La cornice da sogno, quel crocevia tra preistoria e futuro che fa della città dei Sassi il palcoscenico perfetto per ogni sorta di evento.
_ di Lucia Bellaspiga
Inviata di “Avvenire”
Presidente giuria XXIV edizione Premio Energheia
Amo l’etimologia. Sono convinta che non esista nulla di più aderente alle cose, del nome che portano. Così, appena Felice Lisanti mi ha contattata per chiedermi se volessi far parte della giuria del Premio “Energheia”, ho fatto la cosa più bizzarra: non ho guardato l’agenda, ho cercato il significato di quel nome. Energia? Troppo banale… Il vero significato secondo Aristotele è “manifestazione dell’essere”, una formula aperta che include innumerevoli sfumature di forza e vigore…
Ok, come spirito non c’era male, primo punto a favore di un sì. E poi? E poi c’era Matera, la cornice da sogno, quel crocevia tra preistoria e futuro che fa della città dei Sassi il palcoscenico perfetto per ogni sorta di evento. Confesso che a convincermi è stato in primo luogo il desiderio di rivedere Matera, un tempo incredibilmente marchiata come “vergogna d’Italia” per le sue case grotta, oggi per le stesse case grotta assurta a Capitale culturale del nostro Continente. Infine c’era il tono leggero, quasi naïf, del papà del Premio, quel Felice Lisanti che non avevo mai incontrato, ma che anche al telefono si presentava diverso dai classici fondatori di premi letterari in Italia, in genere seriosi e ben consapevoli di se stessi. Felice no, era quasi scanzonato, come a dire “ci teniamo che tu sia dei nostri, ma poi vedi tu, nessuno ti obbliga”: la formula vincente, l’approccio cui non puoi dire di no. Ed “Energheia” fu.
Chi ci ha messi in contatto è Cristina Foti, giovane e attivissima presidente della Società Dante Alighieri di Tripoli, in Libano, conosciuta a Milano un anno prima, nel giorno in cui il capo dello Stato, Sergio Mattarella, incontrava tutti i rappresentanti della Dante Alighieri nel mondo… È stata lei a scommettere su di me, “Nel prossimo Energheia devi essere assolutamente in giuria” mi ha promesso, e quell’invito “esotico”, arrivato da una parte di mondo così vicina in chilometri ma abissalmente lontana a causa di una guerra mai finita, simbolo di un mondo alla fine tanto piccolo, mi ha persino commossa.
Ho fatto (e tuttora faccio) parte di altre giurie letterarie, poche (sono selettiva) ma buone (anzi ottime), e a cose fatte posso dire che “Energheia” era l’esperienza che mi mancava: agile e snello, è dedicato al racconto breve, un genere che personalmente ho sempre prediletto sia come lettrice che come autrice. Inoltre ai candidati garantisce imparzialità e coerenza, le qualità che tracciano la netta differenza tra un Premio serio e la pletora di premiuncoli che affollano oggi il sottobosco culturale del nostro Paese.
Lo confesso, se c’è un sentimento che mi nasce dentro ogni volta che valuto le opere in competizione è un mix di senso di responsabilità e di colpa: mi immagino l’ansia con cui il singolo autore attende il nostro verdetto, le sue aspettative, le speranze che ripone nel nostro “sì” o “no”, e sento tutto il peso di una decisione che non è epocale, lo so bene, ma che per lui o lei può significare l’esordio di un futuro o invece l’addio a un sogno. Per questo ho apprezzato di cuore il “metodo Energheia”: noi della giuria siamo stati preceduti da un esercito di settecentocinquanta lettori, che hanno letto per primi gli oltre seicento racconti arrivati da tutta Italia. È la cosa più giusta, perché i giurati (così come avviene per i critici d’arte) possono giudicare come vogliono, ma poi la storia insegna che è il pubblico a decretare il successo di un’opera, e tante volte il suo gusto contrasta con quello degli “esperti”.
A noi della giuria, quindi, è toccata la parte più facile e più difficile insieme, ovvero scegliere tra i dieci racconti finalisti: manco a dirlo, tutti e dieci eccellenti. Ed ecco allora la caratteristica che più mi ha colpito del Premio “Energheia”, e cioè il livello qualitativo dei componimenti, veramente originali nei contenuti, ineccepibili nella forma. Scontato? Niente affatto, assicuro che l’Italia è piena di presunti “scrittori” che inviano ciò che andrebbe cestinato… Io e i miei due compagni di giuria – Martino Gozzi e Tiziana D’Oppido – li abbiamo letti “alla cieca”, senza conoscere i nomi, l’età e il genere degli autori, divertendoci anzi a scommettere su chi potessero essere, un giovane o un anziano?, uno studente o piuttosto un pensionato?, uomo o donna? Aspettative puntualmente contraddette nel momento della premiazione, quando scoprivamo insieme al pubblico i loro volti.
Nei giardini lussureggianti del Museo Ridola, cuore verde di Matera, si è svolta una cerimonia informale ma elegante, leggera ma competente, seria ma non paludata, durante la quale tutti i finalisti hanno potuto raccontare se stessi e vivere insieme al folto pubblico l’attesa del verdetto finale. Ed è lì che è emerso il vero spirito di “Energheia”, che poi è lo scopo per cui è nato: avvicinare i giovani alla lettura e alla scrittura, attività oggi neglette in Italia (in Europa siamo il fanalino di coda), e se il risultato ottenuto fosse anche solo che settecentocinquanta persone hanno letto e oltre seicento altre persone hanno scritto, ne sarebbe pienamente valsa la pena.
Come dono ho ricevuto l’antologia che raccoglie i racconti finalisti dell’edizione precedente, la XXIII, in italiano e nelle diverse lingue originali in cui sono stati scritti, dunque chi il prossimo anno mi succederà e avrà l’onore di presiedere il XXV Premio “Energheia” avrà per le mani i “nostri” racconti (un po’ “nostri” lo sono, visto che li abbiamo letti e riletti, analizzati, commentati, discussi, confrontati, prima di raggiungere l’unanimità nel voto). Ci penso e invidio un po’ il futuro presidente, perché il suo sarà l’“Energheia” che compie il quarto di secolo, nell’anno in cui Matera sarà Capitale Europea della Cultura.
E poi perché io, a differenza sua, la mia occasione l’ho già spesa, ho già divorato con gli occhi la bellezza struggente di Matera la mattina aprendo le persiane del mio Sasso, ho già camminato a piedi nudi tra le chiese rupestri, la pelle a diretto contatto con la pietra e con la storia. Lui (o lei) mentre scrivo queste parole sta ancora godendo il suo sabato del villaggio, nel cuore l’attesa, negli occhi le promesse della città più magica del mondo. Lo ammetto, farei cambio!