Massimo Cacciari a Matera
_di Veronica Mestice
Perfino in un tempo nel quale anche una razionalità più disincantata sembra poter fare a meno di qualsiasi fondamento al di fuori di se stessa, siamo ospitati da grandi miti. Ottimismo e inquietudine si alternano nella scena della modernità, rendendo un unico interrogativo incombente sullo spettro europeo: sono mai esistiti miti capaci di determinare l’Europa? Ne ha parlato Massimo Cacciari – filosofo, intellettuale tra i più importanti del nostro tempo – dinanzi ad un pubblico galvanizzato nel corso della sua lectio magistralis dal titolo “I grandi miti dell’Europa”, tenutasi il 4 giugno 2019 nell’Aula Magna del Campus universitario di Matera e organizzata dall’ Unibas in collaborazione con l’associazione culturale “Energheia” e il Circolo La Scaletta.
La patria europea fugge come l’Italia virgiliana, prende il mare nella sua storia e naviga in una prepotente insecuritas che non trova pari, sotto i cieli noncuranti del suo destino. L’Europa, infatti, è naufraga per tradizione. Basti pensare alla ninfa fenicia Europa che venne tradotta con l’inganno dall’Asia: ella attraversò il Mediterraneo, giungendo a Creta sul dorso del toro-dio, Zeus. Una genesi drammatica, la sua, movente di un incessante inquietudine non dissimile dagli esodi di decine di migliaia di persone che raggiungono oggi l’Italia dalle coste dell’Africa. Terra di approdo e di naufragio, l’Europa odierna – secondo Cacciari – consta di un multiverso di narrazioni che si fraintendono le une con le altre, mitologie per l’appunto, che non giungono mai a fondare un ethos, laddove per esso si intende la dimora in cui uomini di una stessa cultura risiedono. Ethos e Mithos nella Grecia antica, così come nella Roma virgiliana, erano fondativi del carattere di un popolo, nonché indisgiungibili. Tuttavia, nella nostra Europa è alquanto impossibile ritrovare il valore attribuito al mito greco e al mito romano, piuttosto li incorpora per traditio, senza alcuna sintesi. Testimonianza di ciò è la fallace comunicazione tra i topoi che formano l’arcipelago europeo, la costante polemica che li accompagna.
Il mito europeo autentico ruota intorno all’idea del viaggio, inteso come nostalgia dell’andare, nostalgia del sempre oltre, è il continuo infuturarsi dantesco che comporta l’esercizio dell’infinita interrogazione, la filosofia quindi. Ma il viaggio europeo è verso il nulla, verso un luogo che non c’è, che richiama la scoperta e che comunque non ha nulla a che fare col mondo abbandonato. In tal senso, i miti europei sono miti antietici, contro ogni sedes, miti di abbandono dell’ethos, che trovano la loro radice suprema nell’Ulisse dantesco, travolto dalla nostalgia dell’andare oltre le colonne d’Ercole, fino al naufragio nel niente. Il poema dantesco costituisce il singolare esempio di un viaggio alla ricerca di un ethos, attraverso tutti gli stadi del conoscere: dallo smarrimento alla redenzione, senza compiersi mai definitivamente. L’ineffabilità, l’interrogazione, l’inquietudine permangono radicalmente e costituiscono scomposte conseguenze di un terribile disagio: la forza del pensiero rende impossibile l’agire. Tale irrisolutezza sarà Shakespeare a trasmutarla nell’Amleto, così come Goethe nel Faust. Queste figure – Dante, Amleto, Faust, Dongiovanni – che lottano incessantemente contro l’ethos sono il simbolo del disincanto che colpisce, atterrisce e inquieta l’uomo moderno, che non sarà mai compiuto. Quindi, è naturale chiedersi come poter proseguire la navigazione: in stultifera navis o in navicula cum gubernator?
Mettere un ordine nella “mente inquieta” dell’Europa che cerca con ogni forza di barricarsi e difendersi è ardua impresa. L’Europa è una famiglia inquieta, in costante navigazione, è un “dramma”, nel senso greco letterale, ossia azione incessante. Cercare di navigare decentemente è l’auspicio che il filosofo veneziano ha precisato al termine della sua lectio, dialogare sulle rotte la soluzione. Ma per il momento non c’è scampo. Siamo tutti imbarcati.