La mano dolce e rugosa della città accarezza il Premio Energheia.
– di Michele Salomone_Associazione Energheia.
La mano dolce e rugosa della città ormai accarezza il Premio letterario Energheia come un suo figlio legittimo, magari un po’ stravagante, ma non più velleitario: l’affetto e l’entusiasmo intorno a questa iniziativa, azzardata oltre quasi diciotto anni fa, sono andati crescendo di anno in anno e incoraggiano a proseguire, per lasciare aperto questo spazio in favore di tutti coloro che intendono incontrare il mondo attraverso l’impegnativa disciplina della scrittura. Dietro ognuno dei lavori pervenuti c’è una tensione che emoziona e premia, di per se stessa, lo sforzo degli organizzatori perché ogni composizione, anche la più modesta, integra e riscrive la biblioteca universale, intessendo trame segrete con la letteratura di tutte le epoche.
Nel cimento solitario di ogni autore pulsa il desiderio di perpetuare il patto di fiducia con la parola e – attraverso quella – con la comunità degli uomini, per offrirsi con la propria immaginazione alla immaginazione degli altri.
Non si tratta qui di intravedere nelle pratiche della scrittura narrativa improbabili missioni didascaliche o addirittura redentrici, ma – più modestamente (?) – di farsi sorprendere, di edizione in edizione, dalla rinnovata disponibilità dei tanti partecipanti a consegnarsi alla indiscreta perspicacia dei “lettori”, a offrirsi all’esplorazione dello sconosciuto, a consentire – infine – la possibilità di relazioni “rischiosi” con l’altro.
Chi chiedesse troppo alla letteratura andrebbe incontro ala frustrazione dell’anonimo scrittore che – secondo Canetti – a una settimana dallo scoppio delle seconda guerra annotava: “Se fossi davvero uno scrittore, dovrei essere capace di impedire la guerra”; ma chi ha coltivato la fiducia nelle parole e continua – come i nostri autori – a farlo ancora, ha forse impedito (e continuerà a impedire) piccoli e grandi conflitti.
Se è vero, infatti, che “le guerre si combattono a causa delle parole” (Koestler), non possono che essere le parole a scongiurarle, anche quelle della narrativa, che unisce – più o meno consapevolmente – mondi tra loro lontani.
Se nell’esercizio di lettura, risiede la virtuale propensione a conoscere l’altro oltre il pregiudizio, è in quello di scrittura che – con movimento preventivo e unilaterale – si acconsente, senza riserve, a quella possibilità.
Ed è tanto più vero in manifestazioni come questa, nelle quali l’aspirazione alla fama appare istigazione secondaria.
In Piazzetta Pascoli o in Piazza Sedile, in questi anni si sono proposti scrittori di generazioni diverse (dai teen agers agli over 65), di lingue diverse (con Energheia Europe) e continenti diversi ( con Energheia Africa Teller); forse la lista “borgesiana” dei piccoli conflitti non esplosi si è allungata…