testa bassa tenendo il velo davanti al viso, come prescrive il Corano, guardava incuriosita con la coda dell’occhio quei ragazzoni bianchi e biondi, vestiti in una maniera stranissima, che le sorridevano quando passava. Ma allora gli stranieri non erano nemici. E chi erano i nemici? C’erano anche delle donne in mezzo a loro. Non portavano il velo, anzi avevano persino i pantaloni. Che strana religione dovevano avere. E parlavano con gli uomini, li toccavano pure, e avevano i fucili in mano. Avrebbe voluto parlare con una di loro, ma quelle parlavano un’altra lingua. Una volta però, mentre faceva la fila davanti al camion con l’acqua, si sentì chiamare. Ragazza! Era una donna scura come lei, ma vestita come gli stranieri. Ragazza, vieni qua, non avere paura! Lei non sapeva se era giusto avvicinarsi, ma il divieto era di parlare con gli uomini, non con le donne. Si avvicinò con gli occhi bassi. E guardami per favore, non ti mangio mica! Lei alzò gli occhi lentamente e vide uno sguardo divertito e sorridente. Sposta ‘sto velo dalla faccia! Non senti caldo? Avrebbe voluto rispondere che forse con quel giubbotto pesante e quello zaino doveva sentire caldo lei, invece. Ma si tirò il velo ancora più su. Il Corano non obbliga affatto a portare il velo, lo sapevi? Scappò via ricordandosi che suo padre li aveva chiamati infedeli. Ma allora perché non sparavano? E che ci faceva una donna nera in mezzo a loro? Infedele anche lei? Il giorno dopo la vide in terra, con il sangue tutto intorno. Chi l’aveva uccisa ? E perché? Forse perché non portava il velo. Ecco perché lei lo teneva sempre, anche in casa. Anche sua madre lo portava sempre e a lei non era mai venuto in testa di toglierlo. Da quando non era più una bambina che poteva giocare con i maschi. Da quando si era accorta che la guardavano. I maschi non dovevano vedere i capelli e la bocca di una donna. Lei si era abituata e non le dava più fastidio. Solo all’inizio un poco. Così poteva uscire ed era tranquilla. Ma quando gli spari si fecero più vicini e più frequenti lei non usciva più. Le case intorno crollavano a una a una. Aveva paura. Non mangiava più. Suo padre un giorno li chiamò, lei e suo fratello. Disse che dovevano partire, andare lontano. Lui e sua madre erano troppo vecchi per fare quel viaggio, ma loro dovevano salvarsi. Aveva parlato con degli uomini che trasportavano persone al di là del confine. Poi si sarebbero imbarcati per andare in un paese chiamato Italia. Lei non sapeva nemmeno dov’era. Ma c’era un loro parente che li avrebbe accolti e aiutati. I poveri si devono aiutare sempre tra di loro. Intanto le bombe cadevano sempre più spesso, tanti ragazzi morivano, molti erano amici di famiglia. Suo fratello voleva andare a combattere ma solo perché gli piacevano le armi, nemmeno lui sapeva il motivo vero della guerra. Non c’era quasi più niente da mangiare, peggio di prima, quando comandava…lui, meglio non nominarlo, non sappiamo chi ci può sentire, diceva suo padre. All’inizio quella primavera sembrò una grande avventura. I ragazzi gridavano per le strade parole troppo belle per essere vere. Lei non aveva studiato molto, però quelle parole le capiva. Libertà, abbasso la dittatura, viva la democrazia. Chissà se le donne avrebbero potuto studiare, e forse si sarebbero tolte il velo. Chissà se avrebbero potuto vedere la televisione, cantare e magari usare internet. Chissà. Cosa era successo dopo? Perché i ragazzi continuavano a morire e le bombe continuavano a cadere? Allora forse era stata tutta un’illusione. Ma se tutti scappavano dal loro paese chi lo avrebbe salvato? Lei non riusciva a dire queste cose e si sentiva confusa. Cosa avrebbe fatto in un paese straniero, senza conoscere nemmeno la lingua? Non osava dirlo a suo padre, ma avrebbe preferito morire lì. Trascorse la notte prima di partire tutto il tempo abbracciata a sua madre. Non l’avrebbe rivista più, lo sapeva. E nello stesso tempo una voglia di vivere di vedere una terra nuova e felice, senza guerra e senza morti, la faceva sperare. Preparò soltanto una borsa con poche cose e qualche soldo, tutto quello che era riuscita a mettere da parte. Abbracciò suo fratello, per