I racconti del Premio letterario Energheia

Questo è solo l’inizio di Sara Maria Trainotti_Padova

_Racconto finalista Premio Energheia 2018
Menzione Giuria XXIV edizione

La stanza era buia, un buio denso, profondo, un buio totale; forse era un seminterrato di una qualche casa dell’anteguerra, con i muri spessi, il soffitto basso e quell’odore persistente di muffa e umidità. L’unico accesso era una pesante porta di legno massiccio collocata nella parete nord, la parete sud invece era costellata di piccole puntine colorate, testimoni che quella stanza, anni prima, era stata utilizzata. Forse in quel luogo così tetro erano stati orditi piani bellici, o forse era solamente il rifugio di una famiglia terrorizzata dagli attacchi durante Terza Guerra. La stanza era spoglia, oltre a quelle puntine affisse al muro nulla faceva intendere di una passata presenza umana.

Dalla porta provenne un soffio d’aria, entrando nella stanza fece sollevare della polvere che ricopriva ogni cosa, quasi come se volesse celare i misteri di quel luogo tanto vecchio. Tutto ritornò immobile, ma la polvere smossa aveva rivelato la presenza di un cartoncino sul pavimento di cemento; era leggermente rovinato ai bordi, ma si riusciva ancora a distinguerne le parole stampate.

Alan Stockovic

Età 37

Sesso M

Reato Attaccamento alla religione

Un altro soffio d’aria entrò dalla porta, la calma della stanza venne disturbata per una seconda volta e il cartoncino si capovolse. Era una foto.

Ritraeva l’immagine di un uomo pelato con lo sguardo di ghiaccio fisso verso un punto al di fuori del quadro della foto. Stava baciando un piccolo crocifisso d’oro che portava al collo, il gesto sarebbe forse apparso insignificante, ma proprio quella piccola croce era messa in evidenza dal tratto rosso di un pennarello. L’uomo era affacciato ad una finestra, probabilmente di un condominio e, davanti a lui, puntato verso l’esterno, c’era un fucile di precisione.

Ogni mattina il mio papà mi accompagnava a scuola. Mi piaceva la scuola, c’erano tutti i miei amici e le maestre erano simpatiche. Il papà aveva una macchina verde e io stavo seduto sul mio seggiolino rosso e nero. Mio papà diceva che dovevo imparare la strada per andare a scuola, così ogni giorno mi insegnava qualcosa. Avevo imparato che dopo il panificio c’era un posto chiamato “banca”, dove il papà e la mamma andavano a prendere i soldi. Avevo anche imparato che sotto una tettoia le persone aspettavano gli autobus, delle grandi automobili per tante persone che arrivavano ad un orario preciso. L’insegnamento più importante però era il semaforo: non dovevo attraversare con il colore rosso, mentre al verde potevo camminare, ma solo sulle strisce bianche che qualcuno aveva dipinto sull’asfalto.

Anche se il mio papà mi spiegava tutte queste cose io in macchina mi annoiavo, quindi giocavamo.

-Papà! Vedo vedo vedo… una cosa rossa!

-Fammi pensare campione, il tuo seggiolino?

-Bravo! Hai indovinato! Ora tocca a te.

Il mio papà era bravissimo al gioco “vedo vedo vedo…”

-Vedo vedo vedo… una cosa gialla.

-Il tuo anello sull’anulare!

-Ritenta, campione.

-L’alberello che profuma!

-Giusto.

-Tocca a me! Vedo vedo vedo… una cosa con le lancette!

-L’orologio?

-No, papà! È vicinissimo a te.

-Il tachimetro?

-Cos’è?

-Questa specie di orologio che mi dice quanto veloci stiamo andando. Mi indicò il riquadro con la risposta giusta, il nome che aveva detto papà era un po’ difficile, ma lui sapeva tante cose.

-Papà ce la fai sempre! Tocca a te!

-Vedo vedo vedo… una cosa che profuma.

-Ma papà, lo hai già fatto questo!

-Non è quello che pensi, prova a guardare fuori.

Mi alzai un pochino per potermi aggrappare al finestrino che papà aveva tirato giù e poter guardare meglio fuori.

Chiusi un po’ gli occhi come facevano i personaggi nei miei cartoni preferiti.

Osservai tutta la strada, da una parte, e dall’altra.

Una cosa che profumava…

Le brioches profumavano, ma papà non le avrà notate.

Avevo trovato! La fioreria con la scritta arancione sul vetro!

-Papà, sono i fiori nella fioreria?

-Hai visto bene, campione!

-Ho vinto io papà!

Papà si fermò al semaforo, alcune persone dovevano attraversare la strada.

Continuai a guardare fuori dal finestrino, alla fine non era troppo noioso. Scoprivo tante cose nuove.

Click.

“Do you know what’s worth fighting for,

When it’s not worth dying for?

Does it take your breath away

And you feel yourself suffocating?

Does the pain weigh out the pride?

And you look for a place to hide?

Did someone break your heart inside?

