I brevissimi 2019 – Tutti i colori di un verde, Monica Malfatti_Mezzolombardo(TN)
Anno 2019 (I colori dell’iride – Verde)
Sedevo nell’afa estiva di un treno rumoroso. L’aria del finestrino semiaperto non bastava ad asciugare la goccia di sudore che mi colava tra i seni, disegnando sulla mia canotta color turchese una traiettoria blu, come il mare del golfo che bevevo da bambina, mentre provavo a nuotarci dentro scuotendo le braccia quasi fossero ali.
Sorrisi a quel ricordo mentre il treno entrava in galleria e, quando ne uscì, il sole m’inondò lo sguardo. Chiusi di scatto gli occhi. Rimase una palla rossa a ricoprirne le retine. Rossa, come il sangue che mi era colato fra le gambe l’estate che Cesare mi voleva sposare. “Ti amo”, disse. E mi amava così tanto che, con la furia dei suoi vent’anni traditi, prese a calci Guido fuori dalla cabina dove ci aveva trovati insieme. Ma Guido resistette e lo spinse, correndo via. Cesare allora si voltò verso di me. Mi cinse la vita, ma non era un abbraccio. Mi prese i capelli, ma non erano carezze. Mi morse sul collo, ma non erano baci. Poi mi aprì le cosce. Non era amore. Rientrai in casa al mattino: il sole, rosso, stava sorgendo.
Scossi la testa, come a levarmi di dosso il peso di un segreto insopportabile. Avevo scelto di studiare al nord anche per andarmene da quel ricordo. In fondo, su era meglio.
Su c’era il bianco, la neve invernale che a casa non avevo mai visto. Davide ne prendeva un poca, l’assaggiava e me la gettava sulla schiena, facendomi rabbrividire di freddo e piacere.
Su c’era il bianco, la polvere che avevo provato dopo che Claudio mi aveva pedinata. Veniva ad aspettarmi fuori dalle aule dell’università solo per seguirmi fino alla fermata dell’autobus. Sentivo il suo sguardo studiarmi la figura, incerta sotto il peso dei libri. Poi una sera c’era quella festa. M’invitò senza chiedermi il nome.
Su c’era il bianco, le lenzuola candide che stonavano con il putridume di ciò che avevo intorno. Bottiglie, bicchieri, cibo avanzato, profilattici usati, corpi nudi.
Su c’era il bianco, la nebbia che invadeva le strade. Gente che ti vede senza guardarti o che, guardandoti, non fa domande, perché troppo educata per invaderti lo spazio nel tempo di un sorriso.
Su c’era il bianco, i denti di Davide impegnato a mordersi il labbro davanti al fantasma che aveva di fronte. I miei occhi, cerchiati di viola, cercavano conforto nella profondità marrone del suo sguardo tenero. “Sai”, gli dicevo, “speravo solo di ritrovarci la neve”.
Su c’era il bianco, camici di inservienti, infermieri, dottori. “Quanto?” “Due anni”. “E a casa?” “Niente”. A casa niente. A casa non ci tornavo.
Ci andai soltanto quando morì mia madre, la cipria rosa a nasconderne il pallore delle guance inerti. Rosa, come il mio primo grembiulino di scuola, che le sue mani mi avevano cucito addosso. Rosa, come il colore lucido dei suoi baci sulla fronte. Rosa era il suo nome.
Ci andai, sudai. Sudai le dosi che mi mancavano. Sudai i crampi allo stomaco, all’utero, quasi stessi per abortire. E forse sì, dovevo abortire la figlia tossica che mi aveva abitato dentro negli ultimi due anni. Sudai il dolore alle ossa. Sudai i brividi nervosi che mi scuotevano.
“E a casa?” “A casa niente, perché sembravano reazioni normali per una figlia in lutto”.
Ma non mi bastava un po’ di rosa per coprire tutto quel bianco. Fu Davide a spiegarmi che il bianco della neve se ne va dopo l’inverno, con il giallo dei fiori. Il suo giallo, perché gialle sono le palline dello sport che ama giocare, tra campi di terra e tartan, spedendole all’avversario come le raffiche di neve che mi aveva fiondato addosso quando c’eravamo conosciuti.
Lo guardai dormire sul sedile di fianco. Finalmente avrebbe visto il mio mare, il mio blu. Gli leccai la cicatrice che aveva in fronte, all’attaccatura dei suoi capelli cortissimi: era il nostro gesto. La signora seduta davanti a noi mi guardò disgustata. Le risposi con un sorriso.
Se blu e giallo s’incontrano e non si perdono, nasce il verde: una speranza più forte dell’invidia degli altri, di cui già ne riflette il colore.