proteggerlo, o per farsi proteggere, e all’alba salì con lui sul camion in mezzo a sconosciuti. Non era mai salita su un pullman come quello, grande, in mezzo a tante persone, uomini soprattutto. Erano tutti giovani, i vecchi li mandavano via per farli vivere. Qualche coppia con bambini piccoli, qualche donna sola. Lei si tranquillizzò un poco. Se tante persone affrontavano quel viaggio, avevano certamente la speranza di stare meglio. Da qualche discorso capì che anche in altri paesi vicino al suo c’era la guerra. Gente che parlava un dialetto diverso sembrava provenire da molto lontano. Un bambino le si addormentò addosso. Un ragazzo voleva toglierlo. Scusa, è mio cugino, è stanco, viaggiamo da tre giorni. Lei non rispose, non stava bene parlare con gli sconosciuti. Ma lo guardò, per un attimo almeno. Era in età da marito, ma ora chi le avrebbe scelto un fidanzato, se suo padre era lontano? Forse quei parenti che non conosceva ancora. Il ragazzo continuava a guardarla e lei come d’abitudine si tirò su il velo. Pensò che forse in quel paese lontano chiamato Italia non l’avrebbe più portato. E a quel pensiero il grumo di lacrime che le premeva sul cuore si sciolse all’improvviso. Si sentiva sciocca. Non aveva pianto salutando i suoi, lasciando la sua casa, e ora piangeva per il velo. Non sapeva spiegarlo nemmeno a se stessa ma sentiva che avrebbe affrontato la nuova vita senza protezioni, nuda. Gli altri uomini sentirono l’odore della sua paura e la guardarono come una preda. Suo fratello l’abbracciò parlandole piano e lei si addormentò. Ogni tanto apriva gli occhi e guardava il paesaggio, ma era sempre uguale, con la terra abbandonata e le case distrutte. Viaggiarono tutto il giorno, sotto il sole, senza fermarsi per mangiare o bere, e al tramonto si fermarono in un campo di tende. Doveva fare pipì ma si vergognava di dirlo a suo fratello. Lo chiese alla donna che era stata seduta accanto a lei che la portò al buio dietro un albero. Dormirono per terra, le donne con i bambini da una parte e gli uomini dall’altra. All’alba però i camion non c’erano più. Se ne erano andati con quelli che avevano pagato di più, le disse suo fratello. Aspettarono finché il sole non si spense un poco e poi cominciarono a camminare. Uno aveva una specie di orologio e guardava il sole. Diceva che sarebbero arrivati al mare. Il mare lei non sapeva nemmeno cosa era. L’acqua nel suo paese era così poca e così lontana che non poteva immaginarne tanta. Ma non si poteva bere, era salata, diceva suo fratello. Altrimenti la potevano portare con le botti. Che peccato tanta acqua inutile. I piedi le facevano male. Non era abituata a camminare tanto. Anzi le dicevano sempre che era meglio stare in casa. Lei voleva tornare ma suo fratello diceva che ormai il mare era più vicino della casa. Ma come poteva saperlo diceva lei. Lo so e basta e tu stai zitta che sei femmina. Questo la convinceva lo aveva sentito dire tante volte. L’indomani camminarono ancora. E anche i giorni dopo. Un vecchio morì e lo seppellirono nella sabbia. I bambini li portavano a turno sulle spalle. Una notte videro delle luci. L’acqua era finita il cibo pure perciò l’uomo con l’orologio disse che dovevano chiedere a qualcuno di quel posto. Andò avanti lui e sentirono ridere e sparare. Poi vennero a prenderli. Erano armati avevano una kefia nera intorno al viso e ridevano. Lei si tirò su il velo che le cadeva sempre dalla testa perché aveva perduto le spille. Parlavano un dialetto diverso dal suo e non li capiva. Ma una donna accanto a lei cominciò a gridare quando uno di quelli le tolse il velo dalla faccia. Continuavano a ridere e con i fucili spingevano le donne lontano dagli uomini. Suo fratello la afferrò per un braccio ma un soldato gli diede un colpo in testa e lo fece cadere. Lei allora si spaventò davvero. Cominciò a correre nel buio senza sapere dove. Ma quello era più veloce. La prese e la buttò a terra. Le chiuse la bocca con una mano e con l’altra le alzò la tunica. Lei vedeva solamente il luccichio del fucile posato accanto alla sua testa. Dolore fra le gambe e dolore nella schiena sulle pietre appuntite. Il fucile continuava a brillare mentre sentiva