You’re in ruins

One, 21 guns

Lay down your arms

Give up the fight

One, 21 guns

Throw up your arms into the sky,

You and I”

Continuavo a cantare la mia canzone preferita, ero appena uscita dal mio liceo, nessuno mi aveva salutata all’uscita. Dovevo tornare a casa dopo una normalissima giornata scolastica, quel giorno avevo conosciuto molte grandi menti: Cartesio, Cicerone, Shakespeare, tutti morti. Non c’era nessuno che mi apprezzasse, avevo idee troppo rivoluzionarie in confronto a quelle intrise di moda dei miei coetanei. Erano tutti abbigliati allo stesso identico modo, vestiti scuri, casual, scarpe nere, da ginnastica; io invece mi vestivo colorata, con pantaloni e maglie larghe. Molti mi ritenevano pazza, ma io ero semplicemente me stessa, la ragazza a cui piaceva la musica che veniva ascoltata dai propri nonni e che amava i colori. Le note di 21 Guns accompagnavano i miei pensieri mentre camminavo, avevo deciso, in quel giorno per me sarebbe stata una svolta: mi sarei tinta nuovamente i capelli di un colore diverso dal blu elettrico. Abbandonai la strada per casa e mi diressi verso la parrucchiera, dalla quale oramai andavo una volta al mese, dovevo attraversare la strada principale della città. La canzone era finita, ma decisi di rimetterla, la amavo troppo ed era perfetta per dare la giusta carica per attraversare la strada. Il semaforo era rosso, mentre mi guardavo intorno in quel mare scuro creato dalle giacche delle persone che mi circondavano, un paio d’occhi di un bambino attirò la mia attenzione. Dietro un finestrino erano spalancati verso il grande mondo esterno.

Scattò il verde.

“One, 21 guns

Salto.

Lay down your arms

Salto.

Give up the fight

Salto.

One, 21 guns

Salto.

Throw up your arms into the sky,

Salto.

You and I”

Da sempre mi piaceva saltare solamente sulle strisce bianche quando attraversavo la strada, ancora meglio se nelle orecchie avevo una bella canzone, mi divertivo di più.

Click.

Quel giorno era venerdì e io ogni venerdì andavo a trovare Maurizio. Prima di andare a trovarlo dovevo passare in fioreria a comprare dei crisantemi, a lui piacevano tanto. Tenevo la borsetta ben stretta tra le mani, le persone con brutte intenzioni per me erano sempre dietro l’angolo, pronte ad aggredire una povera vecchietta come me. La fioreria si trovava giusto accanto al panificio di Antonella, anche le sue brioches piacevano tanto a Maurizio. Fuori dall’entrata erano esposte tante varietà di fiori che quasi coprivano la grande scritta arancione acceso “Fioreria Arcobaleno”, per me potevano anche coprirla del tutto, quel colore di certo stonava con l’architettura della città, avrei preferito un bianco o un azzurro pallido. Nonostante questo ogni venerdì io andavo alla Fioreria Arcobaleno per comprare dei crisantemi a Maurizio, quindi spinsi la porta d’entrata e chiesi alla fiorista il mio solito mazzo di crisantemi.

-Signora, anche oggi deve andare al cimitero?

-Certamente signorina, come sa bene ogni venerdì vado a trovare mio marito Maurizio.

-Un grande uomo onesto suo marito, pace all’anima sua.

Cosa ne sapeva lei del mio Maurizio? Ovvio che fosse un uomo onesto, lui era un signore a modo, forse un po’ antiquato nei modi, sempre rispettoso delle persone che erano attorno a lui e di conseguenza era amato pure dalla fiorista. Mi diressi verso l’uscita della fioreria annusando i crisantemi che presto avrei posato sulla tomba di Maurizio, era un profumo a me familiare; del tutto differente rispetto all’odore di smog che ormai riempiva il mondo. Un profumo che mi richiamava alla memoria le camicie da stirare o le lenzuola del letto, un profumo di casa, il profumo che avrei sempre associato a Maurizio. Mentre aprivo la porta avvicinai i fiori al naso e inspirai profondamente.

Click.

-Signore, c’è il signor Perin in sala che sta attendendo per il vostro incontro.

-Anna, sono ancora per strada, inventati qualche scusa con il nostro cliente, non desidero affatto che il signor De Santi mi licenzi a causa di un po’ di traffico.

-Certo signore, provvederò immediatamente. Lei però si sbrighi.

Possibile che proprio quel giorno dovesse esserci traffico? Avevo un importante appuntamento e c’era un’alta probabilità che avrebbe di molto favorito l’azienda in cui lavoravo. Ero sceso dal taxi prima di giungere davanti all’ufficio perché ero rimasto imbottigliato nel traffico mattutino della via principale della città, ora stavo camminando in mezzo alla folla di affaristi e avvocati stringendo la mia valigetta di pelle che conteneva degli importanti documenti. Il mio cellulare squillò nuovamente, era De Santi.

-Carlo! Che fine hai fatto? Perin ti sta aspettando, muovi il culo che ti ritrovi!

