Lo scirocco di Francofonte
racconto di Maurizio de Giovanni
Lo senti il vento? Questo vento caldo in pieno inverno, che scuote le imposte pure al pianterreno. Scirocco. Sempre lo scirocco.
Lei non ci voleva venire, all’inizio. Mi diceva: tu mio uomo, mi devi mantenere. Se io devo lavorare, allora perché ce l’ho un uomo? Ma poi lo vedeva pure lei, che qua non c’è lavoro, che i cantieri aprono e chiudono, che quei quattro negozi che ci stanno in paese prendono solo belle ragazze a lavorare. E io, sempre a bussare di porta in porta, e solo lavoretti. Poi il posto è piccolo e lo sanno tutti, di quelle due fesserie che ho fatto, sempre per fame. E di quei tre mesi di gabbia, dieci anni fa. Sono marchi che ti rimangono sulla pelle, peggio di un tatuaggio.
E quindi si è messa a cercare lei, e ha trovato te. A me pareva strano, uno dice: la badante di un vecchio. Tu però tanto vecchio non parevi, più di ottant’anni, d’accordo, ma ben vestito, profumato, il fermacravatte d’oro, le belle scarpe. Solo per vedere, ci sono venuto anch’io: tu mi hai ricevuto, abbiamo parlato. Ricordavi i miei parenti, eri cordiale, gentile. Mi hai chiesto che facevo, e quando hai capito che non facevo proprio niente mi hai detto che mi avresti chiamato per qualche cosetta, qui da te.
E mi hai chiamato: io so fare un po’ di tutto, falegname, idraulico, fabbro. Ogni volta venti euro, mi facevano comodo eccome. Lei pure era contenta, mi sorrideva mentre lavava i piatti o spolverava, bella com’è. E’ bella, bellissima. Ma tu lo sai, no? Lo sai bene. Fin troppo bene.
Tutto era a posto, insomma. E tu hai dovuto per forza rovinare la situazione. Ma dico, che ti eri messo in testa? Pensavi che non me l’avrebbe detto? O magari che io, per non perdere questi quattro soldi, avrei accettato in silenzio? Be’, hai sbagliato. Malamente.
Non si è alzata, ieri mattina. Teneva la faccia verso il muro. Ha detto che non si sentiva bene, un po’ di febbre. E il vento, questo vento caldo, dalla finestra fino alle ossa, ai cervelli.
L’ho presa per una spalla, la volevo guardare negli occhi. E ho visto il livido. L’ho minacciata, per farla parlare: non voleva dirmi niente. E poi mi ha raccontato tutto. Che l’aspettavi dietro ogni angolo della casa; che ti sbottonavi i pantaloni, tirando fuori quelle carni flaccide; che l’abbrancavi quando passava vicino, le tue manacce luride sul suo seno, sul culo. Che lei prima rideva, poi protestava, poi aveva paura. Ma pensava: e che ci mangiamo, se me ne vado? Lo faceva per me, insomma. Per me. E poi eri diventato violento.
Forse potevo chiuderla così, sai. L’ho pure pensato. Non la mandavo più, e basta. Un altro posto si trovava, per lei o per me: si andava avanti.
Ma poi il vento, il vento caldo che urlava fuori mi ha detto: ti deve dare altri venti euro, di quando hai sostituito il rubinetto del bagno. E perché li dovevo perdere? Il lavoro si paga. Tutto, si paga.
E allora l’ho chiusa a chiave in casa e sono arrivato qua. Mi hai detto: e lei dove sta? Perché oggi non è venuta? Che faccia tosta, che hai. Ti butti avanti, per non cadere all’indietro: lo fai sempre. Io ti ho detto dei soldi, e appena ti sei girato per andarli a prendere ti ho dato una bella botta in testa.
Ti sei svegliato col nastro adesivo sulla bocca, e legato per bene. Avevi la paura negli occhi, e mugolavi forte: ma fuori c’era il vento, e lui mugola più forte di te. Nessuno ha sentito.
Lo sai, so fare un po’ di tutto. Da ragazzo ho fatto perfino un anno da Tore il macellaio, poi è arrivato il nipote e me ne sono dovuto andare. E so dove tieni i coltelli.
Ho tolto prima i piedi, pensando a come le correvi dietro per la casa, silenzioso per sorprenderla. Hai le ossa dure, vecchio: come un bue. E il vento, come se sapesse, si è alzato ancora più forte. Poi le mani, che le allungavi addosso. Solo le mani mie, la possono toccare.
Hai un sacco di sangue, vecchio. O meglio, ce l’avevi. ora invade il pavimento, e va verso la porta.
Alla fine te li ho aperti io, i pantaloni. Dagli occhi ho visto che capivi ancora, anche se non mugolavi più. Giusto: dovevi capire. E ho tirato fuori quella tua carne flaccida. Non c’è stata fatica, là. E’ venuto via facile, un solo taglio netto.
E mentre il sangue cercava la sua strada fino alla porta, e poi scendeva il gradino e arrivava al marciapiede, mi sono seduto a fumare e a guardarti morire.
E a sentire la canzone del vento, del nostro vento caldo che urla per strada. Come una belva che avuto quello che voleva.
Maurizio de Giovanni per Nebbia Gialla, febbraio 2011