I brevissimi 2001 – La metamorfosi di Francesco Bianco_Roma
anno 2001 (I sensi – Gli odori)
Quella mattina mi svegliai in preda a un singolare formicolio. A muoverle,
dita di mani e piedi davano l’ impressione di essere meccanismi cigolanti;
su di esse, uno strato di tessuto secco e grinzoso si tendeva e ripiegava
con insolita difficoltà. La cute frizzava.
Inspirai, fra il sonno e la veglia, saggiando l’ aria: un puzzo nauseante
offese i miei sensi, riportandomi definitivamente alla ragione. Sudavo
copiosamente.
Risolsi di aprire la finestra: doveva essere stata una notte afosa e il denso
calore accumulatosi era certamente causa di tanto malessere. A gran fatica
scesi dal letto; Dio, quanto mi sentivo pesante! A passi incerti mi accostai
alla parete, nel buio totale. Ruotai la maniglia e premetti vetri e imposte:
una folata gelida, che a me parve semplicemente fresca, mi schiaffeggiò.
Rinascevo! Per un istante sentii asciugarsi le infinite goccioline sudaticce
che mi sentivo su fronte e zigomi; le gambe ripresero vigore e stabilità; i
polmoni si dilatarono in un’ eco quasi inquietante, di caverna che si
riempia d’ aria dopo secoli di assoluto ermetismo.
Era un mattino di intensa attività lavorativa, per me come per il resto della
città: un torrente di automobili già guizzava sotto un cielo terso; il sole
sarebbe sorto di lì a pochi minuti da dietro il civico numero 1, dirimpetto
al mio appartamento.
Respirai una seconda volta, per scacciare definitivamente la condensa
stantia della notte, ma il tanfo col quale mi ero svegliato riprese a
solleticarmi l’ olfatto. Cosa emanava un simile odore?
Guardai ancora il cielo: azzurro e assolato, come una dichiarazione di
innocenza. La soluzione mi si presentò allora ovvia: ero io! Ero io che
puzzavo in quel modo! Non so spiegare come, ma solo allora mi puntai gli
occhi addosso; nei minuti precedenti non l’ avevo ancora fatto.
Un fitto intrico di peli ricopriva le mie braccia: un’ autentica pelliccia sozza
e spettinata che nascondeva il profilo irregolare del radio destro, fratturato
anni addietro, e quello elegantemente regolare del sinistro, intonso.
Raggelai: raccolsi ogni energia residua per muovere quel corpo tornato all’
inerzia di pochi minuti prima e mi avventai su uno specchio. Vidi quel che
segue: un nodoso tronco di quercia occupava pressappoco quattro quinti
della superficie riflettente; a stento, fra le pieghe adipose e il manto
putrido, peloso e nero, riconobbi le caratteristiche degli arti: le giunture,
spugnose e ridondanti, e le dita, gonfi mozziconi di sigaro. A bocca aperta
contemplai – con lo sguardo e l’ olfatto – i flussi di aria pestilenziale che
emetteva la caverna orale, anfora sbeccata sulle labbra; ne raccoglievano
testimonianza non due narici, ma trombe di pietra lavica rivestite di
muschi fin sull’ orlo; le rughe, sugli zigomi, andavano a spegnersi attorno
alle orbite in cui due occhi umani – i mie! Li riconoscevo bene! -,
incastonati, piangevano.
Cosa era successo? Chi mi aveva ridotto in uno stato così deplorevole?
Come avrei affrontato una simile metamorfosi?
Piangevo, disperato, senza riuscire né a spiegare né ad affrontare la
situazione.
D’ un tratto la porta della camera si aprì: mia madre era all’ uscio.
– Sei già in piedi? – Domandò, squillante. Non ebbi il coraggio di voltarmi,
ma per la prima volta nella mia vita mi vergognai di stare davanti ai suoi
occhi vestito delle sole mutande.
– Mamma… – l’ imbarazzo era insostenibile. Continuavo a diffondere, per
giunta, un tanfo nauseabondo.
– La colazione è in tavola.
– Mamma… non lo so perché è successo! I peli… il grasso… questo
maledetto odore… io mi vergogno! Cosa mi è capitato? Perché questa
trasformazione?
Mi voltai, in lacrime: la mamma era sorpresa, ma per nulla spaventata da
mio aspetto demoniaco. Ridendo, rispose:
– Non ti è successo nulla! Sei esattamente uguale a ieri, all’ altro ieri e a
dopodomani, probabilmente. La colazione…
Un brivido mi attraversò. In un attimo tutti gli elementi, dopo 24 anni, si
disposero regolarmente attorno a una terribile consapevolezza.
Ero un mostro e non lo sapevo.