-Signor De Santi sono quasi arrivato, in un minuto sarò lì.

-Se tra sessanta secondi non sarai seduto dietro alla tua scrivania, giuro che ti licenzio e non me ne frega niente della tua laurea alla Normale!

Dovevo assolutamente iniziare a correre, ne andava della mia vita.

Una mano rugosa e lercia mi afferrò la caviglia, apparteneva ad una vecchia donna che era seduta con la schiena appoggiata ad un edificio. I suoi capelli erano radi e aveva gli occhi infossati, era una mendicante.

-Signore, la prego. Non ho più una casa. Non ho cibo. La prego, mi aiuti.

La osservai qualche momento, aveva certamente bisogno di una mano. I suoi occhi mi imploravano, si sarebbero accesi di speranza anche con solamente 50 centesimi. Volevo aiutare quella donna, ma non avevo tempo.

-Signora, guardi vado di fretta. Mi dispiace.

Continuai a camminare, il signor Perin mi stava aspettando da troppo tempo; ma quegli occhi infossati e pieni di speranza nei miei confronti mi tormentavano. Oltrepassata la banca mi fermai. Dovevo aiutarla in un qualche modo, anche solo dandole un paio d’euro. Mi girai e tornai indietro. La donna era ancora appoggiata alla parete dell’edificio e veniva ignorata da tutti.

-Signora, vanga con me. La porto a casa mia coì si potrà fare una doccia e potrà mangiare qualcosa.

-Che il Signore la benedica!

E al Diavolo il signor De Santi e il signor Perin, preferivo aiutare una signora che aveva veramente bisogno del mio aiuto.

Click.

Sulla parete di un anonimo appartamento erano appese decine di foto. In ognuna di esse un soggetto, un particolare era evidenziato dal tratto grosso di un indelebile color rosso. Un uomo stava staccando dal collage quattro foto, l’ultima era stata appena scattata. La prima era lo scatto di un’anziana signora all’uscita di una fioreria, aveva un mazzo di crisantemi fra le braccia, lo stava annusando con un’espressione di dolce rimpianto in volto.

La seconda ritraeva una Audi in coda al semaforo, il segno rosso circondava il riflesso sul finestrino di un bambino con le mani appoggiate al vetro.

La foto seguente era quella di un uomo in giacca e cravatta che tendeva le mani a una senzatetto molto magra e dai capelli ingrigiti.

L’ultima era uno scatto davvero sorprendente, bisognava sicuramente fare i complimenti al fotografo.

Era stato talmente accorto da riuscire a catturare il momento esatto nel quale una ragazza dalla capigliatura blu stava salando con le braccia aperte come se avesse le ali e la bocca aperta in una risata. L’uomo estrasse una cartellina dal cassetto di una scrivania che si trovava esattamente sotto al collage di foto. Era una scrivania in compensato, semplice e totalmente spoglia; non una penna, nemmeno un granello di polvere si posavano sulla sua superficie. La scritta Z1 era stampata sulla copertina della cartellina, l’uomo pelato la aprì e ne estrasse un foglio.

Leonardo Zotti

Età 7

Sesso M

Reato Eccessiva curiosità d’informazioni

Beatrice Vescio

Età 17

Sesso F

Reato Forte personalità, espressa tramite colori e musica

Ornella Pattaro in Martinelli

Età 73

Sesso F

Reato Attaccamento ai defunti

Carlo Falini

Età 39

Sesso M

Reato Disponibilità verso i non-cittadini

Abbinò ad ogni descrizione una foto per poi prendere un telefono fisso e digitare un numero privato.

-Agente SIT589, devo parlare con Il Capo riguardo la missione Z1.

-Trasferisco immediatamente la chiamata.

L’uomo detestava aspettare che la chiamata venisse trasferita, ma nemmeno lui che era l’agente dalle più grandi capacità aveva il privilegio di conoscere l’identità e il recapito telefonico del Capo.

-I bersagli della Z1 sono stati individuati. Posso procedere, Capo?

-SIT589, sempre efficiente, proceda con l’inizio della Z1. Il prossimo anno, nel 2073, il mondo che conosciamo sarà diverso, la missione è il preludio di ciò che avverrà. Questo è solo l’inizio.

L’uomo chiuse la telefonata e scagliò il telefono fisso contro la parete, si ruppe.

Aprì una valigia nera e ne estrasse il suo Barrett cal.50, lo posizionò davanti alla finestra, mirava esattamente al semaforo, doveva solo aspettare.

Mentre stava aspettando si mise a pensare, anche se non doveva farlo, poteva pensare solamente alla missione che gli era stata assegnata.

In fin dei conti lui era diverso. Quanti uomini nel mondo avrebbero saputo svolgere la missione? Pochi, forse solo lui; molti lo temevano a causa delle sue abilità.

Afferrò la catenina d’oro con il crocifisso che portava al collo e la baciò guardando fisso verso l’esterno.

Smise di pensare.

Prese la mira.

Click.