Hanno orologi gli indiani Hopi?
_di Roberto Vacca
Benjamin L. Whorf (1897-1941), ingegnere, analizzava le cause di incendi per una compagnia di assicurazione. Un deposito di benzina era stato distrutto da un fuoco partito da una zona in cui c’era un cartello BIDONI VUOTI. Quel messaggio aveva ispirato l’imprudenza di chi era andato a fumare proprio lì. I bidoni erano vuoti di benzina, ma pieni di vapori infiammabili. Così Whorf si appassionò allo studio dei linguaggi. Studiò a Yale con E. Shapir e con lui costruì una teoria del relativismo linguistico. Raggiunse notevole fama (ma i glottologi non lo presero molto sul serio). Il suo “Language, Thought and Reality” fu pubblicato postumo dall’MIT. E’ un libro curioso. Racconta i suoi studi sulla lingua Hopi e dice che la lingua Hopi non contiene parole, forme grammaticali o espressioni che si riferiscono al tempo, passato,presente o futuro, né alla durata di eventi. Sembra impossibile.
Gli indiani Hopi sono poche migliaia. Vivono su tre colline piatte (mesas) nel Nord-Est dell’Arizona. Il nome del loro popolo è Hopituh Shi-nu-mu: “il piccolo popolo pacifico”. La loro lingua è del gruppo Uto-Azteco. Whorf definì la modalità dello Hopi per analogia con quelle delle lingue indoeuropee. Parla di modi: citativo, inibitivo, potenziale, denotante incertezza, concessivo, necessitativo etc. Però gli esempi sono scarsi. La lingua Hopi per indicare fenomeni ripetitivi raddoppia la seconda sillaba del verbo e si aggiunge –ta. Ad esempio: hari = “ha un angolo tondeggiante”; hari-rita = “linea ondulata”; cami = “taglio sul bordo”; – cami-mita = “frangia”.
Secondo Whorf lo Hopi è più adatto delle lingue europee per descrivere il mondo. Non usa termini per denotare oggetti, ma parole che indicano processi: “qualcosa di ondulante” quindi un’onda che può essere in un fluido o in un campo elettrico dunque un modo di esprimersi buono per esprimere concetti di fisica. Sorge il dubbio che Borges avesse letto Whorf, prima di inventare le lingue del mitico Uqbar. Una era fatta solo di verbi e “la luna sorge sul fiume” si dice “luneggia sul fluente”. Una era fatta solo di aggettivi e “luna” si diceva “aereo chiaro su oscuro-tondo”.
Il relativismo linguistico sostiene che la struttura delle lingue determina il pensiero, la cultura e perfino la scienza di un popolo. Per parlare di scienza però, bisogna averla studiata bene. Le analogie vanno usate con prudenza. Non ha senso dire che gli scienziati proiettano le loro strutture linguistiche sull’universo, né che le necessità della logica sono illusorie perché sono imposte da strutture grammaticali occidentali.
Whorf si è anche appoggiato a supporti deboli. Fra questi: lo psicanalista Jung e tale Ouspenski che cita ampiamente mischiandoli con i matematici Whitehead e Riemann. Arriva alla conclusione che il linguaggio permette premonizioni del mondo sconosciuto e più vasto, del quale il mondo fisico costituisce solo la superficie o la pelle, mentre pure in esso NOI SIAMO e ad esso APPARTENIAMO. Cito: “Natura e linguaggio sono internamente simili: idea nota per secoli a molte culture elevate la cui continuità storica coprì un periodo più lungo di quello della cultura europea. In India questa idea ha informato l’arte mantrica, inizialmente magia primitiva, poi comprensione dell’affinità fra linguaggio e ordine cosmico e, a livello più alto, Mantra Yoga che amplifica mille volte le forze dell’organismo.” Qui andiamo male. Whorf suggerisce che la cultura occidentale dovrebbe raggiungere una comprensione più ampia del linguaggio; iniziare una cultura della coscienza che conduca a una grande illuminazione a un Mantra Yoga della scienza. Definisce “yoga” come “cessazione completa dell’attività della natura psichica”, ma è assurdo che si comprenda di più senza attività psichica.
Whorf e altri ci vorrebbero indurre a considerare atteggiamenti mistici o a volgerci verso nuovi modelli dell’universo. Questi approcci, però, non portano a capire il mondo, né a prevederne l’avvenire. Invece le procedure logico-sperimentali europee ci permettono di capire e prevedere.
Infine, una considerazione sugli Hopi: Dick Grune ha fatto una grammatica della lingua Hopi da cui risulta che il passato e il futuro si costruiscono aggiungendo i suffissi -era e -ni (wari = corre, wari-era = correva, wari-ni = correrà). Secondo alcuni commentatori, Whorf avrebbe tratto le sue nozioni di lingua Hopi parlando con una sola persona. Così avrebbe raggiunto conclusioni avventate e non attendibili. Gli Hopi parlano correttamente del tempo.