altro dolore e altre risate. Quando finirono si addormentò sulle pietre. Il fucile lo avevano portato via. La svegliarono colpendola con la punta degli stivali. Alzandosi provò una fitta al ventre e si sentì sporca e appiccicosa. Era sangue. Ma non era il sangue del mese e anche il dolore era diverso. Uno l’afferrò per un braccio e la trascinò all’accampamento. Ora lo vedeva bene sotto il sole. Gli uomini con cui aveva viaggiato erano seduti sotto uno straccio piantato su due pali. Avevano gli occhi della paura e non parlavano nemmeno. Suo fratello aveva del sangue sulla fronte e non tentò nemmeno di chiamarla. Girò la testa e abbassò gli occhi come se si vergognasse. Di lei? E perché? Ma lei lo sapeva perché. Una donna violata è la vergogna della sua famiglia, non vale più niente. Non può più sposarsi e nemmeno farsi vedere in pubblico. Potrebbe dare scandalo e allora dovrebbe essere lapidata. Così dicono gli anziani. Lei non ci aveva mai pensato ma ora credeva che era una cosa ingiusta. Non ne aveva colpa, anzi i colpevoli erano gli uomini che l’avevano violentata. Ma risentì le parole di suo padre. La donna è una creatura del demonio che eccita gli uomini e li provoca. E’ sua la colpa se gli uomini non possono difendersi dalla tentazione. Gli uomini sono governati dall’istinto e deve essere la donna a evitarne lo sguardo. Solo un marito può godere dei suoi capelli del suo seno e del suo ventre. La donna è fatta per servire l’uomo nella sua casa e nel suo letto. La donna deve stare in casa o deve coprirsi se esce in strada. Solo l’uomo è fatto per l’aria e per la luce. Solo l’uomo può scoprirsi e gridare, combattere e comandare. Ma le donne dove erano? Sentì un grido e un’altra risata. Le tornò tutto in mente e le risate le rimbombavano nella testa e fra le gambe. Le cedettero le ginocchia e la spinsero a peso morto in uno stanzone. Materassi buttati per terra e un soldato di schiena si agitava sopra una donna. Un’altra seduta contro la parete dondolava la testa avanti e indietro. Un’altra dormiva o forse era svenuta. Il velo lo aveva perduto ormai. Glielo avevano strappato. Lo aveva visto per terra sporco di sabbia. Era un bel velo, sua madre glielo aveva ricamato con la seta rossa. Lo aveva toccato solo lei da allora nessun uomo poteva farlo nemmeno suo padre. Quell’uomo, il primo, se l’era avvolto ridendo alla canna del fucile. Dopo qualche tempo, minuti o ore, qualcuno aprì una fessura nella porta e mise dentro delle brocche d’acqua e delle focacce di pane. Il giorno dopo tutto ricominciò. Lo facevano sui materassi nello stanzone davanti a tutti o se le portavano fuori. Quando erano in tre o quattro se le lanciavano come bambole di pezza e ridevano ridevano. Lei urlava per coprire il suono di quella risata. Non aveva più dolore e nemmeno più sangue. Il corpo era diventato insensibile. Non sentiva il sapore del cibo e ingoiava tutto quello che le buttavano davanti. Quando si dimenticavano di lei si rannicchiava con la testa fra le gambe e dormiva. Ma anche durante il sonno rivedeva gli occhi senza fondo di quell’uomo, quello che se l’era presa come sua proprietà. Occhi senza emozioni che non la guardavano in faccia. Una cicatrice che attraversava il sopracciglio gli dava un’espressione diabolica. La faccia non si vedeva nemmeno, coperta dalla barba e dai capelli, ricci e neri. Conosceva bene solo le mani, che la afferravano e la buttavano per terra o la spingevano contro il muro. Le mani che le tappavano la bocca e la frugavano facendole male. A volte la dava agli altri, ma solo quando era stanco e annoiato. Ne conosceva l’odore, di giorni passati a sparare e a nascondersi, un odore di cui anche lei era impregnata. Anche il sapore del suo sperma conosceva, che non riusciva più a lavare via dopo aver vomitato. I giorni passavano e lei non riusciva più a contarli. Non ricordava più nemmeno il nome del paese dove sarebbe dovuta andare. Una notte la svegliarono insieme alle altre donne che erano rimaste con lei, prigioniere dei soldati. Camminarono in fila, al buio, mentre gli uomini le spingevano. Una cadde e la lasciarono lì. Tanto era vecchia, non valeva la pena. La sabbia era morbida e fresca e lei pensò di lasciarsi cadere e rimanere lì, per sempre. Ma la spingevano con il calcio dei fucili e camminò trascinandosi finché la luce dell’alba non fece illividire le dune e le facce degli uomini. Si chiese dove fosse il mare e se l’avrebbe mai visto. Era l’unica cosa che desiderava in quel momento. Il mare era fatto d’acqua, e lei aveva tanta sete. Le fecero entrare tutte in un camion, strette le une alle altre, in piedi, non c’era lo spazio per sedersi. Erano chiuse dentro, mancava l’aria. Viaggiarono così per un tempo che non seppe calcolare, perché non vedeva il sole. Quando le fecero uscire all’aria aperta vide il rosso del tramonto. Erano in una specie di villaggio abbandonato, con le case in macerie e uomini armati dappertutto. Un odore dolciastro e nauseante le ricordò il giorno della festa quando suo padre macellava l’agnello e il sangue scorreva nella ciotola. Le mosche ronzavano sui cadaveri ammucchiati nelle strade. Le venne un attacco di nausea, una donna le tenne la testa e la guardò con pietà. Stai ferma, non è niente, ci siamo passate in tante. Fra i muri crollati qualche bambino si affacciava curioso. Subito una donna correndo lo afferrava trascinandolo via. Anche in una casa diroccata, anche dietro una roccia, purché non fossero visti. Nascondersi era l’unica possibilità di sopravvivere. A patto di trovare acqua e cibo. E l’acqua era lontana, a chilometri di distanza, lei lo sapeva bene. Ma ricordava che, sembrava tanto tempo prima, andava con la brocca grande al fiume insieme alla madre e alle amiche e scherzavano, finalmente sole fra donne, tirandosi il velo, ridendo per nulla. Anche se la brocca era pesante al ritorno lei aspettava quel cammino giornaliero dove per poche ore si sentiva libera. La vita di prima le sembrava lontana come quella di un’altra persona. Non sentiva più pronunziare il suo nome, la chiamavano gridando – donna!- e lei era soltanto questo, una donna, cioè niente. I giorni passavano misurati solo dal sorgere e dal tramontare del sole, addormentati in una continua inerzia. Le ombre nere dei soldati stavano appollaiate sulle armi puntate verso il nulla, come avvoltoi sul ramo. Alcuni stavano appoggiati ai muri, guardando il vuoto. Non cercavano più le donne, come se aspettassero qualcuno di importante. Verso metà giornata si distribuivano focacce secche e ciotole d’acqua. Un giorno finalmente, quando le montagne spiccavano nere contro l’ultimo chiarore del cielo, arrivò una grossa macchina seguita da un camion. Quelli della macchina e i soldati si passarono dei soldi, contandoli e gridando, alzando le armi e giurando su Allah. Le fecero salire tutte sul camion, che era già quasi pieno, c’erano anche uomini e bambini e puzza di urina. I bambini non piangevano nemmeno, in braccio alle madri con la testa abbandonata e gli occhi chiusi. Gli uomini guardavano fuori, senza vedere, e non parlavano. Finalmente quelli della macchina diedero un segnale all’autista del camion che partì sollevando polvere e sobbalzando sulle pietre. Stava male ma pensava che adesso sarebbero arrivati al mare e si sarebbero imbarcati e sarebbero arrivati in Italia e …Cosa poi? Ma era sicura che sarebbe stata meglio, doveva crederlo, suo padre le aveva detto così. Dopo un viaggio durato diversi giorni e diverse notti, il camion si fermò nel buio. Quelli che ancora riuscivano a stare in piedi scesero e si inginocchiarono a terra. Un rumore che lei non aveva mai sentito veniva dal buio. Somigliava a quello del vento fra le foglie, oppure al respiro della folla che mormorava preghiere, o a volte al rotolare delle perline di vetro di una collana rotta. Era un rumore cupo e argentino, che si alzava e si abbassava allo stesso ritmo del cuore, e per questo sembrava vivo. In cielo c’era uno spicchio di luna che si rifletteva giù in basso come in uno specchio. Ma lo specchio si muoveva, danzava, rompendosi e riformandosi ad ogni respiro di quell’essere invisibile. Un rumore più forte e sentì dell’acqua sui piedi, fresca, come quando li immergeva nel piccolo fiume vicino casa. Quell’acqua nuova si ritraeva e ritornava a bagnarla, come giocando e lei, per la prima volta in quei mesi, sorrise.